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Pagamenti cashless, tra costi di gestione e incentivi

Pagamenti cashless, tra costi di gestione e incentivi

Pagamenti cashless, tra costi di gestione e incentivi

di Elettra Vitale

ROMA – È sempre più concreta l’ipotesi dell’abbandono del contante per lasciare il posto ai pagamenti elettronici, specie in Italia in cui il Governo spinge per l’uso della moneta elettronica, proponendo ad aziende e privati incentivi come il recente “SuperCashBack”, annunciato nelle scorse settimane.

Si tratta di un’iniziativa che mira a proporre ai cittadini premi in denaro, bonus, detrazioni e rimborsi per le transazioni tramite moneta elettronica. Tra le ipotesi in campo anche la possibilità di eliminare le commissioni per le spese sotto i 5 euro e, persino, le provvigioni degli operatori per transazioni digitali fino a 25 euro.

Tale misura serve a promuovere il cashless in un paese in cui il contante è una pratica consolidata, se si considera i pagamenti digitali rappresentano solo il 14% delle transazioni totali e, come sottolineato da Bankitalia, con una maggiore reticenza nelle regioni meridionali. Va aggiunto, inoltre, che il Belpaese è al sestultimo posto in Europa per pagamenti elettronici, con un indice di 3,64 in una scala che va da 1 a 8, come evidenziato dal Cashless Society Index 2020.

Di contro, è emerso un incremento nell’uso dello strumento digitale tra il 2015 e il 2019, con un transato di circa 130 miliardi di euro e un trend di pagamento medio che scende dai 66,34 euro del 2015ai 54,97 euro del 2019, a dimostrazione del fatto che gli italiani ricorrono alle carte per spese sempre più piccole.

In forte crescita, soprattutto, il mondo dei “mobile payments” ovvero quelli effettuati tramite app o dispositivi indossabili (come gli smartwatches) che segnano un +109% rispetto al 2018 ma, per la maggiore, pur sempre collegati a una carta. Va aggiunto cheil tasso di inattività delle carte nell’ultimo decennio, si aggira intorno al 50-60% e, come evidenziato dall’analisi Nomisma-Crif-Ipsos, delle 27 milioni di carte di credito emesse solo nel 2019, ne risultano attive soltanto 15,5 milioni, a dimostrare una certa affezione dei consumatori verso il contante, dovuta probabilmente alla difficoltà di approcciarsi alla moneta di plastica, sia per una scarsa conoscenza dello strumento, che per i costi connessi. In alcuni casi, infatti, i consumatori si trovano costretti a dover pagare addirittura un sovrapprezzo per i pagamenti cashless, che viene richiesto da alcuni esercenti per i piccoli acquisti.

Le plastic card sono inoltre soggette a costi variabili per quanto concerne l’attivazione, il canone mensile o annuo richiesto dall’operatore e le spese di commissione per prelievo da sportello automatico. Si tratta di spese di gestione che si differenziano a seconda del tipo di carta prescelta: prepagata, di credito o di debito.

Nel primo caso gli utenti affrontano oneri irrisori, con spese di attivazione e canoni anni da 0 a massimo 10 euro, mentre nel caso delle commissioni per prelievi si registrano addizionali compresi tra 0 e 2 euro. Ben diversi i costi per le carte di debito che, sebbene nella maggior parte dei casi non richiedano nessun costo di attivazione, prevedono canoni annui fino a 18 euro e, in alcuni casi, commissioni fino a 1 euro per prelievo se superiore a 100 euro.

Le più care risultano le credit card che, seppur anch’esse prive di costi di attivazione, hanno costi di gestione che vanno da un minimo di 20 a un massimo di 60 euro e impongono ai clienti un sovrapprezzo fino al 4% dell’importo prelevato.

A tal proposito, infatti, il Codacons ha esortato il Governo a interloquire con gli operatori per ridimensionare le spese di gestione poiché oggi “utilizzare una carta di credito può arrivare a costare a ogni singolo utente fino a 85,6 euro all’anno tra canoni, costi di attivazione e altre spese, con un costo medio annuo in crescita dell’8,5% rispetto a soli due anni fa.

Occorre poi considerare che molti istituti applicano il canone gratuito solo per il primo anno di emissione della carta, mentre per i successivi periodi è previsto un costo”. “Sulle carte di credito si applicano poi tutta una serie di spese che fanno crescere i costi di gestione a danno dei consumatori: costi di ricarica per le carte prepagate, costi per blocco o sostituzione della carta in caso di smarrimento, smagnetizzazione o furto; invio dell’estratto conto cartaceo, commissioni di cambio valuta applicate nei casi di pagamenti effettuati all’estero”. Una manovra, dunque, che andrebbe considerata a favore di esercenti e consumatori e che, secondo le più ottimistiche previsioni, potrebbe permettere di risparmiare una buona parte di quei 10 miliardi annui che ad oggi vengono spesi in Italia per la gestione del contante, con notevoli vantaggi anche in termini di trasparenza e di vigilanza.

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