Nell’immaginario collettivo, grazie anche alle notizie di stampa che da mesi si susseguono come le ondate pandemiche, gli operatori sanitari pubblici non fanno altro che ricevere bonus e indennità. Niente di più distante dalla realtà: finora nessuno ha visto nemmeno i soldi del Monopoly, né medici né infermieri né nessun’altra tipologia di personale che opera a qualsiasi titolo nella sanità.
È vero, se n’è parlato tanto e se ne continua a parlare ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, ma delle risorse economiche che fin dal principio della pandemia il governo nazionale ha voluto destinare alle figure che sono state in prima linea nella lotta al Coronavirus finora non si è vista traccia.
Quei quattrini sono stati stanziati in due riprese, con il Decreto Cura Italia del 17 marzo e con il Decreto Rilancio del 19 maggio, convertiti in Legge rispettivamente in data 24 aprile e 17 luglio. Le risorse economiche previste in quei Decreti sono state stanziate dallo Stato con una destinazione ben precisa, anche se leggermente modificata in corso d’opera e cioè dal primo al secondo decreto: rimpinguare, in via eccezionale, i Fondi Contrattuali della dirigenza medica e sanitaria e del Comparto sanità.
Sono dunque passati diversi mesi dall’adozione definitiva di quelle misure legislative, ma tra Roma e la Sicilia, come tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare e a distanza di tutto questo tempo non si è visto nulla di concreto, a parte le pacche sulle spalle di medici e infermieri e la profusione a piene mani del non richiesto titolo onorifico di eroi. Ma se d’altra parte per l’Assessorato Regionale della Salute i Direttori Generali sono i Supereroi Avengers, ci può stare, per medici e infermieri, sentirsi dare degli eroi. Anzi forse è il minimo sindacale.
Etichette Marvelliane o meno, il ritorno alla realtà è comunque amaro per chi si è speso senza mai tirarsi indietro di fronte all’epidemia, anche nella fase in cui il nemico era totalmente sconosciuto e la paura avrebbe potuto facilmente prendere il sopravvento. È amaro non solo perché finora non è finito il becco d’un quattrino nelle loro tasche ma anche per le modalità poco urbane con cui è stata finora condotta l’intera vicenda. A parte il Protocollo d’intesa siglato tra assessorato regionale e organizzazioni sindacali della dirigenza medica e del Comparto sanità il 24 giugno scorso, non si è poi più mossa foglia che Ruggero Razza non voglia, dal punto di vista dell’indispensabile ulteriore confronto con le parti sociali per una più completa e definitiva ripartizione delle risorse da impiegare alla prevista premialità del personale sanitario.
Cimo insieme ad altre organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria ha più di una volta richiesto la convocazione del tavolo di confronto previsto dal Ccnl, ma a tali richieste non è mai stato dato riscontro. Per poi apprendere a mezzo stampa di presunti confronti del giovane assessore catanese con le parti sociali e della definizione della vicenda Bonus Covid, senza che si abbiano notizie nel merito.
Forse Ruggero Razza vive una realtà parallela o magari ritiene, da uomo di destra quale si proclama, che le parti sociali sono unicamente le tre sigle Confederali storiche, minoritariamente rappresentative per quanto riguarda la dirigenza medica e sanitaria. Forse l’Assessore pensa che le altre Confederazioni e sigle sindacali che rappresentano invece la maggior parte della dirigenza medica e sanitaria siano da non tenere in considerazione.
Nemmeno Bertinotti avrebbe osato un sorpasso a sinistra tanto spericolato quanto quello messo in atto dall’assessore Razza, al limite del ritiro di patente. Tuttavia, dobbiamo prendere atto dell’atteggiamento di estrema chiusura che contraddistingue questo passaggio istituzionale e non ci resta altro da fare se non che protestare ufficialmente come è stato fatto nei giorni scorsi con una lettera inviata ai vertici di Piazza Ottavio Ziino rispetto alla quale non è finora giunta risposta alcuna.
Qualora tale situazione di ostinata chiusura dovesse perdurare oltre ogni limite, con rammarico non resterà altra alternativa che promuovere un’azione giudiziaria per comportamento antisindacale per ristabilire, anche in Sicilia, le normali relazioni sindacali e, perché no, le regole del buon vivere civile.
Cimo Sicilia
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