In Sicilia l’80% dei depuratori è “fuorilegge”, melma in mare senza un adeguato trattamento
di Rosario Battiato
PALERMO – Nonostante gli sforzi del commissario governativo per dare alla Sicilia il sistema di depurazione che merita, la strada è ancora lunga. Nel corso dell’ultima audizione in commissione Ecomafie, sia Arpa Sicilia che la Guardia di finanza isolana hanno denunciato un quadro inquietante, dove la maggior parte degli impianti, quando funzionano, si occupano solo del “pretrattamento” dei reflui, che poi vengono sversati a mare attraverso condotte sottomarine.
Nelle acque che lambiscono l’Isola, insomma, finisce di tutto e di più, con gravi contaminazioni che spesso costringono i sindaci a inibire interi tratti di costa alla balneazione. È una situazione da terzo mondo, senza precedenti in Italia ed Europa, con praticamente due milioni di abitanti (il 40% dei siciliani) scollegati dalla rete fognaria.
POPOLAZIONE SERVITA E NUMERO DI DEPURATORI
Il quadro dettagliato della situazione è stato fornito dall'Arpa che ha realizzato il consueto report annuale sulla depurazione. Catania ha la più bassa percentuale di acque reflue sottoposte a trattamento di depurazione nelle città metropolitane dell'intero territorio nazionale. Si tratta del 39,6%, anche se il 41,2% delle acque reflue prodotte vengono trattate in sistemi di depurazione individuali. Complessivamente ci sono 457 impianti di trattamento delle acque reflue in Sicilia, e il computo esclude quelli previsti eppure mai realizzati o quelli in stato di abbandono o vandalizzati e quindi inattivi o fermi per calamità naturali. Una grossa porzione di questi impianti, pari a circa la metà, si rintraccia tra Messina (149) e Palermo (82). Circa il 75% degli impianti scarica in acque interne, il resto in mare, mentre ce ne sono 14 che sversano nell'area sensibile del Golfo di Castellamare.
IMPIANTI NON FUNZIONANTI O SENZA AUTORIZZAZIONE
Secondo il monitoraggio realizzato dall'Arpa, su 457 impianti registrati, ce ne sono ben 73, cioè pari a poco meno del 16% del totale, che risultano essere non attivi, quindi non connessi alla rete fognaria. Esiste tuttavia un altro gravissimo problema evidenziato dalla relazione: meno del 20% degli impianti opera “attualmente con autorizzazione allo scarico in corso di validità” e tutti gli “altri operano in assenza di autorizzazione o con autorizzazione attualmente scaduta o sono stati già destinatari di decreti di diniego allo scarico”.
Non è sempre tutto così nero, perché in alcuni casi gli “Enti gestori o Comuni hanno regolarmente richiesto il rinnovo dell'autorizzazione ma l'iter non risulta concluso, ciò comporta ulteriori criticità in fase di controllo”. Sono stati effettuati il 20% circa dei controlli minimi previsti sugli impianti presenti sul territorio regionale. Si tratta di oltre 450 controlli – 469 per l'esattezza – e ben 213 sono state le sanzione proposte, a fronte di circa il 58% di contestazioni.
AUDIZIONE DIRETTORE ARPA: IMPIANTI VETUSTI
Circa una settimana fa, la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (la cosiddetta Commissione Ecomafie) ha audito Francesco Vazzana, direttore generale di Arpa Sicilia, approfondendo in particolare la situazione relativa alla depurazione. La denunzia dell'Agenzia regionale ha riguardato le ben note criticità del sistema depurazione: gli impianti sono in gran parte vetusti e i depuratori costieri inadeguati a reggere il carico estivo connesso all'arrivo dei turisti. In molti casi, secondo quanto riferito, gli impianti costieri, “in molti casi, si limitano a effettuare un pretrattamento dei reflui e scaricano poi a mare attraverso una condotta sottomarina”. Critica anche la situazione delle isole in provincia di Trapani dove, secondo quanto riferito, solo in un paio di casi esistono impianti di depurazione delle acque, che effettuano tuttavia solo un pretrattamento dei reflui. Dall'audizione sono emerse anche altre criticità che contribuiscono a rendere più difficili i controlli: da un lato, la carenza di organico dell'agenzia; dall'altro, la legislazione regionale sulla depurazione dei reflui che, secondo quanto è stato riferito, non è aggiornata e non risulta in linea con la normativa nazionale.
Dello stesso tenore l'audizione di Riccardo Rapanotti, comandante della Guardia di finanza della Sicilia. Il suo intervento ha riguardato, nel dettaglio, diversi casi di cattiva gestione delle acque reflue. In provincia di Palermo, “sono in essere accertamenti in autolavaggi, dove in molti casi si osserva una scorretta gestione delle acque reflue” mentre in provincia di Enna, le Fiamme gialle hanno svolto un'attività investigativa “sul depuratore di Valguarnera, finanziato dalla Regione siciliana, ma mai entrato in funzione perché realizzato in difformità rispetto al progetto: in questo ambito sono stati rinviati a giudizio nove soggetti”.
A Catania la Gdf ha anche svolto un “approfondimento investigativo su un sito di smaltimento e compostaggio che accoglieva rifiuti da circa 200 comuni senza trattamenti preliminari”. Altre attività hanno riguardato in provincia di Ragusa “scarichi industriali non autorizzati di un'azienda produttrice di bitumi e di un autolavaggio”. In provincia di Siracusa tre indagini hanno portato a misure cautelari, interdittive e al sequestro in un caso di 56 milioni di euro. Secondo Rapanotti tra le pincipali criticità dell’Isola vi è "la carenza di uno scambio di informazioni tra i diversi soggetti istituzionali preposti al controllo dell'ambiente e alla repressione di illeciti ambientali".
GLI AGGLOMERATI NEL MIRINO UE
Al danno si aggiunge la beffa. Oltre all'inquinamento derivato dallo scarico a mare dei reflui, la Sicilia è nel mirino dell'Ue per il ritardo nella messa a norma rispetto alla direttiva comunitaria in materia. Per sintetizzare la situazione isolana è possibile fare riferimento a un passaggio del focus realizzato appositamente per il QdS dall’ufficio della Struttura Commissariale per la Depurazione qualche mese fa, dove si legge appunto che la Sicilia è “la principale destinataria delle procedure d’infrazione in campo fognario depurativo, dovute al mancato adeguamento degli agglomerati alla direttiva comunitaria sulle acque reflue”.
Ci sono infatti 265 agglomerati sotto infrazione – alcuni già in sentenza di condanna con sanzione pecuniaria – a fronte di due sentenze definitive e di altre due procedure giunte rispettivamente allo stato di parere motivato complementare (2014/2059) e di lettera di costituzione in mora (2017/2181). E non si finisce qui: “una quinta procedura d’infrazione a carico dell’Italia – si legge nel documento della Struttura Commissariale – potrebbe riguardare altri 50 agglomerati siciliani, che supererebbero quindi quota 300”.
Una situazione che già ci costa: l’unica procedura giunta allo stato di condanna con una sanzione pecuniaria è collegata alla causa C-565/10. Una stima effettuata dalla Struttura Commissariale ha valutato il costo annuo in circa 10 euro ad abitante. Considerando i 3 milioni di abitanti equivalenti siciliani coinvolti nella procedura d’infrazione, si parla di circa 30 milioni di euro all’anno.
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