L'8 giugno 2023, a Palermo, mentre sono passate da poco le commemorazioni della strage di Capaci e si avvicina l'anniversario di via D'Amelio, una coppia passeggia nel quartiere della Noce, nel cuore della città. Ad accompagnarli c’è un uomo di 44 anni che non fa mistero del proprio ruolo: “La Noce è mia, è di proprietà mia”, dice con sicurezza, mentre i due manifestano interesse per aprire una pizzeria.
Un’affermazione che, secondo gli inquirenti, non è solo frutto di vanagloria. L’uomo in questione è Carlo Castagna, ritenuto un esponente di rilievo del mandamento mafioso della Noce, uno dei più storici di Palermo e che include le famiglie di Altarello di Baida, Cruillas e Malaspina.
“Solo voi sapete risolvere i problemi”
Durante la passeggiata, Castagna racconta un episodio: una donna si era rivolta a lui per "sistemare" l'ex marito della figlia, definito come un “secchiello d’immondizia”. La stessa donna, anni prima, si era opposta alla relazione tra Castagna e la figlia. “Se mi valutava peggio di questo, allora io ero proprio a mare”, commenta ironicamente.
La scena si chiude con una frase emblematica della donna che stava valutando l’apertura della pizzeria: “Siete le uniche persone che riescono a risolvere tutti i problemi”. Parole che, per la gip Claudia Rosini, dimostrano piena consapevolezza del fatto che l’uomo fosse un mafioso.
L'inchiesta: la rete di favori e intimidazioni
Il racconto è uno dei tanti emersi dall’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di 12 persone, accusate a vario titolo di appartenere al mandamento mafioso della Noce. Tra loro, oltre a Castagna, figura Renzo Lo Nigro, 52 anni, anche lui con precedenti per associazione mafiosa. Usciti dal carcere, i due avrebbero cercato di riacquistare influenza e prestigio, approfittando – secondo gli inquirenti – della debolezza dei vertici della cosca. Lo Nigro, in particolare, avrebbe contestato il ruolo di Guglielmo Ferrara, reggente della famiglia, per un dettaglio non trascurabile: la presenza, tra i parenti di quest’ultimo, di membri delle forze dell’ordine. Un tempo, in Cosa nostra, questo bastava per escludere automaticamente dalla carriera criminale.
Cosa nostra come ufficio reclami
Lo scenario delineato dagli investigatori è quello di una mafia di quartiere che agisce come "sportello" per ogni tipo di problema. Dalla liberazione di immobili occupati da inquilini morosi, ai litigi scolastici tra genitori, passando per creditori che vogliono recuperare denaro e aspiranti imprenditori in cerca di “autorizzazioni mafiose” per aprire attività commerciali.
Secondo la gip Rosini, la Noce si conferma così un luogo in cui la criminalità organizzata rappresenta ancora un punto di riferimento per ampie fasce della popolazione, incapaci o non intenzionate a rivolgersi alle istituzioni.
“Io ne sono uscito, ma comando lo stesso”
Lo Nigro, secondo gli inquirenti, avrebbe tentato di far credere di essersi allontanato dai vertici mafiosi, pur continuando a esercitare influenza sul territorio. “Devono sapere che ne sono uscito. Non posso combattere con voi che non siete capaci di fare niente”, avrebbe confidato alla moglie.
In realtà, la sua condotta sarebbe rimasta tipicamente mafiosa: dal condizionamento dei commercianti, al tentativo di imporsi su chi offriva primi piatti a base di pesce, come nel caso di un panificio del quartiere. “Appena lui mette una farfalletta al salmone, quando siamo aperti noi, facciamo tredici!”, avrebbe detto. Lo Nigro avrebbe anche preteso denaro da un commerciante: “Quando ci dobbiamo vedere che mi devo andare a vestire? Ce ne andiamo… che mi fai il guardaroba”.
“Una mafia arcaica ma modernissima”
“La realtà che emerge da questa indagine è desolante”, scrive la giudice Rosini, che descrive il contesto della Noce come espressione di una mafia tradizionale ancora viva, sostenuta dalla complicità silenziosa di chi continua a rivolgersi ad essa per risolvere problemi. Una criminalità che si adatta, che sopravvive all’interno di una società frammentata, dove lo Stato spesso non è percepito come affidabile. “Una mafia al tempo stesso arcaica ma modernissima – osserva la gip – chiamata a risolvere, rapidamente e fuori dai canali legali, le più diverse problematiche. Un segno di prostrazione della dignità e del rispetto dei propri diritti che testimonia un preoccupante degrado sociale”.
Simone Olivelli
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