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Palermo, il disastro Ponte Corleone e il gioco delle tre carte

Palermo, il disastro Ponte Corleone e il gioco delle tre carte

Palermo, il disastro Ponte Corleone e il gioco delle tre carte

È fra i più antichi, forse il più antico, dei ponti che attraversano il fiume Oreto a Palermo e le sue origini sono sconosciute. Il ponte originale fu distrutto da uno straripamento che avvenne nel 1720 e si ritiene che fosse un collegamento lungo la strada che da Palermo porta a Corleone, da qui il nome. Nel 1962, nella stessa zona, ne fu costruito uno nuovo che porta lo stesso nome e permette alla circonvallazione di superare il fiume.

La circonvallazione, o meglio viale Regione Siciliana, è quel tratto che attraversa, a sud, la città di Palermo connettendosi, a est, con l’autostrada Palermo-Trapani e a ovest con quelle che da Palermo portano a Messina e a Catania.

Inevitabilmente si tratta di uno snodo viario significativo proprio per il suo ruolo di arteria destinata a unire la viabilità dell’isola. Non solo.

La suddivisione del traffico navale relativo al trasporto delle merci, già da tempo distribuita tra Palermo e Termini Imerese, rende la “circonvallazione” elemento viario fondamentale non solo per la movimentazione di quanti, a livello personale, si muovono utilizzandolo, ma anche del traffico merci su ruota.

Ma il peso degli anni, e il maggior carico dovuto alla maggior quantità di mezzi che lo attraversano rispetto a quanto pensato progettualmente nel 1962, ha “affaticato” il ponte Corleone e, sulla base di un’ordinanza del Comune di Palermo, competente sul ponte e sul suo stato di salute, da diversi mesi ha introdotto la limitazione del carico a 44 tonnellate e ha ridotto il passaggio ad un’unica corsia, per ogni senso di marcia, centrata rispetto alla carreggiata.

Oggi attraversare il ponte Corleone è quello che si può definire “un terno al lotto”. In alcune ore della giornata, quelle in cui il traffico è composto dai pendolari che lo devono attraversare per raggiungere il proprio posto di lavoro o la propria abitazione, l’attraversamento può richiedere dai 30 ai 60, e oltre, minuti. Il tutto per un tratta lungo circa 140 metri. I camion, parte del traffico normale per il ponte Corleone, viaggiano ben distanziati anzi, proprio in prossima del ponte rallentano, al fine di poterlo attraversare “in solitaria”, al fine di ridurre il carico sulla fatiscente struttura. Una sorta di autocontrollo che i trasportatori hanno messo in atto per ridurre la possibilità di rischio. Ma quale rischio? Probabilmente quello del crollo.

E proprio il 7 febbraio, alle 11:30, in una piazzola situata all’inizio dell’attraversamento del ponte lato Palermo, Europa Verde Sicilia ha lanciato la sua sfida lanciando accuse e proponendo soluzioni.

«È il gioco delle tre carte», ci racconta il professor Carmelo Sardegna, portavoce di Europa Verde Sicilia

Cosa intende professore?

«Mi riferisco alle ventennali promesse che le varie amministrazioni che si sono succedute sia a livello comunale sia a livello regionale ha fatto. Nel tempo hanno promesso denaro per la soluzione del problema, hanno promesso progetti e controprogetti senza alcuna copertura economica, nomine di commissari senza competenze e responsabilità quindi pro-forma. Tutto ciò senza risolvere né i problemi del ponte Corleone né quelli degli altri ponti siciliani il cui stato di salute puo essere definito comatoso.

Anche a questo proposito abbiamo inviato, lo scorso mese di gennaio, una richiesta al presidente del Consiglio Mario Draghi affinché il ponte Corleone rientri nelle competenze di ANAS perché si tratta di una struttura strategica per la viabilità isolana.

Inoltre dobbiamo far notare che, ed è verificabile da chiunque, che le strade della Sicilia orientale sono meglio mantenute di quelle della Sicilia occidentale, forse perché il presidente della Regione, in evidente conflitto d’interesse, è catanese. Diciamo che questi politici che continuano a prendere in giro i siciliani hanno fatto il loro tempo ed è arrivato il momento in cui se ne devono andare a casa».

Soluzioni?

«Da un lato l’acquisizione del ponte Corleone, ma anche degli altri ponti siciliani, alle competenze di ANAS e, soprattutto, un intervento mirato che potrebbe coinvolgere da un lato i Cantieri navali di Palermo, specializzati nella realizzazione delle strutture in acciaio per la costruzione del ponte ex-novo e, per realizzare un intervento immediato che dia fluidità provvisoria alla viabilità, con il supporto del 4° Reggimento Genio Guastatori  di stanza a Palermo che è già intervenuto a Mussomeli nel 2019 con la realizzazione di un ponte di tipo Bailey adatto anche ad un carico pesante.

È necessario realizzare iniziare da subito un circuito virtuoso che analizzi, e affronti, i problemi nella sua interezza senza dimenticare il tempo che oggi è richiesto ai cittadini per l’attraversamento, e che nessuno rimborsa, e si renda conto del grosso aumento dell’inquinamento derivante proprio dalle file interminabili e gli ultimi dati nazionali lo dimostrano».

Dello stesso avviso è l’onorevole Valentina Palmieri, in quota Europa Verde, che confessa di aver visto oggi per la prima volta, da vicino, il ponte Corleone e dice che «ho visto con i miei occhi una situazione preoccupante ed evidentemente a rischio. È maggiormente inspiegabile perché si tratta di un’opera strategica non di un ponte locale di bassa importanza. Si parla di questa struttura da anni ma, di fatto, come per altre strutture siciliane quali il ponte Morandi di Agrigento o il ponte sul fiume San Bartolomeo, non succede nulla. I ponti sono una risorsa che permette l’unione tra i territori ed è necessario un cambio di registro per farli diventare un bene comune non un bene ostaggio della politica. La situazione regionale evidenzia un conflitto d’interessi ed evidenti responsabilità. Chi ricopre il ruolo di Presidente o di Assessore oggi deve uscire dalle logiche demagogiche e di parte e l’unico dovere morale deve essere nei confronti dei siciliani. Non abbiamo urgenza di opere faraoniche ma bisogna risolvere i singoli problemi anche quelli delle cosiddette “aree interne” che vivono oggi il ruolo di “figli di un Dio minore”».

Quindi, contrariamente a quanto successo nel passato, i “verdi” superano quelle che erano sembrate chiusure ideologiche?

«Certo. Pensare in maniera ecologica oggi vuol dire guardare con attenzione all’economia anche tramite soluzioni ecocompatibili sostituendo il calcestruzzo, il cemento armato, con l’acciaio, materiale con maggiore capacità di ritrasformazione senza il rilascio di residui inquinanti. Questo vorrebbe dire cambiare i paradigmi di governo attuali e incrementare lo sviluppo consentendo economia, anche locale, e risparmio ma, soprattutto, progettare e realizzare a lungo termine».

Ma per capire meglio quale sia, al di là delle volontà politiche, lo stato del ponte Corleone abbiamo parlato con l’ingegner Fabio Davì, libero professionista esperto in infrastrutture che collabora da anni con ANAS occupandosi della ristrutturazione e l’adeguamento delle infrastrutture viarie statali e autostradali.

Cos’è il ponte Corleone?

«Si tratta di un’arteria di collegamento non solo a servizio della città di Palermo ma fondamentale per il collegamento tra le autostrade per Trapani e Catania. Questa realtà è a tutt’oggi disconosciuta tant’è che oltre venticinque anni fa fu il ponte fu trasferito alla gestione comunale, quella di Palermo, mentre inizialmente la gestione era di ANAS, quando in effetti essa assolve al servizio pieno, ossia a collegamenti stradali di alto livello. Da qui nasce la necessità di commissariare la gestione del ponte perché il Comune di Palermo non è stato e non è nelle condizioni sia economiche sia di programmazione necessarie per poter gestire il risanamento o la ristrutturazione del ponte Corleone».

Si era parlato della “sopraelevata” come soluzione alternativa. Che fine ha fatto il progetto?

«La soluzione della “sopraelevata”, già finanziata e in parte realizzata per più di un terzo del suo percorso, è stata abbandonata per volontà dell’attuale politica. Quella soluzione oggi non è più praticabile se non realizzando approfondimenti in tal senso. Oggi il ponte Corleone è l’imbuto per la sicurezza e l’evacuazione dei palermitani dalla città, non solo la via di accesso per tutti i pendolari».

Di che tipologia di ponte si tratta?

«Si tratta di un ponte ad arco, una tipologia costruttiva molto diffusa e, nel tempo, abbiamo visto diversi pareri, punti di vista, relazioni di molti professionisti di questa città ma, di fatto nessun intervento serio riguardante la struttura è stato realizzato. Questo non va confuso con la realizzazione delle due piste laterali, per le quali è prevista in questo momento una progettazione, che prevedere l’allargamento del ponte ma che non ha nulla a che vedere con la ristrutturazione del ponte in sé. Si tratta quindi di realizzare le due piste laterali e poi intervenire sul ponte attuale ma, purtroppo, questo non è compatibile con l’attuale condizione clinica del ponte perché è necessario un intervento immediato. Spesso si confondono i concetti di ristrutturazione, risanamento, messa in sicurezza o di ricostruzione. Possono sembrare la stessa cosa ma in realtà non è così. Il Commissario ha già “battezzato” lo stato del ponte e ora la scelta verte nello stabilire se questo ponte è nelle condizioni di assolvere le esigenze per cui è stato creato. È certo che le esigenze attuali non sono quelle della sua progettazione. Oggi è necessario prevedere anche una linea ferrata per un eventuale passaggio del tram. Abbiamo esigenze di carattere ambientale perché il calcestruzzo, che oggi sappiamo, ha un ciclo di vita di 50-60 anni che abbiamo già raggiunto. Parlare di ristrutturazione o di messa in sicurezza è pleonastico. Dobbiamo pensare e lavorare per il futuro, ma per questo manca una programmazione. Oggi, realisticamente, è necessario pensare concretamente a una demolizione e alla successiva ricostruzione».

Se ho ben capito, lei sta parlando di una demolizione integrale.

«Sì, perché il metodo che si sta attuando con le bretelle laterali, ossia costruire due ponti a campata lunga, laterali e da realizzarsi in acciaio, che è la tecnologia piu’ utilizzata. Questa scelta comporta un grande livello di progettazione ma un velocissimo tempo di realizzazione. Non si comprende, quindi, perché lo stesso criterio non debba essere applicato per il ponte stesso».

A proposito delle differenze che prevedono l’utilizzo come materiale costruttivo del calcestruzzo o dell’acciaio, abbiamo chiesto al dottor Eugenio Cottone, già Consigliere Nazionale dei Chimici e estensore, circa dieci anni fa, di una divulgativa sullo sviluppo sostenibile.

C’è la necessità di un ritorno all’acciaio? Il calcestruzzo ha già fatto il suo tempo?

«Bisogna considerare che, da un punto di vista strettamente chimico, il calcestruzzo non possiede legami forti e qualificabili come legami chimici reali, a differenza di questo riscontriamo nei ponti romani in cui sono legami chimici reali come quelli che avvengono nella calce. Questo è il motivo principale per cui c’è il decadimento e oggi sappiamo che il tempo di vita è intorno ai 50 anni. Oggi questo è un dato di fatto e sappiamo, quindi, che queste opere non reggeranno e che avranno un fine vita prevedibile, anche se non possiamo dire con certezza, su nessuna struttura, quanto ancora abbia di vita realmente utile. L’acciaio è uno dei materiali riciclabili, con un riciclo che avviene in fonderie di secondo livello, differenti per intenderci dalla fonderia di Taranto, ed è oggetto di evoluzione tecnologica per l’ottenimento di nuovi acciai legati a considerazioni non solo chimiche, ma anche di tipologie di sorgenti termiche mentre la recuperabilità reale del cemento non è così semplice da ottenere anche se, bisogna dirlo, alcune aziende italiane di primissimo livello che lavorano per creare strutture cementizie che possiedano un maggiore caratteristica, sotto il profilo della chimica, di presa e durata nel tempo. Le strutture in acciaio danno, di fatto, anche dal punto di vista della protezione corrosiva, una miglior gestione di quanto non lo possa dare il cemento armato».

Ma qual è il vero rischio che incombe su chi decide di percorrere il ponte Corleone?

Alla luce del drammatico evento che ha riguardato il ponte Morandi di Genova viene spontaneo chiedersi se tutto ciò non possa diventare una “tragedia annunciata”. Ci risponde, ancora, l’ingegner Davì.

«Purtroppo sì. Il ponte di Genova non era stato sufficientemente monitorato nella sua parte interna strutturale. Nel suo crollo ci ha, di fatto, sorpresi. Il ponte Corleone, invece, non ha situazioni di “precompressione”, con armature in acciaio nascoste all’interno del calcestruzzo ma i progettisti incaricati si sono resi conto che una buona parte del ponte oggi è praticamente irrecuperabile. Rispetto al ponte Morandi abbiamo una verità più palese».

Cosa fare, quindi?

«È necessario un maggior coinvolgimento della cittadinanza soprattutto rispetto alla loro consapevolezza dello stato effettivo del ponte. E poi è necessario decidere, in fretta, cosa fare. Già il Presidente Musumeci sulla circonvallazione di Catania ha fatto scelte adeguate ossia quella di manutenerla al meglio e darla in gestione, da molti anni, ad ANAS che, proprio sulla circonvallazione, ha un compartimento dedicato. Perché non succede la stessa cosa a Palermo? Non è forse percorribile la stessa strada proprio in virtu’ del fatto che si tratta di una viabilità importante del punto di vista regionale. La mancanza più grossa che oggi si avverte è quella della gestione, che crea “figli orfani”. Non si tratta di malagestione ma di mancanza di gestione come dimostra l’attuale ulteriore disfunzione su viale Regione Siciliana dovuta all’attraversamento idraulico di due torrenti che passano sotto la circonvallazione. A causa di un cedimento della “soletta” e, per tre anni, la si tiene bloccata perché non è chiaro se il torrente uno è di competenza regionale e se il torrente due sia di competenza regionale. Non possiamo sicuramente essere vittime del politico di turno. Questo problema, quello del ponte Corleone, deve essere gestito, non ignorato».

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