Un team di scienziati dell’University of California San Diego School of Medicine ha individuato un legame tra il declino cognitivo autoriferito e alcuni biomarcatori presenti nel sangue. La scoperta potrebbe aprire la strada a un semplice esame ematico per diagnosticare precocemente l’Alzheimer e le demenze correlate. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Jama Network Open.
Perché serve una diagnosi precoce
Con l’invecchiamento della popolazione e il numero crescente di pazienti colpiti da Alzheimer, i ricercatori sottolineano la necessità di metodi di screening più rapidi, accessibili e meno invasivi rispetto agli strumenti attuali, spesso costosi e disponibili solo in contesti specialistici.
Lo studio sugli adulti ispanici e latini
Il lavoro ha analizzato i dati di 5.712 adulti ispanici e latini (età 50-86 anni), popolazione considerata a rischio crescente nei prossimi decenni ma ancora sottorappresentata nella ricerca. I ricercatori hanno misurato la presenza nel sangue di proteine legate all’Alzheimer, come beta-amiloide e tau, confrontandole con il declino cognitivo soggettivo riportato dai partecipanti.
I biomarcatori sotto osservazione
I risultati mostrano che:
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NfL (marcatore di danno neuronale) e Gfap (marcatore di infiammazione cerebrale) sono associati a un maggiore declino cognitivo autoriferito;
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livelli elevati di NfL e ptau-181 (proteina tau fosforilata) sono legati al declino della memoria;
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la proteina beta-amiloide (Aβ42/40) non ha mostrato correlazioni significative.
Queste associazioni sono emerse anche in persone considerate cognitivamente sane, suggerendo che NfL potrebbe rilevare cambiamenti molto precoci nella cognizione.
Limiti e prospettive future
Gli autori evidenziano che serviranno ulteriori ricerche prima che i biomarcatori ematici possano entrare stabilmente nella pratica clinica. “Hanno un potenziale enorme – spiegano – ma devono essere considerati come strumenti complementari agli approcci diagnostici già esistenti, non sostitutivi”.
(Adnkronos)
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