"Lei no, non me lo può dire. E sai perché? Perché a me suo nipote mi costa un botto, ottocento euro al mese di affitto." Questa frase, intercettata dalla Guardia di Finanza, è tra le più emblematiche del presunto patto corruttivo tra Marcella Cannariato, vicepresidente della Fondazione Dragotto, e l’assessora regionale al Turismo Elvira Amata (Fratelli d’Italia), ora indagata per corruzione dalla Procura di Palermo.
L’ambizione di Cannariato e il “posto promesso”
A febbraio 2023, Cannariato confidava di avere le porte aperte per un incarico istituzionale grazie alla propria vicinanza con l’assessora Amata. In particolare, la promessa sembrava legata al sostegno dato a eventi regionali e all’assunzione del nipote di Amata in una società riconducibile alla famiglia Dragotto.
Le accuse della Procura: fondi in cambio di favori
Secondo l’accusa, Amata avrebbe agevolato Cannariato nell’ottenere fondi pubblici per eventi come “Donne, Economia & Potere” e “Mettiamoci la testa”, ricevendo in cambio benefit personali, tra cui l’alloggio e il lavoro per il nipote.
Affitto e stipendio: il malcontento cresce
Le intercettazioni rivelano come Cannariato, dopo mesi di spese, abbia iniziato a lamentarsi del carico economico: “Io non posso pagare in eterno 700 euro al mese, oltre lo stipendio, a ‘stu ragazzino.” Un segnale, secondo gli inquirenti, che evidenzia la natura clientelare e non trasparente dell’accordo.
Il “patto silenzioso” tra Cannariato e Amata
In diverse conversazioni, emerge il tentativo di nascondere l'assunzione: “Io non ho mai detto che lavora da me, perché sennò…” Per gli investigatori, queste frasi confermano la consapevolezza dell’irregolarità dell’accordo tra le due donne.
Anche l’appartamento dell’assessora sotto accusa
La disponibilità di Cannariato ad ospitare l’assessora Amata senza contratto né affitto ufficiale è un altro elemento cruciale. A un certo punto, la vicepresidente della Fondazione Dragotto avrebbe chiesto 1.000 euro al mese anche per l’alloggio già occupato da Amata.
Il ruolo (passivo) di Galvagno
La figura del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Gaetano Galvagno, compare nell’inchiesta in modo indiretto. Secondo la sua portavoce dimissionaria, Sabrina De Capitani, Galvagno avrebbe mostrato scarso interesse per l’evento sostenuto da Cannariato e promosso dalla Fondazione Bellisario: “Ma se so’ de Roma queste, a me che cazzo me ne frega?” Una battuta che sintetizza il disinteresse istituzionale rispetto alla macchina dei favori interni.
Un caso politico che imbarazza Fratelli d’Italia
L’intera vicenda sta imbarazzando il partito di Giorgia Meloni, con ripercussioni sulla giunta regionale guidata da Renato Schifani, che per ora ha confermato la fiducia ad Amata.
Simone Olivelli
Lascia una risposta