La manifattura Made in Italy sta vivendo un collasso silenzioso ma inesorabile. Un declino frutto, in parte, della difficoltà di molte imprese artigiane ad abbracciare digitalizzazione e innovazione, ma anche di pesanti gap logistici e di un ricambio generazionale sempre più debole.
I numeri parlano chiaro: negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso oltre 59.000 imprese manifatturiere, una su dieci. Secondo i dati InfoCamere, tra il 2019 e il 2024 il numero di aziende del settore è crollato da 556.188 a 497.423, segnando una flessione del 10,6%.
Le cause della crisi sono molteplici: la pandemia di COVID-19, l’esplosione dei costi di materie prime ed energia, una pressione fiscale insostenibile per le PMI, senza dimenticare l’impatto delle tensioni geopolitiche — dalla guerra in Ucraina alle crisi con la Russia e agli alti costi di importazione dagli USA. E lo scenario potrebbe peggiorare, specie se i dazi promessi da Trump dovessero concretizzarsi.
I settori più colpiti
Tra i comparti più in sofferenza spicca la moda, con la perdita di 15.381 imprese in cinque anni. Seguono la fabbricazione di prodotti in metallo (oltre 9.000 chiusure), il tessile (quasi 3.000) e l’industria alimentare (circa 4.000 fallimenti).
Parallelamente, il mondo dell’artigianato ha registrato una drastica contrazione: tra il 2011 e il 2021 sono sparite 170.000 imprese, pari all’11,7%. Le ditte individuali, che rappresentano oltre l'80% del comparto, hanno subito un calo ancora più marcato (-12,1%).
La mancanza di ricambio generazionale aggrava la situazione: negli ultimi dieci anni le imprese guidate da under 30 sono diminuite del 41,9%, mentre quelle gestite da over 70 sono cresciute del 47% — superando il 50% nel Mezzogiorno. Una dinamica che evidenzia come l'Italia, oggi, non riesca a offrire ai giovani opportunità sufficienti per restare nei mestieri tradizionali.
Sicilia, patrimonio artigianale a rischio
In Sicilia il quadro è ancora più drammatico: tra il 2011 e il 2021 il numero di imprese artigiane è crollato del 17%, passando da 71.967 a 59.689. Il sistema produttivo regionale si presenta estremamente polarizzato, fragile e dipendente da poche filiere dominanti.
In dieci anni, l'Isola ha perso oltre 12.000 aziende artigiane. Settori simbolo della tradizione siciliana — come la ceramica di Caltagirone, la lavorazione del corallo di Trapani e la tessitura tradizionale — rischiano l’estinzione. A favorire il declino: la concorrenza del commercio elettronico e la preferenza dei consumatori per prodotti industriali a basso costo provenienti da Asia e Nord Africa.
Solo nel 2024, la Sicilia ha visto sparire 7.600 imprese, con il commercio che da solo ha registrato oltre 5.300 chiusure.
Una crisi che colpisce tutto il Sud
Non solo Sicilia: l’Abruzzo ha perso il 21% delle imprese artigiane, la Sardegna il 18% e la Basilicata il 17%. Più resilienti invece alcune regioni del Nord, come il Veneto e l'Emilia-Romagna, che hanno puntato su digitalizzazione e formazione professionale per rilanciare il settore.
Palermo e Catania: poli produttivi isolati
Il cuore della manifattura siciliana batte tra Palermo e Catania, che raccolgono il 44,2% delle imprese e il 40,9% degli addetti. Tuttavia, la forte concentrazione nelle aree urbane penalizza l’entroterra, alimentando il divario territoriale.
In Sicilia il tessuto imprenditoriale è composto da micro-realtà: il 92,3% delle imprese manifatturiere conta meno di 10 addetti, contro l'81,7% della media nazionale. Una dimensione troppo ridotta che limita l’accesso a finanziamenti, l’innovazione e l’internazionalizzazione.
L’export sostenuto dal petrolio
A trainare l’export regionale è quasi esclusivamente l’industria petrolifera: nel 2022 ha rappresentato il 71% delle esportazioni manifatturiere siciliane, crescendo del 90% rispetto al 2021. Siracusa guida questa performance, ma una dipendenza così forte da un settore vulnerabile espone la Sicilia a rischi elevati.
Segnali di resilienza
Nel secondo trimestre 2024, l'industria siciliana ha registrato una lieve flessione (-0,03%) ma rimane un pilastro dell'economia isolana con oltre 29.000 imprese attive. Intanto turismo, costruzioni, servizi e agricoltura mostrano segnali di crescita.
Nel comparto agroalimentare, l’export nazionale di alimenti e bevande ha toccato i 70 miliardi di euro (+7,5% sul 2023). L’industria agroalimentare si conferma quindi più dinamica rispetto al manifatturiero, con ottime performance nella produzione di frutta, ortaggi freschi e vino.
Sicilia: un bivio cruciale
Il sistema produttivo siciliano è a un bivio. Aggregare le imprese, puntare su formazione e accesso al credito, investire in innovazione e sviluppare settori a maggior valore aggiunto — come agroalimentare, green tech e manifattura avanzata — sono passaggi cruciali per invertire la rotta.
Il futuro della manifattura siciliana dipenderà dalla capacità di superare frammentazione e immobilismo, rilanciandosi come un sistema più competitivo, sostenibile e innovativo, capace di coniugare tradizione e modernità.
Hermes Carbone
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