di Patrizia Penna -
PALERMO - Dopo la pubblicazione della prima puntata, avvenuta lo scorso sabato 7 novembre (leggi qui), proseguiamo la nostra analisi di risvolti e retroscena della pandemia che ha sconvolto le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre regole sociali.
Una pandemia che ha fatto saltare gli schemi anche sul fronte sanitario, dove la gestione emergenziale ha preso il posto della routine delle procedure cosiddette ordinarie. L’emergenza da Covid-19, al netto dello spirito di sacrificio ed abnegazione dimostrato dai nostri operatori sanitari, ha fatto emergere più criticità e carenze che eccellenze.
I monitoraggi che ogni settimana fornisce la Fondazione Gimbe ci restituiscono l’immagine di un’ascesa dei contagi che sta portando gli ospedali alla saturazione. Nonostante le rassicurazioni dei responsabili politici e istituzionali, sia nazionali che locali, la sensazione è quella di una corsa contro il tempo per scongiurare il paventato tracollo del sistema sanitario italiano.
Le procedure di tracciamento dei contatti procedono a rilento, tantissime le segnalazioni giunte nelle scorse settimane in redazione da parte di positivi asintomatici, costretti ad attendere parecchi giorni prima di essere sottoposti a tampone.
Poi c’è il dramma dei malati, non di Covid, ma pazienti oncologici o affetti da altre patologie), nei confronti dei quali l’assistenza sanitaria è stata al momento congelata a causa dell’emergenza sanitaria. Per non parlare del fronte prevenzione: screening, visite di controllo, se non urgenti, vengono giustamente posticipate. In alcuni casi sono gli stessi cittadini a rinunciarvi e a rinviare a tempi migliori.
La principale carenza riscontrata negli ospedali di tutta Italia, però, è quella del personale. Proprio sulle colonne di questo giornale, l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, rassicurava i siciliani: “Siamo in grado di garantire assistenza ad ogni malato di Covid-19”. Secondo il sindacato regionale Cimo (Coordinamento italiano medici ospedalieri) , invece, nella nostra Isola mancherebbero all’appello qualcosa come tremila unità di personale tra medici e infermieri. La Regione siciliana è corsa ai ripari e proprio su questo fronte ha pochi giorni fa firmato un’intesa con tre università siciliane per agevolare l’assunzione di medici specializzandi, “ma garantendo gli stessi standard formativi”, assicura Musumeci. L’emergenza, dunque, ha posto le istituzioni di fronte alla necessità di “velocizzare”, per forza di cose, le procedure di assunzione di personale chiamato ad affrontare l’emergenza sanitaria. Ma a proposito di adeguata formazione, si registra ancora una volta l’intervento dei sindacati che nei giorni scorsi hanno denunciato una vergogna nazionale: ortopedici, urologi, chirurghi estetici messi in servizio nei reparti Covid senza avere una preparazione adeguata: gli schemi, per l’appunto, sono saltati. Una “pericolosa abitudine”, l’hanno definita i sindacalisti, che può comportare “forti rischi, sia per il medico sia per i pazienti”.
Le ripercussioni derivanti da una flessibilità portata agli estremi non riguardano solo la salute ma anche le nostre tasche. L’emergenza ha infatti allentato anche i controlli. Un recente rapporto dell’Anac ha evidenziato come ammonti a 63 milioni di euro la spesa sostenuta nel corso dei mesi di marzo e aprile in Sicilia per l’acquisto di forniture e servizi sanitari connessi al trattamento e al contenimento dell’epidemia da Covid-19.
Considerata la rilevanza socio-economica che gli effetti del periodo emergenziale hanno prodotto sul Paese, l’Autorità nazionale anticorruzione ha effettuato un’indagine conoscitiva sugli affidamenti ed è emerso che in Sicilia si è fatto ricorso alla centralizzazione degli acquisti per appena il 26,5% dell’ammontare complessivamente speso (ovvero, solo 16,7 milioni di euro); di conseguenza ammonta a ben 46,4 milioni di euro la spesa sfuggita agli strumenti di centralizzazione.
Omceo Sicilia: “Gestione inefficace” Razza: “Vengano uno, cento ispettori”
In Sicilia la polemica su “tenuta” del sistema infrastrutturale sanitario non conosce tregua.
“La Sicilia si è fatta trovare impreparata di fronte alla seconda ondata Covid, il governo regionale non è stato capace di programmare per tempo”: con queste parole la deputata grillina Valentina D’Orso ha rivolto accuse durissime a Musumeci “reo” di non aver potenziato il sistema sanitario, “sfruttando, tra le altre risorse, anche la premialità di 400 milioni di euro riconosciuta dallo Stato alla Regione per la sanità dell'Isola”.
“È per questo - ha proseguito la deputata - che la scorsa settimana ho denunciato la repentina chiusura ed il trasferimento di interi reparti ordinari negli ospedali di Palermo con una interrogazione parlamentare a mia prima firma indirizzata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie e al Ministro della salute”.
“Sono necessari interventi immediati - dice la parlamentare del Movimento 5 Stelle - che possano risolvere le gravi criticità presenti negli ospedali siciliani. Gli operatori sanitari devono essere messi nelle condizioni di gestire con serenità e sicurezza la grave emergenza epidemiologica in atto e i cittadini isolani devono poter fruire pienamente dei servizi e delle cure del servizio sanitario regionale in ossequio all’articolo 32 della Costituzione”.
L’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, intanto, respinge ogni accusa e fa sapere di non temere eventuali “controlli” sul suo operato: “In tutto il mondo - si legge in una nota - ed in ogni Regione d’Italia in queste ore si assiste alla crescita dei contagi, alla crescita dei ricoveri e al diffondersi dell’epidemia. In questi momenti dovrebbe esserci una responsabilità diffusa ed invece proliferano polemiche. Se il ministero della Salute vorrà inviare non uno ma cento ispettori in Sicilia sarò io il più contento. Anzi lo auspico”.
Contro Razza si sono schierati anche i presidenti degli i presidenti degli Ordini dei medici e degli odontoiatri della Sicilia che si sono riuniti a Messina per discutere dei problemi sanitari della regione: “Consapevoli delle criticità dalla ripresa della diffusione del Sars Cov-2, dopo una verifica sulle singole realtà provinciali sono emerse diverse disfunzioni che gli Ordini intendono segnalare tempestivamente, con spirito costruttivo ma con determinazione, al solo fine della tutela della salute dei siciliani”. “Salvo poche eccezioni - si legge ancora nella nota -si rileva la mancata distribuzione ai medici dei dispositivi di protezione individuale, fondamentali a garantire sicurezza e serenità ai sanitari, ai cittadini e ai pazienti”.
Sono 1.023 i nuovi positivi al Covid19 registrati in Sicilia ieri, su 8.458 tamponi effettuati; 27 i decessi di persone positive, che portano il totale a 703.
Con i nuovi casi salgono così a 21.039 gli attuali positivi con un incremento di 427. Di questi 1.490 sono i ricoverati con un incremento di 63: 1303 in regime ordinario e 187 in terapia intensiva con un aumento di dieci ricoveri. I guariti sono 524. I nuovi positivi sono così distribuiti per province: Palermo 188, Catania 359, Ragusa 161, Messina 133, Trapani 6, Siracusa 99, Enna 77, Caltanissetta e Agrigento nessun nuovo caso.
Spesa sanitaria pro-capite: in Sicilia 1.840 euro, in Lombardia 2.000 euro
Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, la spesa sanitaria in Italia è passata dai 116 miliardi del 2018 ai 117,3 miliardi del 2019. Un “balzo” cospicuo, da 1,3 miliardi, che però i cittadini, in virtù di tutte le criticità poc’anzi elencate, sembrano non aver percepito.
La Sanità è costata in Sicilia 9,2 miliardi di euro nel 2019. In Lombardia, dove la popolazione è circa il doppio di quella siciliana, nello stesso anno la Sanità è costata più del doppio: 20 miliardi di euro. Questi sono i dati che emergono dal monitoraggio della spesa sanitaria effettuato dal Ministero dell’Economia e delle Finanza (Mef). Questi numeri si traducono in una spesa pro-capite di 1.840 euro in Sicilia e di 2.000 euro.
Una differenza non da poco nella quale affondano le radici di quel gap tra Nord e Sud che, come è noto, non riguarda soltanto l’ambito sanitario perché se al Sud si spende meno rispetto al Nord per servizi ed investimenti, è chiaro che poi sul fronte della qualità i nodi vengono al pettine.
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