ROMA - La cronaca delle ultime settimane ha raccontato dell’ennesimo episodio di violenza tra le mura scolastiche, avvenuto stavolta a Castellammare di Stabia. Vittima un’insegnante di inglese, aggredita dalla madre di una studentessa a causa di un “brutto voto”. Sconcerto dell’opinione pubblica ma anche del ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara che ha lanciato una proposta: la costituzione di parte civile dello stesso ministero nei processi scaturiti da questi episodi. Per approfondire la complessa questione abbiamo intervistato Ivana Barbacci, segretaria generale di Cisl Scuola e Adriano Rizza, segretario di Flc Cgil Sicilia.
L’aggressione della docente di Castellamare di Stabia è solo l’ultimo caso di violenza ai danni del personale scolastico. Quanto è grave la portata del fenomeno e che riscontro ne ha il suo sindacato?
Barbacci: “Se ci si ferma al dato statistico, si può anche ritenere che gli episodi, data la mole di un sistema che comprende 40.000 sedi scolastiche, 800.000 docenti e quasi 8 milioni di alunni, siano del tutto marginali. In realtà il fenomeno è grave e preoccupante, perché è la spia di una crisi, ben più estesa, che investe il rapporto tra la scuola e la comunità di cui è parte. Una crisi che si traduce in un calo di autorevolezza e prestigio, quindi di minore rispetto per l’istituzione e per chi vi opera”.
Rizza: “È un fenomeno molto preoccupante che si manifesta ormai da tempo, non solo a scuola, ma anche in altri contesti dove vengono erogati e garantiti servizi di carattere sociale e di primaria necessità come sanità e pubblico impiego. Di solito il contesto territoriale è caratterizzato da un forte disagio sociale, culturale ed economico. Famiglie che vivono ai margini di una società che non ha tempo per preoccuparsi degli ultimi o dei meno fortunati. Sono dell’idea che la TV spazzatura introdotta dall’era Berlusconiana prima, dagli anni 90 in poi, e i social che oggi dilagano in modo preoccupante e che sono alla facile portata di tutti, abbiano pesantemente incrementato quel fenomeno che si chiama Analfabetismo funzionale e che vede l’Italia, sulla base di dati elaborati da una recente indagine Piaac - Ocse, a livelli altissimi. Praticamente siamo terzi al mondo con il 28% della popolazione, tra i 16 e i 65 anni, interessata a questo gravissimo fenomeno sociale. Peggio di noi solo Turchia e Cile. I ragazzi spesso vengono travolti da questo fenomeno quando perdono quei riferimenti educativi e di comportamento esemplare dei genitori stessi. Uno di questi è sicuramente l’uso spropositato del cellulare. Diciamo loro di non usarlo e allo stesso tempo siamo noi a farlo, inconsapevolmente, anche nei luoghi e nei momenti meno opportuni. Questo sicuramente non li aiuta a crescere bene. Per quanto la scuola possa essere definita una comunità educante, succede invece molto spesso che ognuno è solo con sé stesso: l’alunno è solo con il suo bisogno di riconoscimento; l’insegnante è solo con i suoi molteplici problemi di relazione educativa con la classe e rispetto alle pressioni esterne; lo stesso dirigente scolastico è solo con il peso sempre più schiacciante delle incombenze amministrative rispetto alla sua funzione di leadership pedagogico-didattica. E anche la famiglia è sola con le ansie per il futuro del proprio figlio. Ritengo, insomma, che si tratti di sintomi di un malessere che ha radici lontane. Di fondo, da parte dei ragazzi, vi è una difficoltà ad accettare l’autorità, ma trattasi di difficoltà appresa, stanno venendo a mancare, all’interno dei nuclei familiari, le figure di riferimento stabili, con confusioni di ruoli, quando ci sono. I figli non si educano solo con l’esternazione verbale di certi principi, ma con la vita! Spesso siamo noi adulti, genitori e/o professori, a fornir loro un esempio non edificante. Come famiglie stiamo delegando troppo la nostra funzione educativa al web ed alla scuola; dal canto suo, la scuola, non prospetta nessun progetto educativo, delegando ad ipotetico doposcuola la soluzione alla mancata efficacia scolastica. Ovviamente non è sempre così. In tutto ciò trova fondamento lo scollamento della storica alleanza scuola-famiglia, in virtù della mancata assunzione di responsabilità, a cui si aggiunge la figura del Dirigente scolastico, un tempo Preside, che in virtù della funzione dirigenziale ha come scopo principale, il più delle volte, quello del “raggiungimento degli obiettivi”, al fine di redigere un Rav (Rapporto di auto valutazione) che avvalori la bontà del proprio operato. E la funzione educativa? Purtroppo la sua assenza non dipende certo, se non sempre, dalla volontà del Dirigente: è il sistema a richiederlo, incastonato in burocrazia e burocratese. Se poi aggiungiamo la questione della carenza di tali figure, con l’aumento delle scuole in reggenza, il gioco è fatto. In tutto questo cosa si è pensato di fare? Accorpare gli istituti! A voi le conclusioni. In Sicilia non registriamo molti casi di aggressione e violenza, ne ricordo uno particolare a Vittoria qualche anno fa quando una docente è stata assassinata in una scuola con un colpo di pistola, ma il movente era di carattere passionale. Non è da escludere che molti episodi si verificano senza mai essere denunciati. Sicuramente l’aggressione e la violenza non solo verbale ma anche fisica, è dilagante nel settore sanitario: ospedali, studi medici, soprattutto la guardia medica”.
Come valuta la proposta del ministro Valditara circa la possibilità che lo Stato, attraverso il dicastero da lui presieduto, si costituisca come parte civile nei processi che si celebrano per questi episodi?
Barbacci: “Certo un segnale di attenzione positivo, come lo è stato anche l’aver disposto che a tutela del personale scolastico fatto oggetto di aggressioni intervenga l’Avvocatura dello Stato. Ma questi, per quanto importanti, rimangono interventi “a valle” di un problema che va aggredito “a monte”, a partire da quanto ho detto in precedenza. Se la società non avverte come importante il ruolo svolto dalla scuola, se viene meno l’alleanza educativa tra scuola e famiglia, se ai docenti e ai dirigenti, e in generale a chi lavora nella scuola, non si riconoscono prestigio e autorevolezza, si pongono le premesse per atteggiamenti conflittuali che possono poi sfociare negli episodi riportati dalle cronache. Ci sono anche altre ragioni di cui tenere conto, fattori in sé positivi come la scolarizzazione di massa, che ha visto aprire le porte della scuola all’intera società e non solo a fasce ristrette e privilegiate di utenza; o l’innalzamento del livello medio di conoscenze e preparazione, per cui c’è meno soggezione di un tempo verso gli insegnanti, e in generale verso chi riveste un’autorità. Fattori positivi, che tuttavia non possono in alcun modo giustificare comportamenti che vanno condannati con forza: anzi, un accresciuto livello medio di istruzione dovrebbe, a ben vedere, essere considerato un’aggravante rispetto agli esiti aggressivi registrati dalla cronaca”.
Rizza: “Un atto dovuto ma che non può essere risolutivo del problema. Le scuole hanno bisogno di una profonda e seria considerazione da parte dello Stato che dovrebbe analizzare e riflettere sulle conseguenze delle scelte politiche degli ultimi vent’anni. Non abbiamo bisogno dell’ennesima riforma che ci dica su come l’insegnante o il dirigente scolastico o il personale Ata debba svolgere il proprio lavoro. Abbiamo bisogno di considerazione, risorse e il riconoscimento del valore sociale, istituzionale e culturale che non solo la scuola, ma tutta la filiera della conoscenza, hanno nella società di oggi”.
Quali soluzioni potrebbero essere attuate, nell’immediato, per arginare e contrastare questo triste fenomeno?
Barbacci: “Non credo esistano, purtroppo, soluzioni facili e immediate a un problema di coscienza civica che investe in termini generali un atteggiamento della società verso la sua scuola. É importante che si abbia chiaro almeno l’obiettivo verso cui sollecitare l’impegno di tutti e di ciascuno: ridare alla scuola la centralità che merita, considerandola non un costo ma un investimento fondamentale per il Paese”.
Rizza: “Aumentare gli organici, stabilizzare i precari, ridurre il numero degli alunni per classe, aumentare il tempo scuola, uniformare i salari non solo rispetto ai livelli europei ma anche all’interno della Pubblica amministrazione, garantire la presenza fisica della scuola in tutti i contesti territoriali a prescindere dal numero degli alunni, e infine una formazione permanente e in orario di servizio per tutto il personale scolastico, rappresentano l’unica strada percorribile. Questo dovrebbe fare un Governo che ha veramente a cuore il futuro dei nostri figli e delle future generazioni. Ma non mi pare che l’orientamento politico dell’attuale Governo vada in questa direzione. Pochissime risorse nella legge di bilancio 2023 per il rinnovo contrattuale già scaduto nel 2021, l’innalzamento dei parametri per il dimensionamento scolastico da 600 a 900 e l’autonomia differenziata che potrà solo peggiorare il sistema d’istruzione (e non solo) nella nostra regione, credo che vadano in una direzione diametralmente opposta. È invece necessario andare alla radice di tali episodi, per comprenderne il significato e individuare le linee di una più ampia azione in grado di richiamarne e fronteggiarne le cause. Al fine di contrastare questi fenomeni degenerativi e ridare dignità e forza alla scuola pubblica, secondo il CSPI, occorre mettere a punto una pluralità di interventi per rafforzare il concetto di scuola come bene comune e luogo primario di socializzazione e di relazione tra le persone”.
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