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Meno di un’impresa siciliana su 5 vende all’estero

Meno di un’impresa siciliana su 5 vende all’estero

Meno di un’impresa siciliana su 5 vende all’estero

PALERMO - L’innovazione e la crescita tecnologica non sembrano fare per le imprese siciliane. Un dato che desta una enorme preoccupazione, e viene fuori dal “Rapporto sulle imprese 2021” dell’Istat. Il ragionamento è semplice: la disponibilità di competenze è una condizione essenziale affinché le imprese possano impiegare con successo le tecnologie digitali. Nel censimento permanente sono state rilevate le competenze digitali, di base e specifiche per il singolo settore, oltre che ricadenti negli ambiti della comunicazione, della sicurezza di dispositivi e dati e della soluzione di problemi tecnico-informatici, ritenute rilevanti dalle imprese con almeno 10 addetti e la disponibilità di queste presso il personale, con riferimento al 2018.

Se poi si guarda alle tecnologie più sofisticate, come stampa 3D, tecnologie di simulazione numerica per l’ottimizzazione di processi industriali e internet delle cose (Iot), in Sicilia gli investitori nel 2016-2018 sono stati appena il 2%, doppiati da regioni come Lazio, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta. Al contrario, in Sicilia, per realizzare i progetti innovativi adottati o previsti, le imprese hanno soprattutto rinnovato i propri strumenti: il 15,1% ha comprato macchinari e attrezzature, e la Sicilia si trova tra le regioni che hanno investito maggiormente.

La mancanza di spinta verso il futuro, di voglia di procedere oltre, di guardare ad un sistema economico sicuramente più complesso ma con prospettive interessanti sono evidenti anche nella differenza di imprese sul territorio delle diverse regioni: la densità di imprese in relazione alla popolazione in età di lavoro (a livello nazionale pari a 121 per mille residenti tra i 20 e i 65 anni) supera i 135‰ in Val d’Aosta, Toscana, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Marche, ma scende intorno o sotto il 100‰ in Campania, Basilicata, Calabria e per l’appunto Sicilia. Molto più ampio è il divario in termini di addetti: si va da valori prossimi o superiori a 700‰ in Lombardia, nelle province emiliane, a Bolzano e Prato, e fino a 1.081 nella città metropolitana di Milano, a valori sotto i 250 a Rieti nel Centro, in Calabria e Sicilia (con un minimo di 197‰ ad Agrigento). Questo è legato alla scarsità di imprese industriali e nei servizi non commerciali (dove primeggiano Milano e Roma, insieme a diverse province toscane), mentre le attività commerciali sono distribuite in maniera più omogenea.

Inoltre, nel Mezzogiorno le imprese tendono ad avere dimensioni medie sensibilmente inferiori rispetto al Centro-nord: di quasi il 35% per il complesso delle attività, nel commercio e nella logistica, e di circa il 50% nell’industria in senso stretto e nei servizi Ict. Prendendo in considerazione l’aspetto territoriale, le Regioni che hanno lavorato nell’area internazionale sono situate soprattutto nel Nord del Paese, compendiando aspetti di specializzazione, forza economica e prossimità geografica ai mercati esteri. L’incidenza di imprese con vendite all’estero approssima o supera il 40% in Friuli, Lombardia, Veneto e Piemonte; nel caso delle grandi imprese, vende all’estero quasi il 70% di quelle friulane, ma oltre la metà anche tra quelle di Marche e Abruzzo.

Di converso, prevalentemente orientate al solo mercato locale sono le imprese di Sardegna, Sicilia e Calabria. In Sicilia, infatti, solo il 17% ha propensione di vendite al mercato internazionale, e si fermano al 37% quelle che lavorano nel mercato nazionale. Una miopia, quindi, che spinge le imprese a guardare molto in piccolo intorno a sé, perdendo di vista moltissime opportunità di crescita.

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