“Benvenuti nel Parlamento più antico del mondo”: così recita il sito ufficiale dell’Assemblea regionale siciliana (Ars), istituzione unica in Italia grazie allo Statuto speciale della Regione. In Sicilia, infatti, non esistono consiglieri regionali ma deputati, con prerogative e trattamenti economici più simili a quelli dei parlamentari nazionali.
Tra i privilegi che distinguono l’Ars dal resto delle assemblee regionali italiane spiccano due elementi:
-
il trattamento salariale equiparato a quello dei senatori, con un tetto massimo di 11.100 euro lordi mensili;
-
il diritto al voto segreto, un potere che nemmeno il Senato della Repubblica possiede più.
Negli ultimi mesi, proprio quest’ultimo strumento parlamentare sta mettendo in crisi la tenuta del governo regionale guidato da Renato Schifani.
Il voto segreto e la crisi del governo Schifani
A Sala d’Ercole, sede dell’Ars, il voto segreto è diventato l’arma politica che ha fatto naufragare diverse riforme chiave: dalla riforma delle Province ai Consorzi di bonifica, fino ad alcune misure della manovra ter 2025, come quella sul South working.
Ogni volta che l’opposizione chiede di votare a scrutinio segreto, emergono franchi tiratori nella maggioranza che affossano le proposte del governo. Una prassi ormai consolidata: si parla di oltre 50 votazioni segrete dall’inizio della legislatura.
La situazione richiama il precedente dell’era Musumeci, quando l’allora presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, propose di limitarne l’uso. Oggi, con una maggioranza numericamente solida ma politicamente divisa, il tema torna d’attualità con urgenza.
Le regole sul voto segreto: il modello del Senato
Il Regolamento del Senato della Repubblica, cui l’Ars fa riferimento in base alla legge 44/1965, limita l’uso del voto segreto a casi eccezionali, come le questioni etiche, le elezioni interne e le delibere che riguardano persone.
Non è invece consentito il voto segreto per:
-
leggi di bilancio o consuntivi;
-
disposizioni tributarie o contributive;
-
provvedimenti che comportano spese o minori entrate.
Proprio su questo modello la Democrazia Cristiana intende intervenire per cambiare le regole all’Ars.
La proposta della Dc per abolire il voto segreto all’Ars
Il capogruppo Carmelo Pace, insieme al partito di Totò Cuffaro, ha depositato un disegno di legge per limitare o abolire il voto segreto nelle deliberazioni su bilanci, tributi e spese pubbliche.
L’obiettivo è “stanare i falsi alleati” e costringere la maggioranza a schierarsi apertamente. Il ddl della Dc anticipa così la proposta annunciata dal presidente dell’Ars Gaetano Galvagno (Fratelli d’Italia), che dovrebbe essere esaminata dalla Commissione per il Regolamento.
Ma proprio in Commissione, gli equilibri politici interni rendono difficile l’approvazione: una parte del centrodestra è contraria a toccare lo strumento, temendo di perdere margini di manovra politica.
Le reazioni e le prospettive politiche
Nel centrodestra, la questione divide. La Dc chiede di intervenire “prima della finanziaria, altrimenti meglio staccare la spina”, mentre altri gruppi preferiscono rinviare il dibattito.
L’eurodeputato di Fratelli d’Italia Ruggero Razza si è espresso chiaramente: “Non solo sono favorevole all’abolizione del voto segreto all’Ars, ma bisogna andare oltre, inserendo anche il voto di fiducia”.
Tuttavia, tra le intenzioni e la realtà politica di Palazzo dei Normanni resta un ampio divario. Il rischio è che, come già accaduto in passato, il voto segreto torni a essere l’ago della bilancia capace di bloccare ancora una volta le riforme.
di Mauro Seminara
Lascia una risposta