La battaglia di Manuela Vaccarotto per la vita delle sue figlie e lo screening neonatale

La battaglia di Manuela Vaccarotto per la vita delle sue figlie e lo screening neonatale

La battaglia di Manuela Vaccarotto per la vita delle sue figlie e lo screening neonatale

Non solo madre, ma anche infermiera, operatrice sanitaria, rianimatrice. Per amore. È la storia di Manuela Vaccarotto, presidente di Aismme Aps – Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie – che ha trasformato un dolore immenso in una missione. Entrambe le sue figlie sono state colpite dalla stessa malattia metabolica rara, che a distanza di anni le ha portate via.

Anni nel buio: la diagnosi mancata e la battaglia per lo screening

La prima figlia è morta a 30 anni. La diagnosi arrivò 15 anni dopo la nascita. Un tempo infinito, durante il quale la malattia progrediva nel silenzio, senza un nome. “Con lo screening neonatale esteso tutto sarebbe stato diverso”, racconta Manuela, che nel 2005 – dopo aver perso anche la seconda figlia – ha deciso di fondare Aismme.

“All’epoca il test si faceva solo in due regioni. Ho voluto dare voce alle tante mamme che, come me, avevano perso un figlio. Da lì è iniziato il nostro impegno per portare lo screening neonatale in tutta Italia”.

Vent’anni di Aismme: una rete per salvare vite

Oggi Aismme compie 20 anni e lo screening neonatale esteso è realtà in tutto il Paese. “Grazie alla nostra pressione, unita a quella della comunità scientifica e delle associazioni, abbiamo salvato moltissimi bambini. Ora il test consente di individuare 49 malattie metaboliche rare. Il nostro obiettivo è aggiungerne almeno altre 10”, spiega Vaccarotto, intervenuta in occasione della Giornata nazionale della salute della donna e del lancio della seconda edizione del progetto Women in Rare.

Una casa trasformata in terapia intensiva

La storia di Manuela è al centro anche del libro bianco Women in Rare, perché rappresenta la realtà di molte donne caregiver. “La nostra storia inizia nel 1991, con la nascita della mia prima figlia. Dopo pochi mesi è stata ricoverata: non cresceva, aveva crisi ipoglicemiche, nessuno sapeva cosa avesse. A 2 anni e mezzo una polmonite causata da un rigurgito ha fatto emergere la gravità della situazione. Dopo due mesi di coma, è rimasta in stato vegetativo per 18 anni.”

“Abbiamo trasformato casa nostra in una terapia intensiva. Nessuna assistenza. Una sola infermiera, 10 minuti a settimana. Vivevamo isolati, terrorizzati anche solo da un raffreddore. Io ho imparato a rianimarla più volte. Non avevo più una vita.”

Una seconda figlia, la stessa malattia: un’altra perdita

Nel frattempo, la nascita di una seconda figlia. Anche lei affetta dalla stessa malattia, ma in forma più grave. “È vissuta solo pochi mesi. La diagnosi è arrivata prima, perché i medici cercavano nei suoi sintomi il riflesso della sorella maggiore. Era devastante.”

Poi, nel 2002, la luce: la nascita di due gemelle sane. “Ora studiano per diventare medico e avvocata, impegnate per i diritti dei pazienti. Sono la nostra salvezza.”

Donne caregiver: il peso silenzioso delle malattie rare

La testimonianza di Manuela si inserisce nella più ampia indagine di Women in Rare, che fotografa la realtà delle donne caregiver: l’89% dei caregiver di persone con malattie rare è donna. Il 65% ha dovuto modificare il proprio lavoro, con una perdita media di 3.500 euro e circa 44 giorni lavorativi all’anno. Oltre ai costi economici, pesano anche quelli emotivi e sociali.

“Ho lasciato il lavoro per assistere mia figlia. È stata una scelta di vita”, dice Manuela.

La seconda edizione di Women in Rare: focus sul ritardo diagnostico

La nuova edizione del progetto approfondisce l’impatto del ritardo diagnostico sulla qualità della vita delle donne, integrando aspetti sanitari, culturali, sociali ed economici. Un lavoro condiviso da Alexion – AstraZeneca Rare Disease, con la partecipazione di Uniamo, Cansis, Altems e Fondazione Onda Ets.

Uniamo: “Le storie delle donne ci guidano verso un mondo più equo”

“Women in Rare nasce dalle storie delle donne”, commenta Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo. “Raccontano ostacoli, incomprensioni, fatiche invisibili, e la difficoltà di conciliare malattia, lavoro, famiglia e vita. Con questo progetto vogliamo dare strumenti concreti ai decisori per promuovere azioni mirate, per ridurre le disuguaglianze e costruire una società più inclusiva”.

(Adnkronos)

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