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Fusione nucleare, la ricerca avanza anche a Catania

Fusione nucleare, la ricerca avanza anche a Catania

Fusione nucleare, la ricerca avanza anche a Catania

Per la prima volta dopo più di vent’anni di ricerche, lo scorso martedì 13 dicembre il Dipartimento di Energia degli Stati Uniti ha annunciato che gli scienziati del laboratorio californiano “Lawrence Livermore National Laboratory (Llnl)” (California, Usa) hanno ottenuto un guadagno di energia tramite fusione nucleare. Il processo di fusione nucleare, cioè, ha generato più energia di quella impiegata per attivare il processo stesso: non era mai accaduto prima.

Per l’occasione, abbiamo intervistato due ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) presso i Laboratori nazionali del Sud, con sede a Catania: Giada Petringa e Pablo Cirrone, quest’ultimo Principal Investigator di un nuovo progetto italiano denominato “Fusion” (Fusion studies of proton boron neutronless reaction in laser-generated plasma), per svolgere ricerche in quest’ambito. I ricercatori ci hanno spiegato le potenzialità dei risultati ottenuti nel campo della fusione nucleare e aggiornato sullo stato della ricerca in Italia e in Sicilia.

“Innanzitutto è bene preliminarmente spiegare a cosa ci si riferisce quando si parla di fusione. La fusione tra due nuclei – specularmente opposta, invece, alla fissione – è un processo in cui si tenta di portare ad altissima temperatura due nuclei fino ad un livello tale per cui l’energia è così elevata che lo scontro fra i due li fa unire, entrando l’uno dentro l’altro, producendo così energia”, spiega Cirrone. “Quello che noi studiamo - prosegue - è, in particolare, l’approccio di fusione detto a ‘confinamento inerziale’: in questo caso si concentrano su una sfera di metallo simile, ma più piccola, a quella di un flipper, e contenente il combustibile nucleare (generalmente nuclei di deuterio e trizio), centinaia di fasci laser che rilasciano energia che riscaldano la zona esterna della pallina, così producendo una radiazione che, comprimendola, ne aumenta la densità e la temperatura fino a innescare il processo di fusione che, a sua volta, libera energia”.

L’importanza di quanto ottenuto negli Stati Uniti sta nel fatto che, per la prima volta, è stata prodotta da questa pallina più energia di quanta non ne fosse stata prima impiegata per innescare il processo. Questo risultato rappresenterebbe una conquista nell’ambito dell’efficienza energetica: l’energia così prodotta è energia pulita e potrebbe, dunque, essere impiegata in totale sostituzione dei combustibili fossili più inquinanti. Infatti “il processo di fusione è un processo intrinsecamente pulito, molto più controllato rispetto a quello di fissione e non produce scorie”. In questo caso, quindi, verrebbe meno uno dei problemi più significativi delle centrali nucleari attuali, che sfruttano nei loro reattori il processo di fissione nucleare: dove e come smaltire le scorie radioattive prodotte, oltre al rischio che si verifichino incidenti nelle centrali, liberando le scorie, come ben ci ricorda il disastro di Chernobyl”, prosegue Cirrone. “Il rischio delle scorie viene meno grazie all’utilizzo del processo di fusione”.

Quello che è stato ottenuto presso il Llnl è certamente un traguardo storico ma non privo di alcune criticità: il bilancio energetico ottenuto non tiene conto dell’energia impiegata per accendere e mantenere il laser. Inoltre, bisognerebbe costruire centrali diverse da quelle esistenti ad oggi, che sono invece a fissione. La difficoltà è quindi di tipo tecnologico, e saranno necessari verosimilmente ancora dieci anni o più per poter materialmente usufruire di questa energia. Proprio in tal senso, è partito il primo novembre scorso un progetto Cost Action (European cooperation in science and technology), un programma finanziato dall’Unione Europea per stimolare la ricerca su questo tema attraverso la collaborazione tra vari istituti di tutto il mondo.

“L’aspetto più interessante di questo progetto – sottolinea ancora il ricercatore - riguarda il coinvolgimento di privati, che si spera possano, nel prossimo futuro, dare un contributo sempre più sostanziale fornendo un impulso allo sviluppo della fusione inerziale attraverso i loro cospicui finanziamenti”.

La ricerca prosegue quindi anche in Italia, ed in particolare ai Laboratori Nazionali del Sud (Lns) uno dei quattro laboratori nazionali dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), che ha sede a Catania. “Quello che facciamo noi qui nel nostro gruppo” continua Cirrone, “è studiare dei combustibili particolari applicati alle reazioni di fusione a confinamento inerziale”.

“La differenza tra il nostro lavoro e quello che è stato svolto in California, quindi - precisa Petringa - sta nel trovare elementi diversi o schemi di irraggiamento diversi per innescare la fusione, provando ad aumentare l’efficienza del processo”.

L’Istituto nazionale di fisica nucleare, con la collaborazione dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), ha finanziato un progetto chiamato “Fusion”, che partirà il primo gennaio 2023, dedicato proprio alla fusione inerziale, nella ricerca, però, di nuovi approcci o nuovi combustibili da impiegare. “Fusion” prevede una collaborazione nazionale molto ampia ed è l’unico in Italia ad essere stato finanziato dall’Infn su questo tema.

L’ultima importante novità nel campo della ricerca siciliana riguarda l’installazione di un laser ultra-potente, il più potente d’Italia, (fino ad 1 PW (Petawatt) e ad impulso ultra-corto (durata dell’ordine di 10-15 secondi) a Catania, presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, grazie ad un finanziamento di circa 12 milioni di euro previsto dal Pnrr. Una parte delle attività di questo laser saranno dedicate proprio alla fusione inerziale.

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