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Italia ostaggio della malaburocrazia non ha saputo copiare dai francesi

Italia ostaggio della malaburocrazia non ha saputo copiare dai francesi

Italia ostaggio della malaburocrazia non ha saputo copiare dai francesi

Formazione dei pubblici dipendenti ridotta a mero “adempimento amministrativo”. È la denuncia di Sandro Colombi, Segretario generale Uilpa Pubblica Amministrazione. Il riferimento è all’ultima direttiva della Funzione Pubblica. “Purtroppo - continua il sindacalista - non c’è verso di condividere con i vertici politici e amministrativi i contenuti dei fabbisogni professionali e formativi del personale prima che siano trasformati in atti gestionali”.

La denuncia dei sindacati getta un’ombra sull’effettiva capacità della classe politica italiana, di ieri e di oggi, di investire realmente sul capitale umano. Il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, pochi giorni fa, in occasione del lancio del nuovo portale di formazione Syllabus, ha firmato una direttiva definita centrale, e in linea con i punti del Pnrr, per il processo formativo della Pa e di almeno 750mila dipendenti pubblici. Il documento prevede che entro il 30 giugno 2023 le amministrazioni si iscrivano al portale e forniscano, entro sei mesi dall’iscrizione, una formazione digitale ad almeno il 30% del personale, percentuale che dovrà salire al 55% entro il 2024 e al 75% entro il 2025. Le altre materie su cui si chiede ai dipendenti di formarsi sono la transizione ecologica e amministrativa.

La formazione diventa quindi sia un diritto che un dovere, da considerare a tutti gli effetti un’attività lavorativa che impatta sulla carriera e la cui partecipazione influenza la progressione professionale e la valutazione individuale. Secondo la direttiva, infatti, le pubbliche amministrazioni dovranno garantire a ogni dipendente almeno tre giornate lavorative l’anno dedicate all’accrescimento delle proprie competenze.

Un progetto presentato come rivoluzionario che in realtà, quanto meno sulla carta, non racconta nulla di nuovo e che, anche qualora funzionasse, produrrebbe risultati tardivi.Per anni i governi hanno tentato di creare e formare pubbliche amministrazioni più efficienti, competenti, preparate e al passo con i grandi cambiamenti sociali ed economici rimanendo incastrati nella rete della burocrazia. Dal 1957 in Italia esiste la Sna, Scuola nazionale dell’amministrazione, che, come leggiamo nel decreto istitutivo, è un’istituzione “deputata a selezionare, reclutare e formare funzionari e dirigenti pubblici e costituisce il punto centrale del Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, istituito per migliorare l'efficienza e la qualità della Pubblica amministrazione italiana”. La Sna non si è però mai avvicinata all’influenza e al ruolo formativo che ha avuto per esempio l’Ena, École national d’administration, sulla Pubblica amministrazione francese e la gestione della Repubblica. Quattro degli otto presidenti francesi, tra cui Macron, hanno infatti studiato all’Ena.

L’Ena oggi non esiste più, è stata chiusa proprio da Macron nel 2021 e sostituita dal primo gennaio 2022 dall’Insp, Istitut national du service public, a seguito delle pressioni populiste dei gilet gialli che condannavano, come molti ex allievi, la mancata democratizzazione dell’eccesso alle cariche pubbliche. L’élite repubblicana che ha governato la Francia dal dopoguerra fino a oggi è infatti il prodotto dell’Ena, la cui selezione prevedeva quattro durissimi concorsi per allievi neo laureati, dipendenti pubblici con quattro anni di servizio, dipendenti non pubblici con otto anni di esperienze lavorative fuori della Pa e dipendenti pubblici stranieri. Al termine dei due mesi di formazione, divisi in un anno di studio in classe e un anno di tirocinio, gli alti funzioni usciti dall’Ena potevano scegliere l’amministrazione di apparenza sulla base del piazzamento in graduatoria cominciando a lavorare in posizioni di controllo e ispezione, aspetti che hanno reso i funzionari appetibili e richiesti anche nel mercato dei privati. Oggi, invece, gli allievi dell’Insp, devono affrontare un lungo percorso prima di occupare posizioni importanti di potere.Come ci hanno spiegato dall’Insp non è obbligatorio frequentare l’Ente per lavorare nella pubblica amministrazione. La selezione è più ampia e la formazione più eterogenea.

Gli obiettivi sono cinque: offrire corsi preparatori ai concorsi nazionali o relativi all’istituzioni europee, formare i propri allievi e fornire ai dipendenti pubblici una formazione continua, condurre e finanziare attività di ricerca e promuovere all’attività internazionale facendo conoscere il know-how francese nel mondo.

L’attività di selezione e formazione si avvicina, insomma, a quella della Scuola nazionale dell’amministrazione italiana, dove il programma di reclutamento dei dirigenti e dei funzionari pubblici dipende dal Piano triennale previsionale di reclutamento redatto ogni anno dalla presidenza del Consiglio dei ministri mediante un modello di previsione quantitativa del fabbisogno di reclutamento che tiene conto dei posti vacanti, degli obiettivi di dimensionamento degli organici e delle missioni delle pubbliche amministrazioni.

Allo stesso modo, in Francia, la scelta verrà fatta dalle amministrazioni sulla base dei loro bisogni e dei profili dei candidati. Per il resto, anche la Scuola nazionale dell’amministrazione mette a disposizioni corsi preparativi ai concorsi interni o esterni, formazione iniziale, formazione continua, master e attività di ricerca.

L’aspetto più importante, in entrambi i casi, riguarda però l’ampliamento delle materie trattate. Si introducono la transizione ecologica, la lotta alla povertà e la formazione digitale, argomenti che possono portare a una gestione più sostenibile e meno ingarbugliata della Cosa pubblica, soprattutto in Italia, dove il mostro della burocrazia ha sempre bloccato il progresso e lo sviluppo. Mentre in Francia il futuro dell’Insp è ancora da scrivere, ma certamente l’Ente raccoglie un’eredità importante che è quella di un modello di indiscussa eccellenza, in Italia la consapevolezza è a questo modello di eccellenza forse non abbiamo guardato abbastanza.

Andrea De Vecchi, Ceo di Anderson in Italia, traccia il profilo del dirigente pubblico

“Pa, il bravo manager? Qualità umane, professionali e formazione continua”

Esattamente come ogni azienda, anche le pubbliche amministrazioni hanno bisogno di dirigenti competenti e qualificati per funzionare. Andrea De Vecchi, ceo di Anderson in Italy, una delle più importanti società di consulenza al livello mondiale, ha tracciato per noi, in una delle nostre precedenti inchieste, il profilo del bravo manager (vedi QdS del 13 agosto 2021 [1]).Si tratta di professionisti scelti sulla base di qualità professionali e umane che favoriscano il lavoro e la coordinazione dei loro collaboratori tenendo sempre ben presente che il loro obiettivo è quello di servire l’interesse pubblico.

Sempre secondo De Vecchi, l’apparato dirigenziale dovrebbe prescindere dai colori politici delle maggioranze che si avvicendano riducendo al minimo le complessità burocratiche e i tempi richiesti per l’espletamento dei compiti. Le competenze dei dirigenti devono essere sì trasversali ma anche business oriented, arricchite da una visione integrata e completa dei progetti e da una capacità di valutazione e analisi degli investimenti, interpretazione dei dati, preparazione e comprensione dei budget che può rendere efficiente il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Per questo il performance management e il project management sono strumenti operativi essenziali per il monitoraggio dei tempi e dei costi del lavoro e il reporting dei progetti.Una simile figura può formarsi attraverso un master in amministrazione e controllo di gestione, oppure anche con un corso più specialistico, come un master in management delle amministrazioni pubbliche, pensato per chi ha ruoli di responsabilità in enti e aziende pubbliche, o attraverso percorsi formativi in politiche per la valorizzazione dei territori, in relazioni pubbliche o internazionali e in gestione di aziende ospedaliere o sanitarie.

Bisogna inoltre tenere presente che il contesto normativo nazionale, definito da De Vecchi iper-burocratico e sovra-regolamentato, richiede uno sforzo maggiore da parte dei dirigenti e dei loro collaboratori nel cercare di snellire molte delle procedure interne; ecco perché flessibilità e capacità di far fronte ai problemi sono due delle qualità fondamentali che devono possedere tali figure professionali, senza dimenticare i corsi di aggiornamento e formazione continua che permettono di mettere in pratica approcci in linea con le sfide e le problematiche del tempo.Qualità e obiettivi che, come bene sottolinea De Vecchi, sono fondamentali sia per il funzionamento del settore pubblico che per quello privato.

Pnrr, partita più importante che ora rischiamo di perdere

I piani di reclutamento straordinario del personale per attuare gli investimenti europei non hanno sortito gli effetti sperati. A ciò si aggiunga che il personale degli enti locali non cresce, anzi, nel 2022 è diminuito. È quanto appurato dalle proiezioni della Ragioneria generale dello Stato che riscontra uno 0,12% in meno rispetto al 2021, a fronte di una crescita diffusa in quasi tutti i settori della Pa.

Stando agli obiettivi del Pnrr, lo scorso anno avremmo già dovuto registrare i primi segni di un cambio di rotta e di un progressivo aumento dei dipendenti del ramo della Pubblica amministrazione più in difficoltà dal punto di vista delle risorse umane ed economiche nell’affrontare la capacità di spesa richiesta dal Piano di ripresa e resilienza, ma così non è stato.

In più, i ritardi relativi all’attuazione del Pnrr, di cui, ricordiamo, è stato realizzato solo il 6%, stanno avendo effetti disastrosi nei territori da sempre più indietro rispetto al resto di Italia, come il Mezzogiorno, i cui amministratori, secondo una ricerca condotta da Svimez-Datamining, hanno bocciato il meccanismo di aggiudicazione delle risorse e della selezione degli enti locali del Pnrr. I Comuni del Sud considerano infatti i bandi troppo complessi e le scadenze stringenti e non in linea con i tempi burocratici. Questo il motivo delle poche domande presentate fino a questo momento.

Uno sguardo alla Sicilia: il governo Schifani ha aumentato il numero degli esperti che collaboreranno al Piano territoriale per la semplificazione delle procedure complesse e la riduzione dei tempi dei procedimenti, che potrà contare su altri 36 tecnici oltre agli 83 già selezionati nel 2021 dalla Regione Sicilia. Gli esperti collaboreranno con gli uffici nei quali sono emerse maggiori criticità ma su questi modesti numeri incombe l’allarme lanciato dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto: diversi i progetti “irrealizzabili” entro il 2026. E su quelli “realizzabili”, pesano diverse incognite tra cui proprio la capacità di spesa e la grave carenza di professionalità all’altezza dell’importantissima sfida che abbiamo di fronte.

di Valeria Arena e Patrizia Penna

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