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Lavoro nero, record della Sicilia

Lavoro nero, record della Sicilia

Lavoro nero, record della Sicilia

Oltre 250 mila i lavoratori in nero in Sicilia. Un numero enorme, segno di una economia che non funziona. Un circolo vizioso di decadimento, alimentato da chi si ritrova costretto a ricorrere al lavoro sommerso pur di sbarcare il lunario e chi, invece, trova corretto defraudare lo Stato e la comunità civile, eludendo le tasse. La Sicilia, secondo i dati dell’Istat elaborati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, si trova al quarto posto tra le regioni in termini assoluti, superata soltanto dalla Lombardia, il Lazio e la Campania.

Poco meno di uno su cinque lavoratori è irregolare

In termini di tasso di irregolarità, la Sicilia scala la classifica, e si pone sul gradino più basso del podio: gli occupati non regolari, in rapporto al totale degli occupati, è del 17,9%. L’Isola è superata soltanto dalla Calabria, con 125.000 lavoratori in nero e un tasso del 20,9%, e dalla Campania, con 332.330 lavoratori e una irregolarità del 20,9%. Nulla a che fare con le regioni più virtuose: sul fondo della classifica si trova la provincia autonoma di Bolzano, con appena l’8,4% di tasso di irregolarità, e il Veneto, appena sopra all’8,5%.

Lavoro nero, Cgia: il salario minimo non è una soluzione

Una condizione, quella del sommerso, che necessita di soluzioni strutturali. E l’introduzione del salario minimo a 9 euro lordi [1], potrebbe non essere la soluzione tanto agognata. “In particolare nei settori dove attualmente i minimi tabellari sono molto inferiori alla soglia proposta – scrivono dalla Cgia -. Parliamo dell’agricoltura, del lavoro domestico e di alcuni comparti presenti nei servizi”. Secondo l’associazione, non è da escludere che molti imprenditori, costretti ad aggiustare all’insù i minimi salariali, potrebbero essere tentati a licenziare o a ridurre l’orario ad alcuni dei propri dipendenti, “costringendoli” comunque a lavorare lo stesso, ma in “nero”.

Aumentare il benessere dei lavoratori

La Cgia è comunque favorevole all’introduzione del salario minimo, purchè al suo interno, in base ai diversi Ccnl, si tenga conto delle voci che costituiscono il trattamento economico complessivo, dai benefit, alle indennità, ai premi, agli scatti di anzianità. “É indubbio che abbiamo la necessità di elevare le retribuzioni per garantire un tenore di vita più dignitoso – dicono dalla Cgia -, in particolar modo ai lavoratori più deboli. Da un punto di vista macro economico, ad esempio, con più soldi in tasca è verosimile ritenere che i consumi delle famiglie sarebbero destinati ad aumentare, dando così un impulso importante all’economia dell’intero Paese. Le casse dello Stato, inoltre, potrebbero contare anche su un maggiore gettito fiscale e contributivo. La letteratura specializzata ci segnala che i bassi salari portano a una diminuzione dell’impegno e quindi dell’efficienza delle maestranze nei luoghi di lavoro”.

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