Export Sicilia–USA in calo del 28,9%: il crollo c’è, ma non per tutti

Export Sicilia–USA in calo del 28,9%: il crollo c’è, ma non per tutti

Export Sicilia–USA in calo del 28,9%: il crollo c’è, ma non per tutti

L’export della Sicilia verso gli Stati Uniti segna un -28,9% nei primi nove mesi del 2025. È il dato che emerge dalle statistiche sul commercio estero elaborate dall’Ufficio studi Cgia su base Istat, proprio mentre il tema dei dazi Usa torna al centro del dibattito politico ed economico.

Un numero che colpisce, ma che non racconta tutta la storia. Perché dietro la flessione complessiva si nasconde una Sicilia profondamente divisa, tra territori che soffrono e altri che continuano a crescere anche sul mercato americano.

Dazi Usa e export Sicilia: una regione divisa in due

La domanda è inevitabile: i dazi statunitensi stanno penalizzando la Sicilia? La risposta non è univoca. I dati mostrano una realtà frammentata, dove alcune province pagano un prezzo altissimo, mentre altre riescono a difendersi – e in alcuni casi a migliorare le proprie performance.

Siracusa trascina giù i dati: pesa il petrolio

Il crollo complessivo dell’export siciliano verso gli Usa è quasi interamente imputabile a Siracusa, che registra un -88,5%, passando da 365 milioni di euro a poco più di 42 milioni.

Un tracollo legato soprattutto al comparto petrolifero e della raffinazione, settori fortemente esposti alle dinamiche geopolitiche, alle strategie energetiche globali e alle oscillazioni dei mercati, più che ai dazi in senso stretto.

Nel 2024 l’export complessivo della Sicilia valeva circa 10 miliardi di euro, di cui 4,7 miliardi riconducibili ai prodotti petroliferi. Nei primi nove mesi del 2025, solo questo comparto ha registrato una flessione del -2,6%, pari a circa 260 milioni di euro in meno.

Conclusione chiave: il petrolio continua a condizionare in modo sproporzionato la lettura dei dati sull’export regionale.

Le province che crescono nonostante i dazi Usa

Se si esclude Siracusa, il quadro cambia radicalmente. Diverse province siciliane crescono anche sul mercato americano, dimostrando una maggiore capacità di tenuta.

  • Enna: +582,4%, da 1,3 a 9 milioni di euro

  • Messina: +63%, fino a 122,5 milioni

  • Caltanissetta: +58,6%

Numeri ancora contenuti in valore assoluto, ma altamente significativi, perché trainati dall’agroalimentare di qualità: formaggi, miele, conserve e prodotti tipici ad alto valore aggiunto. Quando il prodotto è riconoscibile, identitario e di qualità, il consumatore americano continua a comprarlo anche se costa di più.

Export siciliano nel mondo: il quadro complessivo

Allargando lo sguardo all’export globale, la Sicilia registra una flessione più contenuta, intorno al -5,5%, ancora una volta appesantita dai poli industriali.

In controtendenza:

  • Palermo: +160,6% (da 301 a 784 milioni di euro)

  • Catania: +10,3%

  • Trapani: +15,8%

Qui emerge una distinzione netta: la Sicilia industriale soffre, la Sicilia dei prodotti identitari regge.

Il confronto con l’Italia: Made in Italy più forte dei dazi

A livello nazionale, l’export italiano continua a crescere (+3,6%). Alcuni esempi rafforzano la lettura:

  • Trieste: +1.080% negli Usa (cantieristica navale)

  • Firenze: prima provincia italiana per export verso gli Stati Uniti (5,7 miliardi), trainata dal farmaceutico

  • Vibo Valentia: +434,5% grazie a salumi e olio di alta qualità

Dinamiche molto simili a quelle osservate nelle province siciliane più virtuose.

Export Sicilia e Stati Uniti: la vera lezione dei numeri

I dazi Usa rappresentano una sfida, ma non una condanna automatica.
La Sicilia paga ancora:

  • la dipendenza dal petrolio,

  • la fragilità dei grandi poli industriali,

  • la scarsa diversificazione produttiva.

Ma dimostra anche che qualità, tipicità e valore aggiunto sono le armi migliori per restare competitivi sui mercati internazionali. Il futuro dell’export siciliano passa dalla diversificazione e dalla valorizzazione delle eccellenze, non dai grandi volumi a basso valore.

Una lezione chiara emerge dai dati: non tutto l’export reagisce allo stesso modo alle barriere commerciali.

Di Michele Giuliano

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