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Trent’anni fa la strage di via D’Amelio

Trent’anni fa la strage di via D’Amelio

Trent’anni fa la strage di via D’Amelio

 Il 19 luglio del 1992 veniva ucciso il magistrato Paolo Borsellino, dopo 57 giorni dalla morte del suo collega e amico, Giovanni Falcone. Quell’anno due attentati hanno tolto la vita a due magistrati in prima linea nella lotta alla mafia e con loro sono morti anche otto agenti delle scorte e la moglie di Falcone, Francesca Morvillo. Tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, preparate dalla mafia per eliminare i due giudici attivi nella lotta a Cosa Nostra, sono passati cinquantasette giorni. Le immagini di quei due tragici eventi restano ancora oggi impresse nella mente, mentre l’eredità dei due magistrati non si esaurisce e il loro impegno si rinnova ogni anno.
Il 19 luglio 1992, poco prima delle 17, una forte esplosione scuote via D’Amelio a Palermo. A saltare in aria è un’autobomba, una Fiat 126 rubata, caricata d’esplosivo e piazzata in prossimità del civico 21, davanti all’abitazione di Maria Pia Lepanto, madre di Paolo Borsellino, e della sorella del magistrato, Rita. È domenica e il giudice, accompagnato dalla sua scorta, si reca in visita dalla madre.
Proprio mentre Borsellino si trova davanti al portone d’ingresso, viene azionato il telecomando che fa esplodere l’auto. La via si trasforma subito in un inferno: un forte boato risuona in città, tremano gli edifici, i vetri vanno in frantumi, c’è distruzione ovunque. Muoiono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, che diventa la prima donna della Polizia a morire in una strage di mafia.
Tra gli agenti della scorta presenti, sopravvive solo Antonino Vullo. Scompare anche l’agenda rossa del magistrato, contenente i suoi appunti. Soltanto 57 giorni prima, il 23 maggio del 1992, in un altro attentato erano stati uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e magistrato Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quel giorno, poco prima dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, un’esplosione aveva colpito in pieno il corteo di auto sulle quali viaggiavano e che si dirigeva lungo il tratto dell’autostrada A29 dall’aeroporto di Punta Raisi verso Palermo. Sono trascorsi meno di due mesi tra le due stragi nelle quali hanno perso la vita due magistrati tra i più attivi nella lotta alla mafia. In quei cinquantasette giorni, dopo aver vissuto la morte del collega e amico, Borsellino immaginava il suo destino, capiva di essere un obiettivo di Cosa Nostra e sapeva che poi sarebbe toccato anche a lui.
Nonostante i timori, però, il magistrato continuava il suo lavoro con coraggio. “È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio”, diceva Borsellino. “Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura – aggiungeva -, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”. Simboli della lotta alla criminalità organizzata, con il pool antimafia i magistrati hanno creato un nuovo metodo investigativo, riuscendo a riconoscere la struttura verticistica di Cosa Nostra per la quale hanno istruito il maxiprocesso, che ha fatto la storia.
La mafia negli anni aveva ucciso magistrati, investigatori, politici, giornalisti, soffocava la società e l’economia. Quel processo di così vaste dimensioni, partito nel 1986, era la risposta dello Stato. Poi, però, sono arrivate le stragi del 1992 e la storia del Paese è rimasta segnata per sempre. Dalla strage di via D’Amelio e da quella di Capaci ora sono trascorsi trent’anni.
La memoria, però, resterà sempre viva, così come non si esaurirà l’eredità dei due magistrati. Ogni anno a Palermo e in tutta Italia le stragi vengono ricordate con cerimonie, manifestazioni e cortei, con la partecipazione di tanti giovani.
A un anno dall’attentato, nella buca lasciata dall’esplosione di via D’Amelio, per iniziativa della madre del giudice Borsellino, è stato piantato un ulivo proveniente da Betlemme. Immagine di rigenerazione, solidarietà e pace, l’albero di via D’Amelio è diventato un simbolo, visitato da tanti per non dimenticare il sacrificio di coloro che hanno dato la vita per la legalità. Un modo di rinnovare l’impegno, nella speranza di un futuro migliore.

(ITALPRESS).

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