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In Sicilia continua l'impennata dei prezzi

In Sicilia continua l'impennata dei prezzi

In Sicilia continua l’impennata dei prezzi

PALERMO - Continua l’impennata dei prezzi, continua a crescere il peso dei rincari sulle famiglie siciliane. Molte le categorie di spesa prese in considerazione dall’Unc, Unione nazionale consumatori, che ha analizzato i dati Istat relativi all’inflazione del mese di settembre per quanto riguarda cibo e bevande, scuole materne, acqua, rifiuti, ristorazione e accoglienza.

In ognuna di queste voci le città siciliane spiccano in negativo, purtroppo. Per quanto riguarda cibo e bevande, Catania si trova al 18esimo posto della classifica delle città più care, con una inflazione che arriva al 13%; Palermo è poco sotto, al 12,4%, entrambe ben al di sopra comunque della media nazionale che si ferma all’11,7%. Catania si trova addirittura al primo posto della classifica per quanto riguarda i costi di acqua e rifiuti, con una inflazione che arriva al 16,4%. Uno sproposito rispetto alla media nazionale, che scende all’1,8%.

Per quanto riguarda il costo della scuola dell’infanzia ed istruzione primaria, incontriamo la prima città siciliana al 13esimo posto: Messina, con l’inflazione al 4,7%, contro la media nazionale del 2,8%. Palermo si pone appena sotto, al 2,7%, seguita da Siracusa al 2,6%. Anche i servizi di ristorazione segnano numeri importanti, che si traducono in spese non indifferenti per le tasche dei siciliani: al secondo posto in classifica si posiziona Palermo, al 9,4% di inflazione annua a settembre, Catania si ferma al 6%, insieme a Siracusa, poco sopra la media nazionale, al 5,9%.

In ultimo, Unc ha guardato all’inflazione relativa ai servizi di alloggio: Trapani è al 45,5%, prima in classifica tra le città italiane considerate. Palermo, al 19esimo posto, segna il 16,5%, poco sopra la media nazionale al 16%.

Ad uno sguardo più generalizzato, parliamo di inflazione a due cifre, che significa, nella pratica, un aumento di spesa che incide sulle famiglie in maniera drastica e drammatica.

Per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche, nella penisola si sale dell’11,7% su settembre 2021, equivalente a una stangata pari in media a 660 euro in più su base annua e in molte città è andata molto peggio.

A guidare la classifica è sempre Cosenza, che segna +16%, pari a +1.034 euro in termini di aumento del costo della vita per una famiglia media. Al secondo posto Ascoli Piceno, con un incremento dei prezzi del 14,2% e un aggravio annuo pari a 773 euro, al terzo Viterbo dove mangiare e bere costa il +14,1% in più, 785 euro. Il cibo è più caro a Cosenza (+16%), Ascoli Piceno (+14,2%) e Viterbo (+14,1%).

Sull’altro versante, la città in cui si “risparmia” per mangiare e bere è Bergamo, dove i prezzi crescono “solo” dell’8,7%, pari a 498 euro. Medaglia d’argento per Como (+9,1%, +521 euro) e sul gradino più basso del podio Parma (+9,2%, +492 euro). Per la fornitura di acqua, raccolta rifiuti e spese condominiali, se in Italia l’inflazione tendenziale di settembre è bassa, +1,8%, a Catania è più di 9 volte tanto, +16,4%. Al secondo posto Bolzano con +12,4%, quasi 7 volte tanto la media nazionale, al 3° Verona con +9,7%. La più virtuosa, invece, è Reggio Emilia (-4,5%), al secondo posto Perugia (-3,6%), al terzo Caltanissetta (-3,3%).

Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia ed istruzione primaria, sia pubblica che privata, si profila una vera stangata per le famiglie di Ancona, dove rispetto allo scorso anno questi servizi costano il 12,1% in più. Al secondo posto Como, con +12%. Medaglia di bronzo per Bergamo (+9,5%).

Bene, invece, Olbia Tempio e Catanzaro, ambedue in deflazione con, rispettivamente, -2,9% e -0,9%. Per i servizi di ristorazione, a Cosenza i ristoranti rincarano rispetto a settembre 2021 del 9,9%.

La città più risparmiosa è Lodi (1,7%), in seconda posizione Campobasso (+2,2%), al terzo posto Vercelli (+2,4%).

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