Ancora non è finito il triennio di prova della cosiddetta Quota 100, il che significa che si può andare in pensione a sessantadue anni con trentotto di contributi versati. Con questa operazione il governo Salvini-Di Maio ha ridotto di cinque anni la soglia della pensione, onerando l’Inps di decine di miliardi, che le successive generazioni dovranno pagare.
Per quanto ancora manchi parecchio tempo alla fine di questa agevolazione, si cominciano a prospettare ipotesi sulle modifiche sostanziali. Certo non si può tornare, sic et simpliciter, alla situazione quo ante. Per cui è necessario trovare una soluzione flessibile che consenta di mettere d’accordo la necessità di chi volesse andare in pensione prematuramente rispetto ai sessantasette anni, pur con un assegno penalizzato rispetto a chi, invece, ritenesse di restare a lavoro fino all’età fatidica.
L’idea di un pensionamento ad età variabile sembra equilibrata. Ovviamente si tratta di vedere quale potrebbe essere la penalizzazione, cioé la riduzione dell’assegno rispetto all’età normale.
***
La soluzione sembrerebbe difficile da trovare e invece è abbastanza semplice. Ci pensa un algoritmo, il quale, nel determinare l’assegno pensionistico normale a sessantasette anni, lo ricalcola in base agli anni di anticipazione, tenendo conto del minore importo di contributi versati ed arriva alla conclusione di rapportare la pensione ai contributi stessi ed all’età.
Nel nostro Paese qualunque problema diventa oggetto della grancassa mediatica che più crea frastuono e più impedisce ai cittadini di capire questioni abbastanza semplici come quella prospettata.
La grancassa mediatica serve ai parolai per intossicare la mente di chi ascolta, in modo da propinare loro qualunque intruglio, anche non digeribile, ma pur sempre plausibile.
Attorno alla questione di Quota 100 si spendono energie da parte di ministri, sottosegretari, parlamentari, leaders delle opposizioni ed altri, mentre la questione non meriterebbe tanta attenzione, appunto perché risolvibile matematicamente senza danno per nessuno e soprattutto senza danno per la cassa pubblica.
Non sembri peregrina questa analisi, che vuol essere un anatema contro i perditempo e contro i prendingiro.
Altra questione su cui c’è un forte vociare riguarda il Reddito di cittadinanza, questa volta bandiera degli M5S, mentre l’argomento precedente è stata la bandiera della Lega.
L’accredito nell’apposita carta che ogni mese viene effettuato ai titolari contiene due errori nella propria denominazione. Non si tratta di reddito che - com’è noto anche ai non economisti - è la differenza fra costi e ricavi del conto economico di una impresa.
Non si può chiamare di cittadinanza, cioé dei cittadini, perché non è un accredito che si fa ai cittadini, bensì ad una particolare categoria di essi, che si trovano senza lavoro ed in uno stato di bisogno.
Questa funzione dello Stato per alleviare la povertà è presente in tanti altri stati d’Europa e fuori Europa, con una differenza sostanziale: non è mascherata come propensione all’acquisizione di un lavoro. Proprio qui va portato alla luce l’inganno di chi lo ha proposto come leva per lavorare, mentre si tratta di un sussidio alla povertà.
***
Ecco, doveva essere chiamato appunto Sussidio di povertà e quindi dato a chi si trovava effettivamente in quelle condizioni. In particolare agli ultra sessantacinquenni inabili, a coloro che si trovavano in malattia, ai disabili ed in genere a chi non fosse in condizione di mettersi in gioco cercando un lavoro dipendente o inventandosene uno autonomo.
Certo, è più comodo non far nulla e portare a casa 700/800 euro, che con qualche lavoretto in nero può diventare più di mille, ma questo meccanismo è perverso perché diseduca tanta gente che potrebbe lavorare a non farlo e, siccome la malavoglia è abbastanza generale nel nostro Paese, soprattutto al Sud, ecco che il danno collaterale di questo provvedimento si manifesta in tutta la sua gravità.
Anche il Reddito di cittadinanza abbisogna di una revisione profonda, limitando il numero dei destinatari, cambiando la denominazione sostanziale e nominale e, soprattutto, eliminando quella fittizia e fasulla finalità che era di dare lavoro a chi non ce l’aveva.
Attenzione, il lavoro è una cosa seria, non si può nè creare dal nulla nè regalare. Occorre lo sviluppo che faccia girare la ruota economica.
Per quanto ancora manchi parecchio tempo alla fine di questa agevolazione, si cominciano a prospettare ipotesi sulle modifiche sostanziali. Certo non si può tornare, sic et simpliciter, alla situazione quo ante. Per cui è necessario trovare una soluzione flessibile che consenta di mettere d’accordo la necessità di chi volesse andare in pensione prematuramente rispetto ai sessantasette anni, pur con un assegno penalizzato rispetto a chi, invece, ritenesse di restare a lavoro fino all’età fatidica.
L’idea di un pensionamento ad età variabile sembra equilibrata. Ovviamente si tratta di vedere quale potrebbe essere la penalizzazione, cioé la riduzione dell’assegno rispetto all’età normale.
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La soluzione sembrerebbe difficile da trovare e invece è abbastanza semplice. Ci pensa un algoritmo, il quale, nel determinare l’assegno pensionistico normale a sessantasette anni, lo ricalcola in base agli anni di anticipazione, tenendo conto del minore importo di contributi versati ed arriva alla conclusione di rapportare la pensione ai contributi stessi ed all’età.
Nel nostro Paese qualunque problema diventa oggetto della grancassa mediatica che più crea frastuono e più impedisce ai cittadini di capire questioni abbastanza semplici come quella prospettata.
La grancassa mediatica serve ai parolai per intossicare la mente di chi ascolta, in modo da propinare loro qualunque intruglio, anche non digeribile, ma pur sempre plausibile.
Attorno alla questione di Quota 100 si spendono energie da parte di ministri, sottosegretari, parlamentari, leaders delle opposizioni ed altri, mentre la questione non meriterebbe tanta attenzione, appunto perché risolvibile matematicamente senza danno per nessuno e soprattutto senza danno per la cassa pubblica.
Non sembri peregrina questa analisi, che vuol essere un anatema contro i perditempo e contro i prendingiro.
Altra questione su cui c’è un forte vociare riguarda il Reddito di cittadinanza, questa volta bandiera degli M5S, mentre l’argomento precedente è stata la bandiera della Lega.
L’accredito nell’apposita carta che ogni mese viene effettuato ai titolari contiene due errori nella propria denominazione. Non si tratta di reddito che - com’è noto anche ai non economisti - è la differenza fra costi e ricavi del conto economico di una impresa.
Non si può chiamare di cittadinanza, cioé dei cittadini, perché non è un accredito che si fa ai cittadini, bensì ad una particolare categoria di essi, che si trovano senza lavoro ed in uno stato di bisogno.
Questa funzione dello Stato per alleviare la povertà è presente in tanti altri stati d’Europa e fuori Europa, con una differenza sostanziale: non è mascherata come propensione all’acquisizione di un lavoro. Proprio qui va portato alla luce l’inganno di chi lo ha proposto come leva per lavorare, mentre si tratta di un sussidio alla povertà.
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Ecco, doveva essere chiamato appunto Sussidio di povertà e quindi dato a chi si trovava effettivamente in quelle condizioni. In particolare agli ultra sessantacinquenni inabili, a coloro che si trovavano in malattia, ai disabili ed in genere a chi non fosse in condizione di mettersi in gioco cercando un lavoro dipendente o inventandosene uno autonomo.
Certo, è più comodo non far nulla e portare a casa 700/800 euro, che con qualche lavoretto in nero può diventare più di mille, ma questo meccanismo è perverso perché diseduca tanta gente che potrebbe lavorare a non farlo e, siccome la malavoglia è abbastanza generale nel nostro Paese, soprattutto al Sud, ecco che il danno collaterale di questo provvedimento si manifesta in tutta la sua gravità.
Anche il Reddito di cittadinanza abbisogna di una revisione profonda, limitando il numero dei destinatari, cambiando la denominazione sostanziale e nominale e, soprattutto, eliminando quella fittizia e fasulla finalità che era di dare lavoro a chi non ce l’aveva.
Attenzione, il lavoro è una cosa seria, non si può nè creare dal nulla nè regalare. Occorre lo sviluppo che faccia girare la ruota economica.
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