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Caporalato, lavoratori sfruttati anche in provincia di Messina

Caporalato, lavoratori sfruttati anche in provincia di Messina

Caporalato, lavoratori sfruttati anche in provincia di Messina

MESSINA - In Sicilia ci sono ancora zone in cui ogni anno si creano ghetti, luoghi invivibili e malsani che diventano dormitori per lavoratori sfruttati e disperati. In 53 aree, segnalavano i vertici della Cisl regionale alcuni mesi fa, un caporale esercita un dominio assoluto su altri esseri umani, attraverso minacce, ricatti, violenze e abusi. La scorsa estate è partita l’iniziativa del viaggio in Camper della Cisl in quelle aree critiche per parlare con i lavoratori sfruttati e sostenerli a rompere quel muro di omertà che oggi avvolge il fenomeno del caporalato creando una rete di supporto per aiutarli a uscire da una condizione di marginalità. A luglio si è anche insediato il tavolo regionale di contrasto al grave sfruttamento lavorativo e al caporalato di cui fanno parte istituzioni, sindacati, Prefetture e Forze dell’ordine.

La provincia di Messina non è estranea al fenomeno, molto sommerso, e coinvolge oltre mille lavoratori, ma il numero è molto approssimato. Qui ci sono territori che vivono principalmente di agricoltura e florovivaismo, ci sono aziende che fanno ricorso a lavoratori stagionali ma anche quelle che ricorrono a manodopera da sfruttare. Non ci sono ghetti ma appartamenti dove tutto è ancora più sommerso e difficile da individuare.

La legge sul caporalato ha avuto i suoi effetti, ma non basta per stroncare l’illegalità. Sabina Barresi segretaria generale della Fai Cisl, spiega al QdS la situazione nel messinese. “La Fai Cisl – ha affermato - è tra le federazioni che ha spinto maggiormente per la legge sul caporalato, che abbiamo ottenuto dopo diverse iniziative. Nel 2018 abbiamo istituito anche un numero verde a cui rivolgersi in maniera del tutto anonima e gratuita. Abbiamo avuto finora tantissime segnalazioni. È chiaro che bisogna fare ancora tanto. Attendiamo da tempo, soprattutto sul territorio messinese, l’istituzione di una cabina di regia che veda insieme associazioni sindacali, datoriali ed Enti per lavorare in sinergia e avviare azioni di contrasto”.

“Nel messinese – aggiunge - abbiamo una diminuzione di manodopera di circa il 32%, ma allo stesso tempo c’è un aumento di manodopera immigrata e qualcosa evidentemente non funziona nel rapporto con le giornate lavorate. Dietro c’è una sorta di commercializzazione di permessi di soggiorno e altri illeciti con uno sfruttamento vero e proprio del lavoratore”.

Cambia anche la figura del “caporale” dell’immaginario. “I ‘caporali’ – spiega la rappresentante sindacale - non sono solo uomini, ma anche donne, in molti casi molto più spietate, con episodi che abbiamo rilevato di prostituzione forzata per potere accedere ai campi di lavoro”.

A Messina l’area in cui è più presente il fenomeno delle agromafie è quella dei Nedrodi, come raccontano le cronache giudiziarie. “Lì – sottolinea Barresi - c’è una manodopera fittizia, a valle legata ai vivai e che coinvolge le donne. Nelle zone montane è più una manodopera proveniente dai paesi dell’Est, perché non hanno difficoltà a trattare con gli animali e fare orari pesanti. Mancano i controlli non per volontà degli organi ispettivi, ma per mancanza di personale adeguato: c’è un problema strutturale a livello regionale che deve essere affrontato”.

Barcellona Pozzo di Gotto è un posto strategico, perché da lì e dai comuni limitrofi i caporali si spostano prima che sorga il sole con i furgoncini portando le persone nell’entroterra e non sono solo immigrati o persone di colore, ma anche italiani che non trovano altra occupazione e sono costretti ad accettare condizioni da sfruttamento. “Quando si paga meno del 50% della retribuzione giornaliera prevista dal contratto – dice Barresi - già questo per noi è sfruttamento. La paura la fa da padrona e cerchiamo di combatterla, intanto il numero verde consente la denuncia in anonimato e poi c’è la petizione ‘mai più ghetti’, con cui la Federazione vuole impegnare il Parlamento e il Governo nazionale per combattere lo sfruttamento e restituire dignità e diritti”.

“Nella provincia di Messina – conclude - non registriamo presenza di ghetti, come succede nel ragusano e siracusano, luoghi dove non si sa quante persone arrivino né si sa chi siano perché gli sequestrano subito i documenti. Abbiamo però situazioni analoghe all’interno di appartamenti, affittati magari inconsapevolmente e quindi più difficili da individuare”.

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