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Gestione rifiuti urbani, in Italia manca un "market design"

Gestione rifiuti urbani, in Italia manca un "market design"

Gestione rifiuti urbani, in Italia manca un “market design”

di Chicco Testa presidente Assoambiente Negli ultimi mesi si sono succeduti ricorsi, sentenze di Tar e pronunce dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che hanno per oggetto il tema della concorrenza nelle varie fasi di gestione dei rifiuti urbani, spesso caratterizzate oggi da forme di monopolio o difficile accesso al libero mercato. Una intensa attività legale e giurisprudenziale che si alimenta in un quadro normativo nazionale poco chiaro e complesso e in una totale mancanza di un “market design” nazionale di questo settore, a differenza di quanto avvenuto nei settori dell’energia, dell’acqua e dei trasporti. Nella attuale normativa (inclusi i provvedimenti regolatori di Arera) convive uno spirito concorrenziale con forme più o meno ampie di privativa pubblica, in un puzzle che genera contenzioso e che presenta anche caratteristiche diverse nelle diverse regioni. Da quando il settore dei rifiuti urbani è stato sottoposto alla Regolazione nazionale di Arera, questa assenza di una policy nazionale sul settore in termini di assetti di mercato è apparsa sempre più evidente e, come sostiene la recente sentenza del Tar Lombardia, forse impropriamente Arera si è sostituita al legislatore nazionale nelle decisioni sugli assetti di mercato. Ad oggi la legge nazionale dice due cose in parte contraddittorie. Da un lato, tutti i flussi di raccolta differenziata (parliamo di tre quarti del totale di produzione rifiuti urbani al 2035) sono liberi di circolare sul territorio nazionale, senza vincoli di autosufficienza, quindi sul mercato. Al tempo stesso la norma qualifica come rifiuti speciali gli scarti prodotti dal riciclo e dal trattamento di impianti intermedi (trattamenti meccanici o meccanico-biologici), quindi liberi in linea di principio di circolare a livello nazionale. Tutte indicazioni di matrice pro concorrenziale. Al tempo stesso la norma afferma che la gestione dei rifiuti urbani (recupero e smaltimento) deve avvenire entro confini prestabiliti (Regione o Ambito territoriale ottimale), secondo i principi di autosufficienza e prossimità. In questo quadro normativo conflittuale Arera ha adottato una delibera nel 2021, introducendo i cosiddetti “impianti minimi”, impianti di recupero (digestori) e di smaltimento necessari in ogni regione per chiudere il ciclo, nel rispetto del principio di autosufficienza. Principio sposato anche se in forma parzialmente diversa dal Governo Draghi nel suo “Programma nazionale di gestione dei rifiuti”, del 2022. Il Tar Lombardia ha deciso che questa iniziativa di Arera fosse impropria, che questo tipo di decisioni (market design) spetta al Governo e al Parlamento, non ad un Regolatore. Vedremo quali saranno gli esiti a valle dei ricorsi al Consiglio di Stato. Ma una cosa appare chiara indipendentemente dalle argomentazioni tecnico-giuridiche a sostegno. È urgente un chiarimento a livello nazionale in merito agli assetti di mercato di questo settore: cosa è sul mercato, cosa è privativa comunale, cosa è oggetto di pianificazione regionale vincolante. Quali impianti sono “soggetti a stringente regolazione” e quali “di mercato”. Solo in un quadro giuridico-regolatorio più chiaro, che mi auguro orientato al massimo di apertura del mercato, le imprese possono investire in modo sicuro e realizzare gli impianti che mancano e servono, in tempi rapidi. Sicuramente in una fase transitoria serve anche una disciplina che stimoli l’infrastrutturazione dei territori, ove carente, per i rifiuti non a mercato, fino alla completa realizzazione su scala nazionale degli impianti necessari e che potranno quindi esprimere tutto il loro potenziale concorrenziale. Ma questa forse è una decisione che deve prendere il Legislatore.

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