Per l’economia e le imprese, il bilancio del primo anno di pandemia è un bollettino di guerra: dal primo lockdown alla seconda ondata, dodici mesi di convivenza forzata con il virus sono costati all’Italia una riduzione di 183 miliardi di euro del Pil e di 137 miliardi per i consumi, di cui 36 da addebitare all’assenza di turisti; abbastanza da riportare la spesa ai livelli del 1997, un passo indietro di 24 anni.
È quanto emerge dal Dossier “Le imprese nella pandemia: marzo 2020 – marzo 2021”, predisposto da Confesercenti. Secondo l'indagine, la perdita di consumi e prodotto interno lordo è stata causata, in primo luogo, dalle restrizioni alle attività e al movimento delle persone, attuate per contenere la diffusione del virus, dal lockdown alla classificazione per zone e fasce di rischio per regione.
Considerando solo i servizi di mercato, durante questo anno di pandemia circa 2,6 milioni di imprese sono state sottoposte a limitazioni, per periodi differenti per regioni e comparto di attività. Una situazione aggravata - afferma la Confesercenti - dall’eccesso di burocrazia creata per fronteggiare l’emergenza.
Gli aiuti diretti alle imprese, "si sono rivelati pochi: i contributi a fondo perduto ammontano in totale a poco più di 10 miliardi di euro, insufficienti a coprire le perdite sostenute dal tessuto produttivo: in questi dodici mesi le imprese hanno perso 148 miliardi di euro di valore aggiunto, di cui 65 ascrivibili al commercio, gli alberghi e la ristorazione. Tra crisi prolungata – e ristori ancora insufficienti - le attività economiche sono ormai al limite, bisognose di una terapia intensiva".
La ripresa dipende fortemente dalla normalizzazione della spesa delle famiglie e dall’entità delle restrizioni che verranno applicate alle attività economiche.
Fondamentale, quindi, sarà l’esito della campagna vaccinale: se il rafforzamento annunciato dal nuovo esecutivo dovesse avere successo, il trend potrebbe essere invertito rapidamente.
(ansa)
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