L’indagine della Procura di Palermo getta nuova luce su un presunto sistema corruttivo all’interno dell’obitorio del Policlinico Giaccone, dove, secondo gli inquirenti, sarebbe stato richiesto denaro anche solo per consentire ai familiari di vedere per pochi minuti il corpo senza vita dei propri cari.
Una pratica che emerge dalle intercettazioni raccolte nel procedimento a carico di Salvatore Lo Bianco, Marcello Gargano, Antonio Di Donna e Giuseppe Anselmo, per i quali la magistratura ha avanzato richiesta di arresto. I quattro sono accusati di associazione a delinquere, mentre decine di altre persone risultano indagate per corruzione.
Soldi per accedere all’obitorio: il meccanismo contestato
“La possiamo vedere cinque minuti?”. È una delle frasi intercettate dagli investigatori, che racconta una realtà fatta di pagamenti informali per aggirare regole e tempi previsti. Secondo la ricostruzione della polizia, i familiari dei defunti, spesso provati dal dolore, avrebbero accettato di pagare per accelerare le procedure funerarie.
Tra i soggetti coinvolti figurano anche referenti di imprese di onoranze funebri, che avrebbero beneficiato di corsie preferenziali per il rilascio delle salme.
Le intercettazioni: “Di solito non facciamo scendere nessuno”
Uno degli episodi chiave risale al febbraio dello scorso anno. Marcello Gargano, dipendente dell’obitorio, inizialmente si mostra titubante davanti alla richiesta di un uomo che voleva vedere la salma della moglie. “Ci sono le telecamere”, avrebbe detto. Ma dopo la consegna del denaro, il permesso sarebbe stato accordato.
Le somme incassate, secondo gli investigatori, confluivano in un sistema di ripartizione interna, alimentato quotidianamente da familiari e imprese funebri.
Un “extra” allo stipendio: fino a 800 euro al mese
Dalle conversazioni intercettate emerge che i proventi illeciti non sarebbero stati marginali. Giuseppe Anselmo, operatore socio-sanitario, avrebbe ricevuto 300-400 euro al mese in mance. Altri parlano apertamente di 700-800 euro mensili, una cifra ben oltre una semplice integrazione allo stipendio.
L’articolo 8 e le pratiche accelerate
Al centro del sistema ci sarebbe l’applicazione dell’articolo 8 del Dpr 285/1990, che regola i tempi minimi prima della chiusura della bara o del trasferimento della salma. Secondo l’inchiesta, pagando 100 euro la procedura veniva velocizzata.
Nel caso di ditte funebri provenienti da fuori Palermo, il costo saliva fino a 400 euro, grazie all’intermediazione di imprese locali.
Il caso senza tangente e l’ombra della mafia
In un episodio citato dagli inquirenti, un imprenditore con precedenti per reati di stampo mafioso avrebbe ottenuto i servizi senza alcun pagamento. Un’eccezione che rafforza i sospetti su rapporti opachi e favoritismi all’interno della struttura.
I vantaggi per le imprese funebri
Secondo la Procura, pagare conveniva. Le imprese ottenevano una rapida dimissione delle salme, potendo così organizzare più funerali in tempi ridotti e massimizzare i profitti. Un sistema che, se confermato, avrebbe trasformato il dolore delle famiglie in un’occasione di guadagno illecito.
di Simone Olivelli
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