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Sindaci siciliani chiedono interventi urgenti per salvare i loro Comuni

Sindaci siciliani chiedono interventi urgenti per salvare i loro Comuni

Sindaci siciliani chiedono interventi urgenti per salvare i loro Comuni

Si raduneranno a piazza San Silvestro, a partire dalle 10, i sindaci siciliani che oggi manifesteranno a Roma per denunciare le gravi criticità finanziarie e organizzative in cui, ormai da troppo tempo, versano gli Enti locali dell’Isola e per chiedere al Governo nazionale urgenti provvedimenti di carattere normativo e finanziario.

A promuovere la protesta c’è Anci Sicilia, secondo cui in base alla drammatica situazione in cui annaspano i Comuni, appare sempre più utopistico pensare di erogare servizi di qualità a cittadini e imprese e sperare di poter utilizzare in maniera efficace le risorse della Programmazione comunitaria 2021-2027 e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Pertanto tra le richieste che i primi cittadini porteranno avanti ci sono: la costituzione in Conferenza Stato Città e Autonomie Locali di un tavolo permanente con Stato, Regione Siciliana e Anci Sicilia per affrontare le specifiche criticità degli Enti locali dell’Isola (es. stabilizzazione del personale negli enti in dissesto e in piano di riequilibrio); l’abbattimento del 50% degli accantonamenti del Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde); l’assunzione di figure professionali qualificate all’interno degli Enti locali in deroga alle disposizioni vigenti; nell’ambito degli accordi fra Stato e Regione, il ristoro per i Comuni siciliani dei mancati incassi dei crediti frutto delle inefficienze del gestore regionale Riscossione Sicilia Spa, anche in riferimento al processo di acquisizione da parte dell’Agenzia delle Entrate-riscossione; l’approvazione della norma di attuazione dello Statuto, già deliberata in Commissione paritetica, che prevede tra l’altro lo spostamento dei termini per l’approvazione dei Bilanci al 30 novembre.

Un elenco completo e dettagliato. Ma basteranno questi provvedimenti a salvare i Comuni da un disastro che – a oggi – sembra annunciato? È lapidaria la risposta di Dario Immordino, componente del Gruppo di lavoro sulla Riforma della Contabilità regionale istituito presso la Regione Siciliana: “Evidentemente no. La grave crisi dei Comuni, come tutte le patologie complesse, origina da un concorso di cause riconducibili alla qualità della legislazione, all’inefficienza amministrativa, alla carenza di risorse, ai difetti di progettazione e realizzazione del federalismo, alla proliferazione di regole, adempimenti, oneri e vincoli, al deficit di capacità progettuale, alla diffusione di prassi elusive delle regole finanziarie e contabili, alla sostanziale inattuazione degli strumenti di semplificazione vigenti. Il continuo incremento di Enti territoriali in dissesto o con gravi disavanzi è dovuto alla lievitazione dei costi delle prestazioni pubbliche, al ridimensionamento dei trasferimenti statali e regionali, all’insufficiente capacità di riscossione delle entrate, alla diffusione di criticità e irregolarità gestionali e contabili. I vincoli di bilancio hanno limitato l’autonomia di spesa degli Enti locali, le regole di armonizzazione contabile sono rimaste incompiute e continuano a essere aggirate, mentre i controlli, le sanzioni e le forme di responsabilizzazione degli amministratori si sono rivelati inefficaci. Lo Stato ha abolito tributi locali, ridotto i trasferimenti erogandoli con notevole ritardo, modificato continuamente le regole finanziarie e contabili impedendo una corretta programmazione, e in generale ha richiesto agli Enti locali sacrifici sempre crescenti, aumentando l’importo prelevato dalle casse comunali per il risanamento della finanza pubblica. Gli Enti locali siciliani, inoltre, sono stati esclusi dalla ripartizione di risorse erogate dallo Stato ad altre regioni, e quindi, a parità di condizioni, sono penalizzati rispetto a quelli del resto del territorio nazionale. La Regione ha cercato di arginare l’emorragia di finanziamenti statali, ma la Corte dei Conti ha evidenziato che la principale fonte di finanziamenti regionali, il Fondo Autonomie, ‘appare in atto un coacervo di interventi finanziati, privi di logica interconnessione, che rendono complesso il riparto delle risorse e il funzionamento ordinario dei Comuni siciliani’”.

Come fatto presente da Immordino, “A questi fattori esterni si sono aggiunte diffuse forme di inefficienza della gestione finanziaria e di elusione delle regole contabili: percentuale troppo alta di spesa corrente (in primo luogo per il personale), crescente emergere di passività, capacità di riscossione insoddisfacenti, moltiplicazione della spesa per i servizi esterni, inadeguata applicazione dei principi della contabilità armonizzata, distribuzione a pioggia di premi e incentivi al personale, persistenza del fenomeno dei debiti fuori bilancio, eccesso di risorse disponibili non impiegate. Ciò determina equilibri finanziari fragili e precari e carenza di liquidità. Queste patologie finanziarie si ripercuotono sull’azione amministrativa e sull’erogazione dei servizi pubblici, e si cumulano con una vasta gamma di disfunzioni e criticità. Le regole e le procedure contabili ostacolano la spesa anche in relazione alle risorse disponibili, gli iter di approvazione dei piani di investimento pubblici, ingolfati da una miriade di adempimenti e passaggi politico-burocratici, congelano ingenti risorse sottraendole al sistema sociale e produttivo, la proliferazione di Enti, agenzie e organismi tecnici frammenta e annacqua le responsabilità, moltiplica i centri decisionali, gli strumenti di pianificazione e le procedure, produce duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e alimenta il contenzioso; i vincoli alla spesa, la riduzione delle entrate e i tagli di personale hanno privato gli Enti locali, soprattutto quelli più piccoli, delle risorse umane e finanziarie necessarie. Il ricorso a forme di reclutamento non meritocratiche ha determinato la strutturazione di apparati burocratici privi della qualificazione e delle competenze indispensabili per garantire adeguati standard di efficienza, i controlli interni si sono rivelati inadeguati a contrastare le disfunzioni dell’esercizio dei poteri pubblici. Rispetto a disfunzioni così vaste e radicate intervenire con due o tre misure specifiche è evidentemente insufficiente. Servono politiche e riforme strutturali”.

Si tratta quindi di richieste di interventi palliativi, che tamponano ma non risolvono?
“Aiutano nell’immediato ma non sono risolutivi. L’abbattimento degli accantonamenti del Fondo crediti di dubbia esigibilità, per esempio, fornirebbe liquidità aggiuntiva agli Enti locali, ma aumenterebbe il rischio di deficit, soprattutto per i Comuni che riscuotono percentuali di entrate inferiori a quelle previste e producono debiti fuori bilancio. L’inserimento di figure qualificate è uno strumento certamente utile in una prospettiva complessiva di qualificazione degli apparati burocratici. Ma innestare nuovo personale nell’ambito di strutture inadeguate, nella sola prospettiva del Pnrr, invece, si rivelerebbe poco funzionale al recupero di efficienza di cui gli Enti locali hanno bisogno. Migliorare la capacità di programmazione per ottenere le risorse del Pnrr è ovviamente indispensabile, ma poi bisogna spenderle bene, rendere efficienti servizi e prestazioni pubbliche”.

Non è la prima volta che si parla di assunzione di figure professionali qualificate. Il problema è che i nostri Comuni hanno tanto personale...
“Il reclutamento di personale dotato di elevate competenze specialistiche funzionali alle politiche del Pnrr è uno strumento necessario. Il punto è che queste figure andrebbero innestate su apparati efficienti, mentre i recenti rapporti delle autorità competenti, e gli stessi Enti locali, evidenziano l’inadeguatezza delle attuali strutture burocratiche. Nonostante ciò, anziché intraprendere i percorsi di riforma segnalati da diversi anni dalla Corte dei conti, si perseguono processi generalizzati di stabilizzazione del personale precario in servizio, che prescindono da un’accurata comparazione tra competenze di questo personale ed esigenze delle amministrazioni. Si stabilizzano dipendenti che gli stessi Enti ritengono poco funzionali”.

Cosa “rischiano” i Comuni siciliani a fronte delle diffuse difficoltà finanziarie in cui versano?
“L’81% di essi non ha approvato il Rendiconto e il 61% il Bilancio di previsione, lo strumento cardine della programmazione finanziaria. Questi dati evidenziano il profondo malessere della finanza locale siciliana. Se i Comuni non approvano i Bilanci è perché in moti casi emergerebbero deficit che potrebbero mandarli in default. C’è il rischio concreto che i fenomeni di dissesto siano molto più diffusi di quelli certificati dai dati ufficiali”.

Quali potrebbero essere le conseguenze per i cittadini? C’è il rischio di non avere garantiti i servizi essenziali?
“La Corte dei Conti da anni segnala il ‘progressivo aggravamento dello stato di salute della finanza locale siciliana’ e denuncia ‘l’elevato rischio’ che i gravi squilibri di bilancio compromettano il regolare esercizio delle funzioni, privando i cittadini di servizi e prestazioni essenziali. Qualcosa del genere è successo in qualche Libero consorzio, per esempio a Siracusa. Se mancano le risorse i servizi non possono essere erogati o sono scadenti. A causa dell’emergenza finanziaria è già in atto una certa riduzione sostanziale della qualità e della quantità delle prestazioni pubbliche. Se questa situazione dovesse incancrenirsi, evidentemente, si rischierebbe la paralisi di funzioni essenziali”.

Quali sono le conseguenze?
“Il dissesto comporta una sorta di commissariamento e un percorso di rientro in un tempo prestabilito. I tributi vengono incrementati nella misura massima, le spese non obbligatorie bloccate e non si possono riscuotere crediti nei confronti dell’Ente. A pagare il conto della cattiva gestione sono le imprese creditrici di questi Enti e soprattutto i cittadini, chiamati a rispondere degli sprechi e delle inefficienze per la cosiddetta culpa in eligendo, cioè un cattivo esercizio del potere di voto che ha portato alla selezione di una classe politica inefficiente”.

Il Fondo crediti di dubbia esigibilità

Le minacce più sensibili all’equilibrio dei bilanci regionali e locali si sono rivelate i cosiddetti debiti fuori bilancio, la sovrastima delle entrate e la gestione dei cosiddetti residui, le risorse non riscosse nell’esercizio di competenza il cui incasso viene rinviato agli esercizi successivi. I debiti fuori bilancio, obbligazioni verso terzi assunte senza il relativo impegno di spesa, costituiscono ordini di pagamento adottati al di fuori delle procedure contabili, senza alcuna garanzia di copertura finanziaria, e talvolta anche nella consapevolezza che le risorse stanziate nel bilancio dell’ente potrebbero non essere sufficienti per finanziare la spesa. Si tratta di un espediente funzionale a rinviare il pagamento ad esercizi successivi, ricorrendo ad una forma larvata di debito, che non viene iscritta nelle poste contabili relative all’esercizio finanziario.

Oltre a ciò, per non incorrere nelle sanzioni per violazione dei vincoli finanziari e per poter iscrivere a bilancio spese ritenute necessarie, molti Enti hanno fatto spesso ricorso a previsioni di entrata che si sono rivelate eccessivamente ottimistiche e non hanno trovato riscontro nelle somme effettivamente riscosse alla chiusura dell’esercizio. La sovrastima delle entrate costituisce una forma di illusione finanziaria finalizzata ad ampliare artificialmente la capacità di spesa, fornendo copertura fittizia (o quantomeno virtuale) a spese reali: se i crediti vengono sovrastimati e le entrate non vengono puntualmente accertate e riscosse, si crea uno sbilanciamento dei flussi finanziari che produce rilevanti disavanzi di amministrazione. Queste entrate, infatti, spesso non si traducono in effettiva disponibilità finanziaria, e di conseguenza si è costretti a rinviare il pagamento delle spese impegnate. Il nuovo sistema di contabilizzazione e gestione dei flussi finanziari dovrebbe consentire di conoscere i debiti effettivi delle amministrazioni pubbliche, evitare l’accertamento di entrate future e di impegni inesistenti, rafforzare la programmazione di bilancio, favorire la modulazione dei debiti secondo gli effettivi fabbisogni.

Per prevenire l’insorgere di tali criticità il nuovo sistema di contabilità prevede il ricorso alla cosiddetta competenza finanziaria potenziata, che prescrive l’imputazione delle obbligazioni finanziarie alle scritture contabili degli esercizi in cui l’obbligazione è esigibile; al Fondo crediti dubbia esigibilità costituito da risorse proporzionali all’importo delle entrate di dubbia e difficile esazione accantonate per ammortizzare l’eventuale mancata realizzazione di una parte dei crediti previsti; al Fondo pluriennale vincolato, alimentato da entrate vincolate destinate alla copertura di spese impegnate nel corso dell’esercizio e imputate agli esercizi successivi. La disciplina dell’armonizzazione contabile prevede altresì il ricorso ad operazioni di riaccertamento dei residui, cioè delle somme che l’ente ha iscritto in bilancio come crediti e debiti e che tuttavia non sono state incassate e pagate negli esercizi di riferimento. Ciò dovrebbe consentire una operazione di pulizia dei bilanci degli Enti e ridurre il pericolo di “disavanzi occulti” (determinati delle entrate iscritte in bilancio ma di fatto inesistenti o inesigibili perché estinte, indebitamente o erroneamente accertate) e residui passivi cui non corrispondono obbligazioni giuridiche.

In particolare il Fondo crediti di dubbia esigibilità in contabilità finanziaria consiste in un fondo rischi, cioè un accantonamento, diretto ad evitare l’utilizzo di entrate di dubbia e difficile esazione. Queste risorse non possono essere spese, perché servono a garantire l’equilibrio finanziario nel caso in cui le entrate previste in bilancio non vengano effettivamente incassate.

Paola Giordano

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