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Europa unita, sistemi uguali

Europa unita, sistemi uguali

Europa unita, sistemi uguali

E così, i 27 orfani della Gran Bretagna, hanno firmato un documento che, per mediare fra tutti, è stato edulcorato e ridotto ad un manifesto di intenzioni. Meglio di niente, si dirà. Pazienza occorre, si aggiungerà.
Tutto giusto. Tuttavia, agendo quasi da fermi, il processo di integrazione non comincia, con due gravi conseguenze: l’Unione europea non riesce a reggere la competizione mondiale, sempre più aggressiva, soprattutto da parte degli Stati Uniti d’America e delle tre tigri d’Oriente, cioè: Cina, Giappone e India. La seconda è che non riesce ad amalgamarsi, per cui restano profonde differenze in materia di lavoro, fisco, trasporti e sicurezza.
È nota la differenza delle condizioni di lavoro, dei trattamenti previdenziali, del Welfare e di altre materie inerenti, per esempio, fra Romania e Italia. Tanto che con un espediente, il nostro Paese ha impedito ad un’agenzia interinale rumena di aprire i propri sportelli qui.

In materia fiscale, ogni partner agisce come gli pare. Cosicché, l’Irlanda ha istituito una imposta molto bassa sui redditi di impresa e con ciò ha attratto la sede legale di centinaia di multinazionali. Anche l’Olanda adotta un simile trattamento, con la conseguenza che, per esempio, la Fiat Chrysler Automobiles, ha trasferito la sede fiscale ad Amsterdam e la sede legale a Londra.
Perciò si rende necessario che i sistemi fiscali dei 27 paesi diventino omogenei e, quindi, consentano una leale competizione che esalti il merito e non la furbizia.
Stesso amalgama è indispensabile in materia di sicurezza. I dispositivi  delle intelligences devono funzionare allo stesso modo, con una forte sinergia che consenta di moltiplicare l’efficacia e, per conseguenza, i risultati. Vi sono ancora molte intercapedini e le maglie sono larghe fra le sicurezze dei diversi Paesi, consentendo una scarsa sorveglianza sulla circolazione delle persone e sulla circolazione degli stranieri.
Per i trasporti, va sottolineato che i sistemi di guida e sicurezza dei convogli ferroviari non sono uguali, che i software spesso non si parlano, che addirittura esistono ancora linee a scartamento ridotto ed altre di dimensione diversa dallo standard europeo. Anche in questo versante c’è molta strada da fare.

La difesa delle frontiere di tutta l’Europa fa acqua perché non c’è un sistema centralizzato che consenta di intervenire con tempestività ove si rendesse necessario. Ognuno fa per conto proprio, con ciò rendendo fragile la difesa dell’Europa. Questo non è un problema grave perché non vi sono pericoli di nuove guerre. Però, la permeabilità delle frontiere consente l’invasione di tanti che, per entrare, dovrebbero prima chiedere il permesso, in modo da consentire allo Stato di valutare se rilasciarlo o meno.
Non vi è poi un’unica politica estera. Il cosiddeto Alto rappresentante, che è la nostra Federica Mogherini, di alto non ha proprio niente, in quanto non conta nulla e può fare gli interventi basandosi eslusivamente sulle proprie capacità di interlocuzione e sulla forza di persuasione, per tentare di mettere insieme una parvenza di politica estera. Tuttavia, non puoi vendere qualcosa a chi non vuole comprarla.

La tanto sbandierata Europa a più velocità è una finzione mediatica perché non si tratta di un nuovo modello dello stare insieme, ma della presa d’atto di ciò che c’è già. All’euro aderiscono solo 19 Paesi, a Schengen solo 22 Paesi. I soci fondatori sono solamente sei, l’economia tedesca non è paragonabile a quella bulgara o slovacca.
Va da sé che ogni Paese marcia secondo il proprio stato di salute (o di malattia), ma chi sta avanti non può attendere chi sta dietro, anche se ha il dovere di aiutare a crescere gli Stati più gracili.
È vero, l’Europa va ripensata. Bisogna fare in fretta perché si è affievolita la spinta del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957, sotto la regia del ministro, messinese e liberale,  Gaetano Martino.
I tempi cambiano, la velocità di crescita dei competitori aumenta, la lentezza dell’Europa è una macroscopica contraddizione, anche dal momento che il Vecchio Continente è la culla della cultura di tutto il mondo.
È proprio sulla cultura e sulla bellezza che si dovrebbe fondare il nuovo programma dell’Unione, oltre che sulla necessità di puntare ad una integrazione politica con la nascita degli Stati Uniti d’Europa. Un sogno? Ai posteri l’ardua sentenza!

Carlo Alberto Tregua

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