Il suicidio di Stefano Argentino, il 27enne reo confesso dell’omicidio della collega universitaria Sara Campanella, potrebbe avere un risvolto paradossale. Mentre la famiglia della vittima rischia di non ricevere alcun risarcimento, quella dell’omicida potrebbe ottenere un indennizzo dallo Stato per la sua morte in custodia.
La morte di Argentino: impiccato in cella
Argentino è stato trovato morto nella mattina di mercoledì 6 agosto all'interno del carcere di Gazzi, a Messina. Si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alle grate della finestra della sua cella. Era accusato di aver sgozzato in pieno centro a Messina la 22enne Sara Campanella, dopo mesi di stalking.
Dopo l’arresto, era stato considerato ad alto rischio suicidario: mostrava segni evidenti di depressione, rifiutava il cibo e aveva avviato diversi colloqui con psicologi penitenziari. Per queste ragioni era stato sottoposto al protocollo di “grande sorveglianza”: cella singola, controlli frequenti, rimozione di oggetti potenzialmente pericolosi.
Tuttavia, dopo un apparente miglioramento del suo stato mentale, la misura era stata revocata due settimane fa. Argentino era tornato in una cella comune, dove è riuscito a togliersi la vita.
L’avvocato accusa lo Stato: “Poteva essere evitato”
“È un epilogo tragico ma annunciato. Sara è morta, Stefano si è tolto la vita, e lo Stato è l’unico responsabile”, ha dichiarato all’Adnkronos l’avvocato Giuseppe Cultrera, legale del giovane. “Avevo chiesto una perizia psichiatrica, ma il giudice l’ha rifiutata. Avrebbe potuto salvare almeno una delle due vite”.
Cultrera sottolinea come la gestione del caso da parte delle istituzioni penitenziarie e giudiziarie sia stata gravemente carente.
Il paradosso dei risarcimenti: più tutela per l’assassino
Secondo l’attuale legislazione, la morte di un detenuto in custodia può comportare un risarcimento economico alla sua famiglia, per omessa vigilanza o negligenza da parte dello Stato. Al contrario, per la famiglia della vittima, non è previsto automaticamente alcun indennizzo da parte delle istituzioni, se non attraverso una lunga causa civile.
Un paradosso giuridico che sta già sollevando polemiche.
Il nodo del personale carcerario
Il sindacato di polizia penitenziaria Spp ha sottolineato come la cronica carenza di personale renda difficile garantire la sorveglianza speciale nei confronti dei detenuti fragili. “A malapena si riesce a gestire l’ordinario – denunciano – figuriamoci monitorare costantemente chi è a rischio suicidio”.
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