Immaginate un nuovo Covid-19: ecco come affrontare l’emergenza

Immaginate un nuovo Covid-19: ecco come affrontare l’emergenza

Immaginate un nuovo Covid-19: ecco come affrontare l’emergenza

Immaginate che un microbo sconosciuto emerga improvvisamente, sfuggendo alle nostre difese immunitarie e diffondendosi rapidamente in tutto il mondo. Milioni di persone muoiono, mentre l’economia collassa sotto il peso della sospensione della maggior parte delle attività lavorative.

Ora immaginate che la comunità scientifica riesca a sviluppare in tempi record un vaccino efficace. Come si dovrebbe decidere chi vaccinare per primo? Chi è più a rischio di sviluppare forme gravi della malattia? Chi deve essere protetto con priorità assoluta?

Se questa situazione vi sembra familiare, è esattamente ciò che è accaduto con la pandemia di COVID-19, causata dal virus SARS-CoV-2.

La ricerca per identificare i soggetti più vulnerabili

Mentre il numero dei decessi aumentava drammaticamente e il mondo affrontava una crisi senza precedenti – politica, economica e psicologica – un gruppo multidisciplinare di scienziati, guidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, ha iniziato a studiare il legame tra la diffusione del virus e fattori genetici specifici.

Il team, composto da epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi, ha esaminato se l’elevato numero di ricoveri per COVID-19 in alcune province italiane fosse associato a determinate caratteristiche genetiche della popolazione residente.

Uno studio ecologico, guidato da Giovanni Baglio dell’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), ha utilizzato i dati di ricovero per COVID-19 del Dipartimento della Protezione Civile e i dati genetici del Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo, la più ampia banca dati disponibile nel paese.

Il ruolo degli antigeni HLA nella risposta immunitaria

I donatori di midollo osseo vengono sottoposti a tipizzazione per determinare il loro genotipo dell’Antigene Leucocitario Umano (HLA), un insieme di molecole che gioca un ruolo cruciale nella compatibilità tissutale per i trapianti. Queste molecole, note anche come Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), sono responsabili del riconoscimento del “self” e del “non-self” da parte del sistema immunitario.

“La loro funzione principale è quella di presentare le proteine microbiche alle cellule immunitarie, scatenando una risposta specifica contro il patogeno”, spiega Rita Emilena Saladino, esperta dell’Unità di Tipizzazione Tissutale dell’Ospedale Grande Metropolitano di Reggio Calabria.

Questa diversità genetica fa sì che alcune persone possano sviluppare una risposta immunitaria efficace contro il virus, mentre altre risultino più vulnerabili.

La scoperta: gli antigeni HLA associati alla suscettibilità al COVID-19

Associando i dati genetici con l’incidenza di COVID-19 nelle province italiane, il team di ricerca, guidato da Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’Ospedale Grande Metropolitano di Reggio Calabria, ha individuato due antigeni HLA di classe I – HLA-C01 e HLA-B44 – come fattori permissivi all’infezione da SARS-CoV-2.

Lo studio, pubblicato nel 2020 sull’International Journal of Molecular Sciences, è stato il primo a dimostrare il potenziale di un’analisi ecologica per identificare rapidamente i soggetti a rischio, pur riconoscendone i limiti intrinseci.

Nuove conferme e un metodo rapido per le emergenze future

Per validare ulteriormente l’ipotesi, il team ha condotto un successivo studio caso-controllo, analizzando i genotipi HLA di pazienti ricoverati per COVID-19 in Campania e Calabria. La ricerca è stata resa possibile grazie alla collaborazione con Roberto Parrella, responsabile dell’Unità di Malattie Infettive Respiratorie dell’Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli di Napoli.

I risultati, pubblicati il 10 marzo 2025 sul Journal of Translational Medicine, hanno mostrato che l’associazione tra HLA-C01 e HLA-B44 e il rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19 è diminuita progressivamente, fino a scomparire dopo la prima ondata pandemica. Questo fenomeno era prevedibile, considerando la co-evoluzione del virus e della risposta immunitaria umana.

In compenso, è emerso un nuovo dato: l’allele HLA-B*49 sembra conferire protezione contro l’infezione. Questa osservazione è stata confermata nello studio caso-controllo condotto tra Campania e Calabria.

Le implicazioni per il futuro

“I nostri studi dimostrano che un’analisi ecologica basata su dati pubblici può essere un metodo rapido ed economico per identificare i soggetti più a rischio durante un’emergenza sanitaria”, spiega Francesca Pentimalli, Professore di Patologia presso l’Università LUM di Bari e Professore aggiunto presso l’Istituto Sbarro della Temple University.

Questa metodologia potrebbe rivelarsi cruciale non solo per le pandemie future, ma anche per ottimizzare la gestione dei pazienti e definire strategie di vaccinazione più mirate ed efficienti.

(ITALPRESS)

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