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De Luca “Rilanciata una città bloccata dalla burocrazia”

De Luca “Rilanciata una città bloccata dalla burocrazia”

De Luca “Rilanciata una città bloccata dalla burocrazia”

Intervistato dal direttore Carlo Alberto Tregua, insieme al vice direttore, Raffaella Tregua, il sindaco di Messina e della Città Metropolitana di Messina, Cateno De Luca, risponde alle domande del QdS.

Quali sono state le criticità più importanti del Comune di Messina con cui ha dovuto fare i conti?
“Ho ereditato una città dissestata. Nei primi quattro mesi del mio mandato ho dovuto decidere se dichiarare il dissesto o rilanciare con una revisione del Piano di riequilibrio. Ho rivisto personalmente quasi ottomila capitoli di bilanci e quando ho capito qual era la patologia ho usato il bisturi, che ha portato alla riduzione dei dirigenti da 23 a nove. Adesso sono sei e sono sufficienti evidentemente, visto che secondo l’Agenzia di Coesione siamo la prima città d’Italia in capacità di spesa. Un primato che abbiamo ottenuto per due anni di seguito e probabilmente saremo confermati anche per il terzo. Quando mi sono insediato eravamo gli ultimi. È importante perché se riduco e razionalizzo la macchina burocratica l’effetto che si pensa è la paralisi. Invece ho eliminato i due terzi dei centri di costo e soprattutto degli elementi di disturbo; ogni dirigente che non è all’altezza del suo ruolo paralizza la Pubblica amministrazione e in questa riorganizzazione abbiamo ridotto da venti a otto i dipartimenti di cui i dirigenti delineano la cornice ma non governano i processi”.

Dal punto di vista finanziario il Comune si può dire al sicuro?
“Nel giro di tre anni Messina è diventata una città virtuosa. Possiamo certificare un’inversione di rotta, siamo passati da 550 milioni di euro di debiti censiti a 140 milioni di euro di debiti in tre anni con la rimodulazione del Piano di riequilibrio approvato il 23 novembre 2018, attraverso la ricetta che ho individuato del cosiddetto Salva Messina. C’erano 17.800 sentenze esecutive che ho abbattuto come massa debitoria, ora ne sono rimaste circa cinquecento che speriamo nel giro di due mesi di chiudere”.

Quali sono i risultati ottenuti in termini di performance?
“Ho chiuso le partecipate decotte, come Atm, un’azienda di trasporto pubblico con 82 milioni di debiti, con bilanci non approvati dal 2003 dal Consiglio comunale. Da cavaliere solitario sono riuscito a chiuderla pur non avendo una maggioranza in Consiglio. Nessun consigliere delle mie liste è stato eletto, ma sono riuscito comunque a fare votare delle delibere importanti. Basti pensare che per la chiusura di Atm ci volevano 23 voti su 32. Così è nata la nuova Atm Spa, che funziona benissimo. Siamo riusciti a sanare gli elementi strutturali: per esempio solo di interessi passivi il Comune di Messina pagava circa 650 mila euro l’anno, da quando mi sono insediato solo 1.800 euro per un mese. La riorganizzazione del Palazzo ha portato a un risparmio che ci ha consentito di approvare il Bilancio 2022/ 2024, che è stato esitato in Giunta e adesso inizia il percorso in Consiglio comunale”.

I cittadini sono soddisfatti, riesce ad avere dei riscontri?
“Ho finito adesso il mio tour dei villaggi e dei quartieri, monitoro personalmente gli effetti delle decisioni che vengono prese nel Palazzo, mediamente una volta ogni sei mesi giro i 45 villaggi e quartieri della città e parlo con la gente, chiedo come va il trasporto pubblico, che oggi ha autobus puntuali e ovunque; chiedo come va la raccolta differenziata, passata dal 8% del 2018 al 59,50% di settembre. Messina sarà bandiera blu il prossimo anno perché abbiamo raggiunto tutti i parametri previsti e tra questi anche quelli della differenziata”.

In cosa si differenzia la sua azione rispetto al passato?
“I dati dimostrano cosa significa essere un amministratore rispetto all’essere un politico. Chi c’era prima di me non ha fatto le scelte che doveva fare, anche perché significava aprire fronti di guerra terribili; i dirigenti non se ne sono andati a casa con il sorriso, hanno fatto tre cause e le hanno perse tutte. La cosa paradossale è che abbiamo avuto difficoltà con il Ministero, perché siamo stati la prima città ad attivare la cosiddetta procedura di messa in disponibilità dei dirigenti, non c’era un precedente. Questo dimostra che quando la politica è debole al cospetto dei dirigenti diventa schiava. Negli ultimi 25 anni Messina non ha confermato un sindaco ma chi è rimasto, qualcuno anche da 35 anni, sono sempre stati i dirigenti. La politica pagava lo scotto della cattiva gestione, ma i dirigenti nessuno aveva mai osato toccarli. Alcuni nascondevano le risorse disponibili alla Giunta e al Consiglio e a fine anno facevano risultare impegnate le somme, a gennaio le disimpegnavano e si facevano le loro cose, con variazioni di bilancio in violazione di legge. Oggi tutti questi dirigenti non ci sono più. Si può anche accusare la burocrazia, ma o si hanno le capacità per usare il bisturi, oppure è inutile puntare il dito quando non si hanno le capacità per risolvere i problemi”.

Tornando alla percezione dell’Amministrazione da parte della comunità, l’attenzione per le periferie in questi anni da parte dell’Amministrazione è cresciuta…
“Ognuno si trascina la propria identità. Io vengo da Fiumedinisi, la mia è una famiglia di contadini. Mi porto dietro la sensibilità di chi proviene da zone marginali e so la fatica che si fa a emergere. A Messina andava spezzata la sindrome dell’essere in periferia. Ci siamo riusciti perché il lavoro complessivo lo abbiamo fatto per valorizzare le zone di confine e puntare a risolvere quello stigma che ha segnato la città dal punto di vista culturale, le baracche”.

Quale percorso ha attivato per affrontare il problema delle baraccopoli?
“È stata una guerra, ma adesso ci sono quattrocento milioni di euro, perché alla fine è questa la cifra complessiva che abbiamo messo in piedi. L’ultimo bando che abbiamo vinto è stato quello del Programma nazionale per la qualità dell’abitare (promosso dal Mit ndr) dove siamo risultati primi in Italia per il livello della proposta. Abbiamo avuto 170 milioni di euro più la Legge speciale (cento milioni di euro in gestione alla struttura commissariale della Prefettura ndr) che abbiamo ottenuto. Né l’Agenzia di coesione attraverso la misura che è finalizzata proprio a contrastare la marginalità sociale, che è il Pon Metro, né il Parlamento nazionale conoscevano il termine baracche, come se Messina in questi anni non avesse avuto mai in Parlamento e nel Consiglio dei ministri dei rappresentanti. Una cosa paradossale. C’è voluto un sindaco spregiudicato che il 6 agosto 2018, appena insediato, ha fatto un’ordinanza per dire che entro quattro mesi dovevano essere tutti fuori dalle baracche e ha attivato le demolizioni. L’ho fatto per creare il caso, farmi impugnare l’ordinanza, scontrarmi con il prefetto. Così la politica che conta ha preso coscienza della vergognosa favelas. Sono passati 110 anni, perché hanno dovuto aspettare De Luca? C’era un motivo, tenere ottomila persone sotto scacco significava che con un pacco di pasta ti compravi il voto. Lo dicono le inchieste”.

Il Risanamento era una priorità nel suo programma. Si può definire un obiettivo centrato?
“Il risanamento delle 78 baraccopoli, che riguardano 2.200 famiglie e circa ottomila persone era il mio primo obiettivo e su questo ormai è tutto incardinato, c’è un crono programma: entro due anni devono essere tutti fuori dalle baracche, entro tre anni la demolizione complessiva. Il 20 dicembre avremo Mogol a Messina, colpito anche lui dalla vicenda delle baracche e faremo coincidere l’evento con la demolizione della baraccopoli per eccellenza, quella di Fondo Fucile, dove ci sono seicento baracche ma dove da un mese non abita più nessuno”.

Quali sono i maggiori problemi che ha dovuto affrontare come sindaco della Città Metropolitana?
“Come Città metropolitana ho ereditato un Ente senza bilanci, con opere finanziate ma bloccate. Adesso siamo i primi d’Italia ad avere approvato il Bilancio 2022/2024. La criticità più grossa con cui abbiamo dovuto fare i conti è stata quella della viabilità e la difficoltà di collegamento tra i vari centri della provincia, che si articola in 108 comuni. Abbiamo aperto 95 cantieri trovando tutte le risorse necessarie. Abbiamo raggiunto buoni risultati con un solo dirigente, licenziato peraltro da Musumeci. Nella Struttura commissariale per il Dissesto idrogeologico diretta da Maurizio Croce ci sono circa cinquanta funzionari, guarda caso non è stato rinnovano il contratto a due soli di essi, tra cui Salvo Puccio (ex presidente Amam ndr) perché amici miei. Con Puccio siamo diventati la seconda Città metropolitana d’Italia per capacità di spesa, ci batte soltanto Napoli perché ha il progetto della Metro. Noi abbiamo 78 centri di costo, dei macroprogetti con 62 soggetti attuatori. L’accelerata che abbiamo dato alla Città Metropolitana è stata principalmente sulle strade e poi sulla programmazione. Abbiamo quasi un miliardo di euro di progettazioni pronte, riguardanti tutte le strade intercomunali, strategiche nei collegamenti, intervallive e altro. Alcune arterie sono diventate adesso provinciali con l’Accordo di programma fatto, in settanta dei 108 comuni. Non è un problema di risorse, ma di progettualità”.

Altro tema caldo è la condizione degli edifici scolastici. Com’è la situazione nel territorio messinese?
“Quando mi sono insediato ho chiuso tutte le scuole con un’ordinanza perché non ce n’era una che avesse le certificazioni antisimiche e antincendio in regola. Credo che siamo la città che ha avuto più finanziamenti in Italia per le scuole. Tra interventi per la vulnerabilità sismica e quelli per la riqualificazione siamo a oltre cento milioni di euro di risolse assegnate. Le opere sono state tutte finanziate e gran parte dei lavori sono stati avviati. Si stanno portando avanti anche perché abbiamo un sistema di monitoraggio, un modello organizzato nel Ced di autocontrollo. In un programma sono censiti i Rup, le opere assegnate, il tempo stimato concordato per ogni fase, se uno step non viene rispettato arriva un alert che mi avvisa, così posso verificare e prendere eventuali provvedimenti nei confronti del Rup. Tutto questo sistema ha accelerato la spesa”.

Oltre il Risanamento quali sono le altre opere che vuole realizzare in questi tre mesi prima delle annunciate dimissioni?
“La creazione di un Digital innovation hub al quale abbiamo lavorato in collaborazione con l’Università di Messina. Sono 70 milioni di euro di finanziamento per realizzare un progetto sostenuto dall’Agenzia di coesione che prevederà, nell’area davanti alla Camera di Commercio, la riqualificazione di un compendio di cinque ettari di proprietà del Comune di Messina dove sarà fatto il Polo tecnologico più importante del meridione. Ricade in area Zes, tra quelle messe in palio che dovevano essere richieste con proposte innovative. Entro fine febbraio sarà fatta la gara d’appalto del primo lotto. L’altro progetto su cui stiamo già lavorando ed è finanziato è la forestazione urbana. Sono circa 40 milioni di euro che abbiamo inserito nella strategia del Pnrr, un’operazione che ci consentirà di fare risalire Messina nella classifica che la vede tra le ultime città d’Italia per spazi attrezzati a verde”.

Quali progetti sarà più complicato portare avanti?
“Una delle scelte scellerate dei messinesi negli anni sessanta è stata quella di non andare a prendere l’acqua nel nostro territorio, si dovevano spendere miliardi e sono venuti a Fiumefreddo dove spendiamo sette milioni di euro l’anno solo per l’energia elettrica. Ho fatto un progetto di ottanta milioni di euro per l’approvvigionamento idrico, ma probabilmente questo Governo regionale non ci consentirà di partecipare al bando del Pnrr, perché per potere avere queste risorse hanno messo come una delle condizioni che il servizio dovesse essere già affidato a un Ente gestore unico, cosa che in Sicilia non c’è quasi da nessuna parte. Ostacoli vi sono anche sulle infrastrutture per il trattamento dei rifiuti. Aspetto che la Regione mi finanzi con 27 milioni di euro il progetto per l’impianto per l’umido di Mili e sblocchi la struttura di Pace dove siamo fermi dal 2012 con l’appalto fatto e i lavori non partiti. Questo è un Governo regionale che più di altri ha favorito i privati. Lo dimostrano i fatti. Perché un commissario dei rifiuti come Musumeci, nominato a febbraio 2018, con 65 milioni di euro a disposizione per fare le infrastrutture di secondo livello, non ha speso un euro? Perché dopo tre anni e mezzo aspettiamo ancora che inizino i lavori della settima vasca di Bellolampo?”.

Lei è per le vasche o per i termovalorizzatori?
“Un termovalorizzatore basta in Sicilia, ma non ora. Adesso si può iniziare la programmazione ma già si dovevano realizzare le strutture di secondo livello. Stanno facendo di tutto per riempire le discariche attuali e arrivare a novembre 2022. Passate le elezioni, chi arriverà dopo avrà problemi seri per gestire tutto”.

L’ambiziosa sfida per la Presidenza della Regione

Dopo le esperienze di Fiumedinisi, Santa Teresa di Riva e Messina, adesso si punta al grande salto a Palermo

Conferma la sua intenzione di candidarsi alla Presidenza della Regione?
“Mi dimetterò a fine febbraio. Il percorso è tracciato e stiamo andando avanti. Non ho scelta, volevo continuare a fare il sindaco a Messina anche perché dopo avere fatto il lavoro sporco adesso sarà tutto più facile. Dissi che avrei governato dieci anni, ma abbiamo tirato le somme e abbiamo già raggiunto l’80% degli obiettivi previsti dal mio programma. Ho un Consiglio comunale che ha talmente paura di confrontarsi con me che per il secondo anno si è rifiutato di mettere all’Ordine del giorno la relazione annuale del sindaco. Sono 2.500 pagine di argomenti a cui non sanno controbattere. Quel 20% non ancora raggiunto non dipende da me ma da chi sta sopra la mia testa, dal Governo regionale”.

C’è qualcosa a cui teneva particolarmente e non è riuscito a realizzare proprio per queste criticità?
“Il passaggio al Comune e la bonifica dell’area ex Sanderson, trenta ettari di veleni in ambito urbano, ancora di proprietà dell’Esa. Quando ero deputato all’Ars, nella Finanziaria del 2018 ho fatto inserire l’articolo 99 che prevedeva una disponibilità finanziaria di quattrocento milioni di euro, proveniente da fondi Poc non programmati. Tra le cose previste c’era il risanamento e la bonifica dell’ex Sanderson a cui venivano destinati 25 milioni di euro. Passò pure l’emendamento di cessione dell’area al Comune di Messina. Alla fine però non se n’è fatto nulla e ci sono stati già due incendi negli ultimi due anni. In quell’area avrei realizzato il nuovo Polo fieristico e dell’alta tecnologia”.

Tornando alla corsa alla Regione, come pensa di raccogliere il consenso? Conta più sull’assenteismo o sul coinvolgimento?
“Conto molto sulla mia capacità di coinvolgere, che sarà sia su quelli che già votano che su chi non sta andando a votare perché non riesce più a percepire cosa dice il politico. Riesco più io a suscitare attenzione cantando i problemi della gente che non un politico che tenta di spiegarli. Non c’è cosa peggiore di una classe politica che non sente sulla propria pelle la responsabilità che ha: non percependo l’emozione non riesce a trasmettere emozioni, è questo il concetto base. Farò un giro non comune per comune ma casa per casa. Oggi i siciliani hanno un’opportunità, quella di eleggere alla guida di questa meravigliosa Sicilia una persona che non campa di politica, ha un’esperienza amministrativa già dimostrata sul campo, rinuncia per l’ennesima volta a una poltrona sicura, come ho rinunciato a quella di deputato per andare a fare il sindaco di Messina, una città fallita. Una persona che ha saputo fare delle scelte nette sul campo, una persona che per storia politica si è sempre trovato all’opposizione di certi sistemi”.

Governare la Regione Sicilia, però, non è come amministrare un Comune, seppur molto importante, come Messina…
“Quando mi sono candidato a Santa Teresa Riva mi hanno detto: ‘Ma questo non è Fiumedinisi’. E ho vinto. Poi mi sono candidato a Messina e mi si diceva: ‘Ma questa non è Santa Teresa”. E ho vinto. È ovvio che la Sicilia non è soltanto Messina, ma tutto si fa in proporzione. Sono partito da Fiumedinisi e facendo molti sacrifici ho realizzato una struttura che oggi è presente in 78 province, 19 regioni, con 1.500 sportelli, la Fenapi. So cosa significa fare la gavetta, dormire sui cartoni e ne vado orgoglioso. Ho avuto 17 processi e due arresti e sono incensurato. Questa è la mia storia. Ho fatto tre volte il deputato e sei anni di Commissione bilanci. Non mi propongo ai siciliani per ambizione, ho fatto esperienza a tutti i livelli e conosco i sistemi e i meccanismi della politica”.

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