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I siciliani e la Pa non parlano la stessa lingua, il digitale resta un privilegio riservato a pochi

I siciliani e la Pa non parlano la stessa lingua, il digitale resta un privilegio riservato a pochi

I siciliani e la Pa non parlano la stessa lingua, il digitale resta un privilegio riservato a pochi

di Paola Giordano -

Le città siciliane vivono ancora nel medioevo digitale. Dal Rapporto ICity Rank 2020, che abbiamo sviscerato nell’inchiesta pubblicata lo scorso 18 dicembre (leggi qui), all’indagine sulla qualità della vita realizzata dal Sole 24 Ore, sono diverse le fonti che certificano l’arretratezza digitale delle Pubbliche amministrazioni dell’Isola.

Scorrendo la classifica, realizzata dal Sole, relativa all’indice di trasformazione digitale l’unico Comune che si avvicina agli standard di efficienza dei grandi capoluoghi italiani che dominano la graduatoria (Firenze, Bologna e Milano) è Palermo che si attesta in 13^ posizione. A un livello intermedio si piazza Catania (49^ su 107 capoluoghi), mentre per incontrare la medaglia di bronzo tra le siciliane bisogna scorrere fino al 74° posto: è lì infatti che si è fermata Siracusa. Seguono, sparpagliate nel fondo della classifica, Ragusa (77^), Trapani (83^), Caltanissetta (88^), Messina (89^), Enna (105^) e, ultima anche a livello nazionale, Agrigento (107^).

Eppure di fondi per la digitalizzazione le siciliane ne hanno ricevuti e non pochi stando alla graduatoria, stilata sempre dal Sole, sui fondi europei 2014-2020 per l’Agenda digitale: Messina è la siciliana che ha speso di più per abitante (28,2 euro a messinese) e si attesta al decimo posto. Cinque posizioni più giù si trova il capoluogo di Regione che ha sborsato 22,6 euro a palermitano e al 24° posto c’è Catania, con i suoi 18,1 euro pro capite.

Sopra i dieci euro ad abitante hanno speso anche Enna e Caltanissetta, rispettivamente 43^ e 45^ in classifica. Ragusa, Trapani, Siracusa e Agrigento si spalmano a metà classifica, oscillando tra i 9,8 euro del capoluogo ibleo e i 9,2 dell’antica Girgenti. Una spesa che, rispetto alle ultime posizioni è dignitosa: Aosta, che raschia il fondo della classifica, non ha speso nulla mentre Lecco e Como a pari demerito sono penultime avendo sborsato entrambe appena 3,1 euro pro capite.

Complessivamente Palermo si piazza come una delle città digitalmente più avanzate dell’Isola - e dell’Italia – ma sul fronte delle carte di identità elettroniche mostra di avere ancora tanta strada da fare: rilasciandone appena 15 ogni cento abitanti è ultima tra le siciliane e penultima in tutta Italia. Agrigento (101^) è ferma al 22,1 per cento, Caltanissetta (93^) ed Enna (87^) registrano percentuali di poco superiori, restando sotto la quota del 25 per cento, che Messina (76^) supera di 0,4 punti percentuali e Trapani (64^) oltrepassa di 1,6. Medaglia di bronzo a Catania – 47^ a livello nazionale - che guadagna il 47° posto con il 28,1 per cento di carte di identità elettroniche rilasciate, mentre l’argento va a Siracusa (29,2 per cento) che è 34^ in Italia. Buono infine a livello nazionale il risultato della prima tra le isolane, Ragusa (14^), dove quasi 32 ragusani su cento hanno la nuova carta d’identità.

Diverso è lo scenario relativo agli Spid erogati, dove la classifica si capovolge: Palermo si piazza al 17° posto ed è prima tra le siciliane con 194,1 Spid ogni mille abitanti, mentre Ragusa (85^) si ferma a 141,6 su mille. Un risultato, quello palermitano, che però rispetto alle prima in classifica mostra quanto ancora margine di crescita ci sia: Viterbo con 375,3 Spid erogate ogni mille abitanti è prima in Italia e doppia quasi la percentuale registrata dal capoluogo siciliano.

Tornando alle restanti siciliane, dopo Palermo troviamo Caltanissetta (26^), con 179,5 Spid ogni mille, Enna (29^ - 175,3 per mille), Messina (38^ - 171,3 per mille), Agrigento (46^ - 165,2 per mille), Catania (57^ - 161 per mille) e Trapani (67^ - 156,6 per mille). Sotto i 150 spid ogni mille abitanti Siracusa (78^ - 147,8 per mille) e la citata Ragusa.

I numeri sopra analizzati confermano che nelle nostre città ciò che ancora manca è una cultura digitale, sia all’interno delle amministrazioni (in termini di competenze e di organizzazione) sia tra i cittadini. Senza un’inversione di rotta le nostre città sono destinate a restare relegate al medioevo digitale.

 

La formazione necessaria a migliorare le performance dei dipendenti comunali

 

Con una media di 8,72 unità impiegate nei Comuni ogni mille abitanti (contro un dato nazionale fermo a 6,04 dipendenti), i nostri Enti locali dovrebbero essere efficienti o, quantomeno, disporre delle risorse umane adeguate. L’equazione “più dipendenti uguale più efficienza” non sempre si rivela esatta: l’arretratezza digitale in cui vivono le nostre pubbliche amministrazioni è legata anche alla scarsa preparazione del personale. Lo dimostrano i numeri dell’ultimo ICity Rank, dove ad eccezione di Palermo e in parte di Catania, le siciliane registrano pessime performance.

Una schiera così cospicua di personale negli Enti locali non riesce a garantire alti livelli di efficienza nella Pubblica amministrazione. L’ultimo European quality of government index (Eqi), il report finanziato dalla Commissione europea e sviluppato dal Quality of government institute dell’Università di Göteborg, che valuta il funzionamento dei servizi pubblici e i livelli di imparzialità e di corruzione delle istituzioni, conferma che l’Isola in termini di efficienza è l’ultima tra le ultime: 186^ su 202 regioni prese in esame per la precisione.

In sostanza quantità non equivale necessariamente a qualità. Anche il segretario dell’Anci Sicilia, Mario Emanuele Alvano, ha rilevato, nel corso di un’intervista al QdS, “l’inadeguatezza dell’apparato della Pubblica amministrazione locale, un’assenza di professionalità e di capacità nella gestione che si porta dietro di per sé l’incapacità di programmare e progettare e la difficoltà sul fronte del monitoraggio, della spesa e della rendicontazione”.

In mancanza della possibilità di assumere nuovi profili – che pur se necessari andrebbero a gravare su bilanci già in bilico – sfruttare la risorsa della formazione potrebbe essere la strada per ampliare le competenze specifiche del personale in servizio.

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