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Case e ospedali di Comunità, a Catania 39 nuove strutture

Case e ospedali di Comunità, a Catania 39 nuove strutture

Case e ospedali di Comunità, a Catania 39 nuove strutture

Un’occasione irripetibile. È questa la definizione che meglio si adatta alla rivoluzione della medicina territoriale che, almeno sulla carta, è prevista dal Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione europea). Case di comunità, ospedali di comunità, centrali operative territoriali. Tre sigle su cui si fonda la riorganizzazione. Che sta per muovere i primi passi anche a Catania e provincia. La scorsa settimana l’Asp etnea ha comunicato che sono stati approvati i progetti di fattibilità tecnica ed economica di 29 Case di Comunità (CdC) e di 10 Ospedali di Comunità (OdC). Il finanziamento è di 71 milioni di euro, di cui 66 milioni vengono dal Pnrr e 5 milioni dal bilancio aziendale. Gli atti sono stati inviati all’agenzia nazionale Invitalia che, in qualità di centrale di committenza, procederà alla pubblicazione dei bandi per l’affido degli appalti integrati.

La sfida è enorme perché è evidente a tutti da una parte la sofferenza delle strutture ospedaliere, in particolare dei pronto soccorso, col personale medico ridotto all’osso, e dall’altra la difficoltà per i cittadini di trovare risposte alle esigenze sanitarie sul territorio. La riforma sanitaria punta proprio a questo: ridurre l’afflusso ai pronto soccorso, soprattutto evitare i codici bianchi e verdi che rappresentano la maggioranza degli accessi, e creare dei percorsi di cura personalizzati.

Riuscirà la malandata sanità siciliana a realizzare l’ambizioso progetto?

Le Case di comunità

Il piano prevede di realizzare in tutta la Sicilia 106 case di comunità, 29 saranno in provincia di Catania così distribuite: Acireale, Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Caltagirone, Castiglione di Sicilia, 3 a Catania (ai presidi di San Luigi, San Giorgio e in via D’Annunzio), Fiumefreddo, Giarre, Grammichele, Gravina di Catania, Linguaglossa, Militello Val di Catania, Mineo, Mirabella Imbaccari, Misterbianco, Palagonia, Paternò, Pedara, Piedimonte Etneo, Ramacca, Randazzo, San Giovanni La Punta, San Gregorio di Catania, Scordia, Viagrande.

Cosa sono le case di comunità? Il ministero della Salute le definisce «il fulcro della nuova rete territoriale al quale il cittadino può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria». Si tratta di strutture dove il cittadino potrà essere seguito da medici di base, pediatri e infermieri in un percorso di cura, effettuare prelievi o esami diagnostici come ecografie o elettrocardiogramma. Verranno seguite le malattie croniche e calendarizzate visite ed esami necessari. Ci sono due tipi di case di comunità, hub e spoke.

Orari e personale

Le case di comunità hub coprono un territorio di 40-50mila persone e dovranno avere 7-11 infermieri, un assistente sociale, 5-8 unità di personale di supporto (sociosanitario, amministrativo). E ancora, tra le altre cose, ci saranno equipe multiprofessionali (medici di base, pediatri, Continuità Assistenziale, Specialisti Ambulatoriali Interni); la presenza medica h24 - 7 giorni su 7 anche attraverso l’integrazione della Continuità Assistenziale; la presenza infermieristica h12 - 7 giorni su 7; un punto prelievi; servizi diagnostici finalizzati al monitoraggio della cronicità con strumentazione diagnostica di base (ecografo, elettrocardiografo, retinografo, oct, spirometro, ecc.) anche attraverso strumenti di telemedicina (es. telerefertazione, ecc.); servizi ambulatoriali specialistici per le patologie ad elevata prevalenza (cardiologia, pneumologia, diabetologia, ecc.); attività di profilassi vaccinale.

Le case di comunità spoke sono più capillari ma hanno meno servizi. Qui la presenza medica e infermieristica sarà di 12 ore - 6 giorni su 7 (lunedì-sabato).

Serviranno nuovi medici e nuovi infermieri

Non è la prima volta che la sanità prova a organizzarsi sul territorio. Finora con scarsi risultati. Il vero banco di prova sarà trovare i finanziamenti per il personale sanitario necessario. Fondi che il Pnrr non mette a disposizione, ma che dovrà trovare la Regione. Stando ai requisiti ministeriali, solo in provincia di Catania serviranno almeno 200 infermieri che non possono essere cercati tra il personale già operativo nelle strutture ospedaliere. C’è poi il tema dei medici di medicina generale e dei pediatri. Attualmente l’Asp di Catania conta circa 900 medici e 150 pediatri. Numeri che, fanno i conti dall’azienda sanitaria, sono ritenuti sufficienti. Il lavoro dei medici nelle case di comunità sarà aggiuntivo rispetto a quello tradizionale nei confronti dei propri assistiti. Ma allo stesso tempo il monte ore complessivo allo studio nel nuovo contratto nazionale della categoria dovrebbe essere portato a 38 ore, di cui 20 ore da svolgere negli studi e 18 ore in attività sanitarie promosse dal distretto di cui almeno 6 nelle Case della Comunità. Resta da sciogliere il nodo sull’organizzazione dei medici, che avranno contratti di tipo convenzionale con l’Asp. La possibilità per i pazienti con patologie croniche di trovare un punto di riferimento costante vicino casa risulta ancora più importante se si pensa che nel solo distretto di Catania il 60 per cento dei cittadini ha almeno un’esenzione per patologia.

Per la provincia etnea la realizzazione di 29 Case di comunità è una sfida notevole, considerato che attualmente su tutto il territorio provinciale ci sono solo 14 punti ambulatoriali. I finanziamenti del Pnrr serviranno ad adeguare dal punto di vista strutturale strutture spesso vecchie e in alcuni casi non funzionanti da diversi anni. Sarà da verificare anche l’aspetto della sicurezza antisismica degli edifici.

Le Centrali operative territoriali

Le COT In provincia di Catania saranno 10: Acireale, Bronte, Caltagirone, Catania (3), Giarre, Gravina di Catania, Palagonia e Paternò. Per la loro realizzazione è prevista una spesa di 1 milione e 700mila euro.

La centrale operativa svolge un ruolo di coordinamento «della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti» nei diversi livelli di assistenza: medici di medicina generale, pediatri e medici di continuità assistenziale, medici specialisti ambulatoriali interni, e altri professionisti sanitari presenti nei servizi aziendali e distrettuali nonché personale delle strutture di ricovero intermedie, residenziali e semiresidenziali e dei servizi sociali. È prevista una Cot ogni 100mila abitanti e dovrà avere un coordinatore infermieristico, 3-5 Infermieri, 1-2 unità di personale di supporto.Per le 10 Cot della provincia di Catania le gare sono già state esperite e sono in fase di aggiudicazione.

Gli ospedali di Comunità

Gli ospedali di Comunità in provincia di Catania saranno dieci: l’Asp ha scelto Acireale, Adrano, Caltagirone, Catania, Linguaglossa, Mineo, Paternò, Ramacca, Randazzo, Vizzini.

Cosa sono? La prima differenza con le case di comunità è che gli ospedali di comunità avranno dei posti letto per ricoveri brevi (massimo 30 giorni). Il ministero li definisce «strutture intermedie tra l’assistenza domiciliare e l’ospedale», con l’obiettivo di «evitare ricoveri inappropriati alle strutture ospedaliere, supportando al meglio il processo di dimissione dalle strutture di ricovero e garantendo assistenza a pazienti con condizioni complesse». Parliamo di pazienti che a causa di «acuzie minori» o del riacutizzarsi di patologie croniche «necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica potenzialmente erogabili a domicilio, ma che necessitano di assistenza e sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile a domicilio» .

Insomma, o piccole emergenze o luoghi per chi viene dimesso dagli ospedali e non è ancora in condizione di tornare a casa. Il decreto prevede un ospedale di comunità con 20 posti letto ogni 100mila abitanti (0,2 posti letto ogni mille abitanti), con 7-9 infermieri, 4-6 operatori sociosanitari, 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4-5 ore al giorno 6 giorni su 7.

L’accesso all’ospedale di comunità avviene su proposta del medico di base o del medico di continuità assistenziale o del pediatra, di un medico specialista ambulatoriale interno ed ospedaliero, o di un medico del pronto soccorso. E questo è un altro passaggio chiave: se, anche attraverso le case di comunità, si crea un rapporto stabile tra medico e paziente, sarà il medico a valutare la necessità di accesso a un ospedale di comunità o piuttosto al pronto soccorso, con un livello di consapevolezza che dovrebbe ridurre gli afflussi nei pronto soccorso.

Sulla carta, un’occasione unica. Adesso sta alla politica regionale trovare i fondi e a chi guida la sanità pianificare l’organizzazione.

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