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La chimera termovalorizzatori in Sicilia sembra sempre più irraggiungibile

La chimera termovalorizzatori in Sicilia sembra sempre più irraggiungibile

La chimera termovalorizzatori in Sicilia sembra sempre più irraggiungibile

“Ad oggi le uniche discariche in funzione sono quelle di Enna, di Gela, Bellolampo a Palermo e Catanzaro costruzioni a Siculiana, nell’agrigentino”. Con queste parole Francesco Laudani, presidente della Srr Catania Area Metropolitana da poco riconfermato, descrive perfettamente il quadro dello smaltimento dei rifiuti siciliani. Troppe poco spazio rispetto al milione di tonnellate circa di indifferenziato prodotto dai cittadini siciliani secondo i dati Ispra. Necessaria è dunque la presenza di impianti di termovalorizzazione per ridurre il flusso di rifiuti in ingresso nelle poche discariche rimaste ed evitare il loro enorme imaptto ambientale.

I problemi dello smaltimento in Sicilia

Attualmente il sistema di smaltimento dell’indifferenziato siciliano può contare solamente sulle discariche. Di conseguenza, l’intero 50% di tutto ciò che non viene differenziato viene abbancato in discarica o trasportato fuori dall’Italia. Singolare la situazione in provincia di Catania, dove i Comuni conferiscono tra la discarica di Enna al costo di 200 euro a tonnellata e il Tmb di proprietà della Sicula Trasporti che “tratta i rifuti, li imballa e li spedisce fuori dall’Italia”, dice Laudani. Più precisamente li spedisce in altri impianti che li lavorano per poterli avviare alla termovalorizzazione. Al “modico” costo di 380 euro a tonnellata. Una cifra insostenibile per i Comuni che nella maggior parte dei casi sono stati costretti ad aumentare la Tari, che è già tra le più care d’Italia. Oltre il danno ambientale ed economico anche la beffa di spedire sulle navi energia che potrebbe essere utilizzata dalle famiglie siciliane. Alla surreale situazione che caratterizza i rifiuti indifferenziati siciliani si aggiungono anche i recenti problemi per il conferimento della carta e del cartone. “In questo momento - spiega Laudani - abbiamo un problema con gli impianti di selezione di carta e cartone che hanno esaurito le quantità autorizzate. Stiamo cercando altri impianti fuori provincia per far conferire questi rifiuti. La carta viene smaltita proprio grazie ad impianti in provincia di Siracusa e in provincia di Enna. Quindi in questo momento i comuni stanno conferendo ma ci stiamo rendendo conto che anche questi comuni hanno quantità limitate e bisogna confrontarsi con la Regione per capire a che punto è l’iter autorizzativo per l’ampliamento delle quantità in ingresso richiesto da diversi impianti”.

Termovalorizzatori siciliani: orizzonte 2027

La chimera termovalorizzatori in Sicilia sembra sempre più irraggiungibile. In questo momento, la Regione ha necessità di riscrivere da zero il piano dei rifiuti varato dalla Giunta Musumeci qualche anno fa e “bocciato” anche dalla commissione Ue. L’obiettivo finale è quello di inserire l’utilizzo dei termovalorizzatori per lo smaltimento dell’indifferenziato indicando però le reali quantità da mandare in questi impianti. Per fare ciò è necessario effettuare uno studio sui flussi di rifiuti esistenti in Sicilia: un documento che illustra le varie tipologie di rifiuti prodotti dalle varie Srr siciliane. Studio affidato al dipartimento di Ingegneria dell’Università di Palermo.

“Stiamo compiendo un esame attento - ha dichiarato nei giorni scorsi l’assessore Di Mauro - di quelli che sono i flussi, abbiamo dato vita ad un accordo con l’Università di Palermo per stabilire in quali siti ubicare i termovalorizzatori, abbiamo l’assenso di tutte le Srr e siamo convinti che sia una strada importante da perseguire, che vada all’indirizzo del risparmio di risorse da parte delle aziende”. Il numero di impianti dipenderà dunque dai flussi che verranno fuori da questo studio. “La Regione - ha dichiarato Francesco Laudani - ha chiesto tutti i flussi perché in base a questi andrà a essere revisionato il piano che dovrebbe prevedere i termovalorizzatori ma anche il fabbisogno di tutti i comuni. Sicuramente sarà un piano aggiornato alle attuali esigenze del territorio da dove potrebbero anche nascere delle progettualità”. Questo iter potrebbe concludersi dotando la Sicilia di termovalorizzatori “a fine legislatura” ha spiegato Di Mauro, ovvero il 2027.

Ma la condizione per mantenere questo orizzonte è dotare il presidente Renato Schifani di “poteri speciali”, come quelli ottenuti da Gualtieri per il termovalorizzatore romano. Poteri che il presidente ha richiesto al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ma che ancora non sono arrivati. Nel frattempo, ancora non è stato formalizzato l’incarico per lo studio dei flussi affidato a UniPa (come si può leggere nell’intervista sotto).

Termovalorizzatore romano in funzione nel 2026

Nonostante l’iter per la realizzazione del termovalorizzatore della Capitale sia partito dopo rispetto al primo tentativo di Musumeci di far nascere questi impianti in Sicilia, secondo il cronoprogramma dell’Amministrazione romana è prevista l’entrata in funzione nel settembre del 2026. Si tratterebbe di un termovalorizzatore capace di trattare 600 mila tonnellate l’anno di indifferenziato che dovrebbe sorgere nell’area di Santa Palomba, che si trova nella periferia romana. Quest’impianto verrà realizzato con un sistema di project financing: il piano del commissario Gualtieri prevede un contributo pubblico al 49% del totale con un tetto di 40 milioni di euro, a fronte di una stima dei costi di 700 milioni. Già emanato a dicembre e scaduto a marzo l’avviso pubblico esplorativo per la ricerca di operatori economici interessati alla presentazione di proposte finalizzate all’individuazione del promotore, per l’affidamento in concessione della progettazione, realizzazione ed esercizio, del polo impiantistico. Ad essere stata presentata è stata la manifestazione di interesse di Acea Ambiente. Attualmente è stata costituita un Commissione di valutazione tecnica ed economica del progetto che ha avuto tempo fino al 30 aprile per effettuare la dichiarazione di pubblico interesse della proposta. Attualmente il Comune sta preparando il bando che dovrebbe essere pubblicato l’1 agosto, con scadenza al 30 ottobre. La data fissata per l’avvio del cantiere è quella dell’1 luglio 2024.

Termovalorizzatori senza colore politico

Come dimostra il caso capitolino i termovalorizzatori non hanno un colore politico. Nonostante la segretaria del Pd Elly Shlein afferma semplicemente di “aver ereditato” questo impianto, la Giunta romana di centro sinistra guidata da Gualtieri sta portando avanti un iter complicato per chiudere finalmente il ciclo dei rifiuti. Inoltre, in Campania, proprio mentre era al potere una Giunta di centro sinistra guidata da Antonio Bassolino è entrato in esercizio il termovalorizzatore di Acerra, che adesso De Luca (sempre tesserato Pd) vuole addirittura ampliare. Così come le regioni rosse hanno costruito e gestiscono termovalorizzatori anche le regioni politicamente a destra scelgono questo impianto per risolvere in modo pratico il problema dei rifiuti. Infatti, in Italia attualmente sono in funzione ben 37 termovalorizzatori, in prevalenza al Nord, dove se ne contano 26. Addirittura in Lombardia, guidata dal centrodestra, ce ne sono 13 e in Emilia Romagna, storica regione rossa, si trovano sette impianti.

Intervista al professore Giuseppe Caputo, professore del Diparitmento di ingegneria dell’Università di Palermo

“Con il termovalorizzatore meno energia prodotta dalle centrali elettriche e minori consumi di gas”

Il termovalorizzatore è un impianto che permette di produrre energia dai rifiuti. E, dunque, è naturale che generi delle emissioni. Eppure, a prescindere dal fatto che queste siano certamente più basse non solo delle discariche ma finanche di alcuni vecchi bus che continuano a circolare in Sicilia, l’impatto ambientale o, se vogliamo dirla in termini economici, “il bilancio” va valutato soppesando anche l’impatto evitato. Lo si può leggere in un apposito capitolo del “Libro bianco sull’incenerimento” di Utilitalia, realizzato grazie alla collaborazione dei Politecnici di Milano e Torino e delle Università di Trento e di Roma Tor Vergata.

In pratica per conoscere le emissioni dell’impianto di incenerimento occorre sottrarre le emissioni sostituite (per esempio da impianti termici e/o termoelettrici). “A titolo di esempio - si legge nel rapporto - si riporta la situazione relativa all’impianto di incenerimento di Torino. Nel 2018 l’impianto ha trattato un quantitativo di rifiuti pari a 530.040 t producendo un quantitativo di energia elettrica pari a 399.111 MWh (TRM). Grazie alla produzione e all’immissione nella rete di distribuzione nazionale dell’energia elettrica prodotta è stato possibile conseguire, su scala globale, una riduzione nell’emissione di CO2 pari a 212.000 t/a”.

Per approfondire la questione, abbiamo sentito Giuseppe Caputo, esperto del settore e professore del dipartimento di ingegneria dell’Università di Palermo. Quello stesso dipartimento che attualmente ha in mano lo studio sui flussi dei rifiuti in Sicilia che sarà utile a stabilire quanti termovalorizzatori andranno costruiti in Sicilia.

Professore, come fa un termovalorizzatore a trasformare un rifiuto in energia? E perché questo processo è fondamentale per la chiusura del ciclo dei rifiuti?

“Il termovalorizzatore è basato sulla combustione, quindi i rifiuti vengono bruciati e trasformati in gas. Si parla sempre di incenerimento perchè si guarda solo questo aspetto dell’impianto, quello che crea più preoccupazione. In realtà questi impianti sono molto più complessi e sofisticati di così. Durante il processo c’è tutto un treno di trattamento dei gas che vengono purificati prima di essere immessi in atmosfera. In sisntesi, il grosso dell’impianto, anche fisicamente, è tutto ciò che sta nel lavaggio dei gas: viene rimosso quasi totalmente tutto ciò che può essere inquinante. Tutti i termovalorizzatori moderni sono in grado di rispettare non solo la normativa italiana ed europea sulle emissioni, ma hanno anche prestazioni molto al di sotto di quelle previste dalla legge. Dati alla mano. C’è uno studio del Cnr della Campania che ha analizzato le emissioni dovute al termovalorizzatore di Acerra per vedere l’incidenza sul territorio. Quello che emerge da questo studio è che l’impatto è irrilevante: il contributo all’inquinamento dato dal termovalorizzatore è inferiore al rumore di fondo. Anche se l’impianto venisse spento, non cambierebbe nulla in termini di emissioni. Da sottolineare anche la produzione di energia: la combusatione produce calore che può essere utilizzato o come vapore per produrre energia elettrica nelle turbine (e le famiglie della zona ricevono elettricità grazie alla combustione dei loro rifiuti) oppure, come avviene in realtà come Brescia, viene usato per il teleriscaldamento. L’ultimo termovalorizzatore costruito in Italia è quello di Acerra, nel napoletano, che ha risolto quasi completamente il problema dei rifiuti in Campania e 200 mila famiglie hanno elettricità che proviene dal termovalorizzatore”.

Con uno sgravio in bolletta?

“Sì, questo è anche un altro aspetto che andrebbe sottolineato. Dove ci sono termovalorizzatori i cittadini pagano meno sia per la Tari sia per la bolletta elettrica. Anche perché spesso quando vengono costruiti i termovalorizzatori si fanno degli accordi locali in modo da dare un’agevolazione alle famiglie, una sorta di compensazione. Non perché sia necessaria, perché serve per vincere le resistenze. Però il discorso della Tari è molto importante. La Sicilia che non ha impianti è la regione dove si paga la Tari più elevata d’Italia. Un paradosso: una delle regioni più povere paga più tasse di tutte le altre”.

A fronte di un servizio certamente peggiore…

“Ovviamente non c’è paragone sul servizio. A Brescia non troverà le discariche piene o i rifiuti per strada”.

Un termovalorizzatore inquina di meno rispetto ad un sistema di smaltimento gestito solo con le discariche?

“Sicuramente l’inquinamento è minore, non solo per la qualità dell’aria. Ci sono tanti aspetti che vanno considerati. Intanto, il termovalorizzatore produce energia e questo vuol dire che non verrà prodotta dalle centrali elettriche, quindi a monte ci sarà un minor consumo di gas. E questo è già un vantaggio ambientale. Poi la questione delle discariche è legata all’occupazione del suolo, perché discarica vuol dire prendere intere zone, scavarle e consumare suolo. E poi la discarica si porta dietro la gestione del percolato che deve essere caricato in delle autobotti e trasportato in degli impianti di trattamento. E questa è una fetta importante di impatto ambientale. Poi le discariche producono biogas che in parte viene recuperato ma ci sono anche delle perdite e il metano è un gas serra più potente della CO2. Inoltre ci sono anche le direttive europee che prevedono che non più del 10% dei rifiuti deve andare in discarica. La Sicilia da questo punto di vista è già fuori dalla normativa europea”.

Entro il 2030 è previsto il raggiungimento dell’obiettivo del 10%, la Sicilia attualmente è al 50% di indifferenziato. C’è il rischio di incorrere in una ennesima procedura di infrazione?

“Assolutamente sì. Chiaramente i tempi ormai giocano contro perché il 2030 sta arrivando e in questo momento la Regione non ha una politica sull’impiantistica e mi sembra che anche i processi che erano stati avviati siano stati fermati quindi il tempo gioca veramente a nostro sfavore”.

Di recente è stato affidato uno studio al Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Palermo uno studio sull’analisi flussi dei rifiuti in Sicilia che sarà utile alla realizzazione dei termovalorizzatori. A che punto è la redazione di questo studio?

“Quello che io so è che c’è stata la richiesta della Regione al dipartimento di Ingegneria di cui io faccio parte, di fare questo studio. Ma allo stadio attuale non mi risulta che l’incarico sia stato formalizzato. Quello che ci viene chiesto è di fare uno studio sui flussi dei rifiuti in Sicilia. La Regione vuole un quadro quantitativo delle varie frazione di rifiuto che attualmente la Sicilia gestisce, la parte preliminare per poi fare delle scelte”.

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