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Fabbisogni standard, la Regione dimentica le specificità della Sicilia

Fabbisogni standard, la Regione dimentica le specificità della Sicilia

Fabbisogni standard, la Regione dimentica le specificità della Sicilia

Sui Comuni siciliani incombe un’altra spada di Damocle: l’aggiornamento dei dati per la determinazione dei fabbisogni standard. Dal primo marzo è infatti online il nuovo questionario relativo all’annualità 2019, da compilare entro sessanta giorni. Ma questa è soltanto la fase finale di un processo che, così com’è stato impostato, rischia di creare grossi grattacapi agli Enti locali dell’Isola.

Ma procediamo per gradi, perché innanzitutto bisogna capire cosa siano i fabbisogni standard. “Si tratta – ci spiega Dario Immordino, componente del gruppo di lavoro sulla Riforma della contabilità siciliana, costituito dall’assessorato regionale all’Economia - di un elemento essenziale che riguarda il finanziamento delle prestazioni fondamentali”.

Non si tratta dunque di semplici risorse che possono essere utilizzate per il decoro urbano o per il pagamento degli stipendi, ma “riguardano soltanto – precisa Immordino - le funzioni essenziali, quindi sanità, istruzione e assistenza”.

Obiettivo della determinazione dei fabbisogni standard è “integrare le risorse degli enti ‘più poveri’. Queste voci dovrebbero essere finanziate dai Comuni con le proprie risorse, però questo comporterebbe che il Comune più povero, che quindi ha meno risorse, dovrebbe dare meno servizi o farli pagare ai cittadini. Quindi, lo Stato prende una parte del prelievo fiscale dei territori più ricchi per finanziare i territori più poveri. Poniamo che l’assistenza in un Comune costi 100: il Comune incassa 60, ma manca 40 per coprire l’assistenza. Lo Stato indirizza allora questi 40 di differenza che provengono dal prelievo fiscale degli Enti più ricchi. È una forma di solidarietà”. E di redistribuzione delle risorse in maniera più equa, per “garantire le cosiddette prestazioni, cioè i diritti di cittadinanza, siano uguali su tutto il territorio nazionale”.

In sostanza, se un cittadino paga le tasse a Milano, una parte di quanto versato viene utilizzata per i servizi che riceve nella propria città (servizio rifiuti, acqua, arredo urbano…); la restante parte, invece, la trattiene lo Stato per pagare le funzioni nazionali (quindi giustizia, sicurezza pubblica…) e per colmare il gap dei Comuni più poveri. In questo modo, chi vive in un Comune svantaggiato in Molise, riceve lo stesso livello standard di servizi di chi che vive a Milano o a Vicenza.

“Per fare questo – segnala Immordino - è necessario che i soldi non vengano sprecati. Allora entrano in gioco i cosiddetti costi standard, che sono un’uniformazione: se la siringa costa 30 a Milano deve costare 30 pure a Palermo. In questo modo si garantisce che i soldi che vengono dalla privazione di un soggetto per finanziare l’assistenza o la sanità o l’istruzione in Sicilia non vengano sprecati”.

Bisogna tener conto però delle cosiddette “variabili territoriali”, come le condizioni morfologiche del territorio. Se una cosa costa di più non significa necessariamente che ci sia uno spreco, perché “se vivo in un Comune montano il trasporto scolastico costa di più, perché magari non c’è la ferrovia ma un pullman che deve fare un percorso più lungo. In questo caso non c’è uno spreco, la differenza di costi dipende dal fatto che il percorso è più lungo”. Un’altra variabile territoriale di cui tener conto è, come suggerisce Immordino, l’impossibilità di sfruttare economie di scala: “In un piccolissimo paese la scuola elementare costa di più perché ci sono pochi studenti, non ci sono economie di scala. Se ci sono sei studenti, il costo di anche un solo insegnante diviso sei costa di più che in una classe di venti”.

E qui entriamo nel problema siciliano: “Le leggi statali e i decreti dicono che la metodologia per i costi e i fabbisogni standard si applica solo alle Regioni ordinarie; le regioni speciali devono farle per i fatti loro. In più, per stabilire i costi standard e il regime di perequazione delle regioni speciali bisogna tener conto dell’insularità, del costo effettivo delle funzioni, quindi della dimensione della finanza locale, del livello dei redditi. Perché? Perché se vivo in un contesto più povero ho più bisogno di assistenza sociale. Se c’è più gente povera, ci sarà più gente che ha bisogno dei servizi sociali, quindi il fabbisogno è maggiore”.

Quindi, la normativa statale dice che per le Regioni a Statuto speciale, quindi fra esse la Sicilia, occorre tener conto del livello dei redditi pro capite, delle condizioni del territorio, del deficit infrastrutturale. L’insularità fa aumentare i costi, fa aumentare il bisogno: l’impresa ha bisogno di più trasporti, quindi ci vogliono più infrastrutture, quindi aumenta sia il bisogno che il costo.

I criteri e i meccanismi stabiliti per le Regioni a Statuto ordinario, insomma, non dovrebbero essere applicati alla Sicilia. Ma il condizionale è d’obbligo perché la legge regionale n. 15/2017, ha previsto che, al fine di garantire la trasparenza e la razionalizzazione della spesa pubblica locale nonché il progressivo superamento del criterio della spesa storica nell’assegnazione delle risorse regionali, gli Enti locali del territorio regionale si sottopongano alle rilevazioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard poste in essere dalla Sose (Soluzioni per il Sistema Economico Spa), ai sensi dell’articolo 5 del Dlgs. n. 216/2010. A determinare i fabbisogni standard della Regione siciliana è dunque la Sose, che applica gli stessi criteri delle Regioni ordinarie.

“La cosa paradossale – spiega Immordino - è che la legge regionale rimanda a un decreto nazionale che dice di non applicarsi alle Regioni a Statuto speciale. Lo Stato fa salva la specialità, dice ‘si stabiliscono questi costi insieme alla Regione, tenendo conto di tutti i fattori che aumentano o il bisogno dei cittadini o i costi’. Quindi, lo Stato dice che in Sicilia può costare di più l’assistenza, l’istruzione o la sanità in virtù delle variabili territoriali. La Regione, invece, dice: ‘No, fa tutto la Sose con la procedura e i meccanismi nazionali’”.

Nella Legge regionale precedentemente citata viene richiamato l’art. 5 del Dlgs che stabilisce, nel comma E, che i risultati siano trasmessi dalla Sose “ai Dipartimenti delle finanze e, successivamente, della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del Federalismo fiscale ovvero, dopo la sua istituzione, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica”. Una criticità, secondo Immordino, “perché queste banche dati nazionali sono quelle a cui attinge il legislatore statale quando deve dare dei finanziamenti”.

“Questa situazione – conclude - pregiudica l’uguaglianza dei cittadini. Il paradosso è che lo Stato tutela la specialità, mentre la Sicilia ci rinuncia e danneggia i propri Enti locali, che vengono di fatto privati di queste risorse anche avendone diritto”.

Come superare il problema? La soluzione, secondo Immordino, sarebbe un intervento normativo per modificare quell’articolo della Legge regionale che rimanda all’art. 5 del decreto nazionale, stabilendo che i costi standard li faccia la Sose, con l’aiuto dell’Ifel, ma anche con la collaborazione degli Enti locali e soprattutto della Regione. In questo modo si applicherebbero all’Isola criteri che tengano conto della sua specificità.

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Mario Emanuele Alvano (Anci Sicilia): “Giochiamo una partita molto faticosa”

Sulle potenziali conseguenze che la definizione di costi e fabbisogni standard potrebbero avere sugli Enti locali dell’Isola, abbiamo sentito Mario Emanuele Alvano, segretario generale di Anci Sicilia.

La Regione siciliana con una legge regionale del 2017 ha previsto che costi e fabbisogni standard venissero elaborati dallo stesso ente che elabora quelli delle Regioni a statuto ordinario, la Sose. Non lo ritiene un paradosso?
“Credo che ci siano due temi alla base del come affrontare il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard. Il primo è che il fatto che sia stata incaricata Sose non significa necessariamente che sia un guaio, perché non è il soggetto in sé a costituire un problema ma semmai il come esso opera, anche perché non è detto che ci sia un’alternativa a portata di mano che ci faccia superare l’ostacolo: se ci fosse un’alternativa a Sose che ci potesse tutelare di più io direi ben venga. A me però non risulta che ci sia. La seconda questione è quella relativa al senso dei fabbisogni standard, che è quello di valutare la spesa dei comuni da un lato e il loro fabbisogno dall’altro in un’ottica nazionale, confrontando le diverse realtà: non possiamo farceli da noi e validarceli da noi perché in tal modo servirebbero solo alla Sicilia. Quindi in ogni caso, o per il tramite della Sose o no, il sistema siciliano parlare con quello nazionale altrimenti non potrebbe stabilirsi un sistema unitario di distribuzione delle risorse”.

Non sarebbe stato più semplice da parte della Regione siciliana dare alla Sose indicazioni precise sulle specificità di cui tener conto nella raccolta dei dati dei Comuni isolani?
“Anche nelle sedi istituzionali abbiamo posto il problema di come vengono calcolati i numeri per la Sicilia e abbiamo chiesto che si elaborino criteri che tengano conto della sua specificità. Questa è una partita molto faticosa perché innanzitutto sui criteri di calcolo dei fabbisogni standard dobbiamo dire una verità scomoda: pochi ci capiscono qualcosa. La modalità con cui sono stati elaborati i coefficienti che portano alla determinazione dei fabbisogni standard è complessa. Al di là dell’aspetto più pratico, relativo all’inserimento da parte dei comuni dei dati nei questionari, quello che a noi interessa è quale valore abbiano questi dati, perché fino ad oggi c’è il rischio che la Sicilia perda risorse, soprattutto sul sociale. Nell’ultima Legge di stabilità sono state erogate risorse importanti dallo Stato sul sociale sulla base proprio dei fabbisogni. Non essendo in quel meccanismo, non abbiamo avuto il riparto di quelle risorse. Attenzione però perché non sappiamo come e in che termini queste risorse sarebbero andate ai Comuni siciliani proprio perché ci manca l’elemento di fondo e cioè la validazione dei dati forniti dai Comuni siciliani. Noi abbiamo ad oggi un sistema che raccoglie i dati ma che non li utilizza i fini del calcolo del Fondo di solidarietà comunale (Fsc). Costi e fabbisogni standard servono a distribuire con criterio le risorse di tale fondo, che si alimenta in parte con risorse degli stessi Comuni, quindi un livellamento orizzontale tra Enti locali, in parte - ed è avvenuto quest’anno, nel passato non era granché avvenuto - con un’erogazione di risorse da parte dello Stato. Questo ovviamente è un fatto più importante perché se è lo Stato di erogare risorse queste non vengono sottratte da un Comune per essere assegnate ad un altro ma vengono spalmate nel sistema dei Comuni senza che vi sia da qualche parte una sottrazione di risorse”.

A cosa servono dunque i questionari che i Comuni siciliani sono tenuti a compilare?
“A oggi hanno ancora una finalità statistica. Noi stiamo cercando di dare il nostro contributo per far diventare questi dati operativi anche ai fini di far entrare la Sicilia nel novero delle Regioni che accedono al riparto del Fsc. Preciso che ad oggi nessuna Regione a statuto speciale è entrata in questo meccanismo, quindi non siamo gli unici ad esserne al di fuori. Va detto che questo meccanismo, se realizzato bene, potrebbe convenirci. L’utilizzo di questi dati al fine di un ritorno finanziario non è semplice: la compilazione dei questionari non è un’operazione che miracolosamente restituisce dati puliti e precisi. Si tratta dati numerosi e complessi da analizzare che vanno ripuliti attraverso anche un’operazione di continuo contatto con gli Enti. È difficile farlo finché non si entra nel vivo perché, se non c’è una finalità in termini di ritorno di risorse. In questa fase noi non ci siamo ancora arrivati, siamo entrati tardi anche nella procedura di distribuzione e acquisizione dei questionari ed entreremo in ritardo nella fase più complessa, che è quella di far diventare i dati utili ai fini del riparto. Per entrare nel vivo del meccanismo dobbiamo far sì che Sose, o chi per loro, tiri fuori delle valutazioni specifiche per la Sicilia e tenga conto delle peculiarità dell’Isola”.

Anci Sicilia ha avviato un confronto con la Regione per venire a capo di questa “matassa”?
“Certamente. C’è stato un incontro nella commissione nazionale per i fabbisogni standard durante il quale abbiamo preso posizione”.

Quale?
“La posizione che abbiamo assunto è quella di vedere con favore l’ingresso nel meccanismo di riparto del fondo di solidarietà comunale sulla base dei fabbisogni standard legati a condizione che si tenga conto delle specificità della Sicilia. Le valutazioni relative ad una Regione a statuto speciale dovrebbero essere diverse rispetto a quelle di una regione a statuto ordinario: banalmente per alcuni indicatori il confronto dovrebbe avvenire tra Regioni a statuto speciale.”.

Qualche esempio?
“Quello più evidente è il tema dell’insularità ma ci sono altri elementi che hanno pure una incidenza significativa. Noi abbiamo un ordinamento speciale per gli enti locali e questo ha, nei decenni, determinato delle conseguenze. Penso al tema delle gestioni associate: mentre nel resto d’Italia, nell’ultimo decennio, si sono fatti significativi passi avanti sia in termini di fusioni di Comuni, sia soprattutto in termini di Convenzioni e Unioni i comuni, noi siamo rimasti fermi, anzi abbiamo fatto semmai qualche passo indietro. Questo elemento come altri hanno un oggettivo riflesso anche sul piano delle conseguenze finanziarie. Abbiamo sollevato una serie di questioni proprio perché crediamo che il calcolo per la Sicilia vada fatto tenendo conto di una serie di specificità. L’argomento è piuttosto delicato perché se la finalità è quella di confrontare i fabbisogni dei Comuni in tutta Italia è necessario che ci sia una base condivisa sui criteri e sulle modalità. L’obiettivo più importante che dobbiamo ottenere è quello di far considerare bene i fabbisogni, cioè le necessità in termini di servizi dei comuni siciliani, il gap che ci separa da altre parti d’Italia, deve essere considerato nella sua interezza. Il rischio è che approviamo un sistema che poi determinerà un effetto per cui alla fine questi fabbisogni non sono calcolati bene e se non sono calcolati bene - e quindi sono calcolati in difetto per intenderci - pagheremo il prezzo di un riparto in difetto e quindi quest’operazione non determinerebbe alcun vantaggio.”.

Di fronte ad uno scenario così complesso, la trasparenza passa in secondo piano…
“Guardando le note metodologiche si può comprendere quanto questo meccanismo che, come finalità ultima dovrebbe avere quella della trasparenza in realtà ad oggi è molto poco trasparente circa le modalità con cui vengono fatti questi calcoli. Questo è un paradosso enorme e questo spiega in parte anche le difficolta nell’affrontare il tema”.

Paola Giordano

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