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Quanto costa fare il Ponte sullo Stretto? Ecco la verità

Quanto costa fare il Ponte sullo Stretto? Ecco la verità

Quanto costa fare il Ponte sullo Stretto? Ecco la verità

È finalmente arrivata l’ora del Ponte sullo Stretto? Questa è il quesito che ci poniamo con insistenza dall’inizio della legislatura e, in particolare, da quando il Governo ha deciso di premere il piede sull’acceleratore per la realizzazione dell’opera. Dall’apposito decreto, il numero 35 dello scorso 31 marzo, fino al Def e alle prime mosse per “riprendere” il progetto stoppato più di dieci anni fa dall’Esecutivo Monti. Una serie di mosse concrete, benché ancora preliminari, che lasciano ben sperare. Tuttavia, in corrispondenza con queste mosse è ritornata in auge la narrazione stantia e strumentale dei “nemici” del Ponte che, in fondo, sono (forse inconsapevolmente) nemici della Sicilia e dell’Italia.

Una serie di inesattezze, se non di falsità, che vogliamo smentire ricorrendo ai numeri, alla concretezza dei fatti, ai dati che parlano. Il Ponte, lo abbiamo detto, non è la panacea di tutti mali, non può e non deve essere una cattedrale nel deserto ma è lampante l’impatto positivo che una simile opera avrebbe per la nostra Isola. Partiamo, dunque, dai numeri e da critiche ed obiezioni che si sono levate in seguito alla pubblicazione del Def, ed in particolare dell’allegato Infrastrutture, che dedica un capitolo al ponte.

I costi stimati, secondo il documento appena citato, ammontano a 13,5 miliardi. Il fronte degli oppositori ha parlato di cifre spropositate ed ha lamentato, soprattutto, la mancanza di coperture che – secondo quanto scrive il Governo – saranno reperite con la legge di Bilancio o con altri strumenti di finanziamento. Quello delle coperture, per quanto sia un tema centrale, potrebbe non essere un problema insormontabile. Le soluzioni sono molteplici, proprio in virtù del valore simbolico, economico e sociale di una simile opera, e contemplano – ad esempio – la collaborazione dei privati o delle partecipate statali.

Certo, salta immediatamente agli occhi la differenza con l’ammontare del progetto che, nel lontano 2005, si era aggiudicato la gara per il General contractor dell’opera. Tale progetto, stilato dal raggruppamento di imprese Impregilio (che, in seguito a varie acquisizioni e “trasformazioni” ha preso il nome di Eurolink e vede WeBuild come attore principale) prevedeva un costo di 3,9 miliardi per la costruzione dell’opera in sé e per i collegamenti stradali e ferroviari.

A cosa è dovuta tale differenza? Partiamo evidenziando che la forbice si restringe leggermente se si considera la cifra indicata proprio da WeBuild in occasione dell’audizione alla Camera, pari a 10,9 miliardi così ripartiti: 4,5 per il solo ponte; 5,3 per le opere funzionali; 1,1 per quelle non funzionali ma comunque connesse alla sua realizzazione (le stazioni della Metro di Messina, il centro direzionale in Calabria, gli interventi di mitigazione ambientale). Ballano, dunque, poco più di 2 miliardi tra le indicazioni di WeBuild e la cifra messa nero su bianco nel Def, giustificati – con ogni probabilità – dalle operazioni propedeutiche in carico allo Stato, come ad esempio la riattivazione della società Stretto di Messina, messa in liquidazione in virtù del “niet” al Ponte imposto da Mario Monti.

Riprendendo le fila della domanda da cui siamo partiti sottolineiamo che - come spiegato dal professore Enzo Siviero al QdS – la differenza dei costi rispetto al progetto originario è motivata dall’aumento dei prezzi, da una serie di oneri fiscali e dagli interventi che completeranno e miglioreranno quel progetto. È evidente, infatti, che a causa di scellerate scelte politiche sono stati buttati al vento oltre dieci anni e che – a distanza di tanto tempo – non è possibile “salvare capra e cavoli”.

Ragionando ancora sul tema coperture risulta centrale il ruolo dell’Unione Europea che vuole fortemente il ponte e che – questa è la sensazione – sarebbe pronta ad intervenire in maniera concreta. Prova ne è il fatto che il Parlamento ha definitivamente avviato l’interlocuzione con Consiglio e Commissione sulla proposta di revisione del regolamento Cef2, che finanzia i corridoi Ten-T, con l’inserimento del Ponte sullo Stretto. Inoltre, secondo quanto dichiarato da Pat Cox (Coordinatore della Commissione Ue per il corridoi Ten-t), Bruxelles sarebbe pronta a coprire il 50% dei costi per l’aggiornamento degli studi ambientali. L’opera, infatti, è strategica per il completamento delle reti transeuropee di trasporto, come indicato nel Regolamento 11 dicembre 2013 n n.1315 di Parlamento e Consiglio europeo. La stessa, peraltro, si inserisce nel Corridoio multimodale Scandinavo – Mediterraneo, per la cui parte italiana (la direttrice Alpi – Sicilia, Nda) sono stati destinati investimenti infrastrutturali pari a circa 110 miliardi di euro. Il solo Ponte, con i suoi 4,5 miliardi, vale dunque appena il 4% di questi stanziamenti. Si dovrà certamente trattare con l’Ue per definire e riprogrammare i fondi di cui poter usufruire (come ad esempio le sovvenzioni del programma Connecting Europe facility), ma di sicuro questo non sarà un terreno di scontro. Anzi, il ponte potrebbe essere il “grimaldello” per aprire ad una serie di intese con l’istituzione continentale.

Da considerare, poi, la possibilità di beneficiare dei finanziamenti di Cdp e Banca europea degli investimenti. Quest’ultima istituzione, peraltro, ha recentemente contributo agli interventi sulla linea ferroviaria Catania – Palermo. Interventi che, lo abbiamo “denunciato”, non saranno risolutivi e sono solo un pannicello caldo. Ciò che vogliamo evidenziare in questa sede è la disponibilità della Bei di investire sulle infrastrutture italiane e siciliane. Altro tema della discordia è quello dell’impatto ambientale dell’opera. Dai presunti danni alla fauna locale fino a quelli che “la colata di cemento” causerebbe a livello naturalistico, obiezioni risibili che cozzano peraltro con gli effetti nefasti – evidenti e certificati – che l’attuale modello di attraversamento causa.

Basti pensare alle emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti che, con la costruzione del Ponte, sarebbero sensibilmente ridotte. Anche quelle sul rischio sismico, alla luce delle moderne tecniche di costruzione e delle stime elaborate da WeBuild, paiono obiezioni facilmente smentibili. Gli studi effettuati in questi anni, anzitutto, hanno chiarito che i movimenti tettonici dell’area non sono in grado di produrre spostamenti superiori a qualche centimetro al di sotto delle opere relative alle torri su ambo le sponde. Inoltre, secondo il progetto, il ponte presenta un requisito di integrità strutturale compatibile con un terremoto di magnitudo 7.5 Richter, cioè superiore al devastante sisma che colpì Messina nel 1908.

Enzo Siviero, rettore dell’Università eCampus

“Project financing? Modalità che potrebbe essere rivista”

Abbiamo approfondito le tematiche legate alla costruzione del Ponte con Enzo Siviero, architetto, ingegnere, docente e rettore dell’Università eCampus. Ha dedicato gran parte della sua carriera professionale ed accademica alla progettazione di ponti e all’insegnamento delle strutture presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia. Da parecchi anni si spende attraverso opere, pubblicazioni e conferenze per favorire l’edificazione del collegamento tra Calabria e Sicilia.

Professore, il Governo ha inserito il Ponte nel suo primo Def prevedendo un costo di 13,5 miliardi. Come possono essere reperite queste risorse? La soluzione potrebbe essere quella di coinvolgere soggetti privati o pubblici (come Anas) che recupererebbero, poi, il loro investimento tramite il pedaggio per l’attraversamento?

“Tutte le opzioni sono aperte, anche se dovrebbe esserci una risoluzione che impegna lo Stato a reperire le risorse pubbliche. Non dimentichiamo, però, che la decisone finale è stata quella di recuperare il vecchio contratto con il consorzio Eurolink guidato da WeBuild che prevedeva, appunto, un project financing. Modalità, questa, che potrebbe essere rivista. In questo momento, a mio modo di vedere, il problema delle risorse francamente non esiste e non è mai esistito. Lo Stato, se vuole, le risorse riesce a tirarle fuori, questo è un dato acclarato. Da decenni si dice che il problema, in Italia, non sono i fondi ma le modalità con cui vengono spesi o non spesi. Perciò io sono molto ottimista, non moderatamente ottimista. Le risorse si troveranno. Le modalità migliori? Dipende anche dagli esiti della negoziazione che il governo dovrà fare con il consorzio Eurolink non appena il quadro sarà definito”.

L’Ue considera l’opera strategica ed ha già annunciato la disponibilità a coprire, per il 50%, il costo degli studi ambientali. Ritiene plausibile che il supporto continentale possa andare oltre e prevedere uno stanziamento di fondi per la costruzione dell’opera?

“Sono assolutamente certo che ci sarà un supporto economico importante da parte dell’Unione Europea, che da sempre ha caldeggiato che questa operazione andasse in porto. È stato il Governo italiano a negarla con posizioni ondivaghe, addirittura spostando le risorse dal corridoio che arrivava fino a Palermo a quello che da Napoli deviava verso Bari. Sono decisioni di carattere politico, come è sempre successo per il Ponte sullo Stretto… L’unico ponte che anziché unire divide. La questione, a mio avviso, è molto semplice. Basta che ci sia la volontà del Governo e in questo momento c’è, ma anche una quota parte dell’opposizione – ovvero il cosiddetto Terzo polo – è favorevole all’opera. Gli stessi Renzi e Calenda, a dispetto della recente differenziazione, mantengono questa posizione. Peraltro ho notato che il Partito democratico non ha evidenziato posizioni nettamente contrarie, lo hanno fatto a titolo personale alcuni ex ministri. In questa fase, dunque, c’è una maggioranza molto ampia favorevole al Ponte e quindi, da questo punto di vista, possiamo essere tranquilli”.

Il contratto “recuperato” dal Governo e risalente al 2005 prevedeva un costo di 3,9 miliardi. Cifra che, secondo le ultime stime di Webuild, è lievitata fino ad 11 miliardi. Possiamo spiegare questo aumento con il rincaro delle materie prime o ci sono anche altre ragioni?

“Ho l’impressione che si faccia molta confusione, perché nel campo dei lavori pubblici sono contemplate le cosiddette somme per i lavori e le somme a disposizione per l’amministrazione, che sono riferibili all’Iva, ad oneri finanziari e via discorrendo. Se confrontiamo il costo del ponte vero e proprio, pari a circa 5 miliardi di allora nei quali era già prevista una somma per tutte le opere complementari, con un importo finale che tiene conto degli oneri finanziari, facciamo un paragone che non sta in piedi. Inoltre c’è un importante aumento di costi delle materie prime che tutti possono riscontrare e che, indicativamente, vale tra il 30 ed il 40%. Ma soprattutto bisogna capire che cosa si fa al di là dell’opera in sé, perché si insiste un po’ troppo sulla realizzazione principale. Il ponte è una cosa, tutto ciò che sta a monte e a valle dello stesso è un’altra. Si tratta, sostanzialmente, della riqualificazione, del ridisegno complessivo del territorio circostante. Sia dal lato di Messina che da quello di Villa San Giovanni sulla sponda calabrese, perché bisogna ricordare che – tutto sommato – a Reggio Calabria si è avuta la lungimiranza di un’importante riqualificazione qualche anno fa. Il lungomare reggino, infatti, è uno dei più belli del Mediterraneo. Il quadro, quindi, va visto nella sua dimensione reale. I numeri che vengono fuori, secondo la mia analisi, sono comprensivi di tutto. Non dimentichiamo che andrà spostata una stazione, che esiste una metropolitana di superfice e che è necessaria una sistemazione ambientale. Proprio questo è un aspetto importante, perché si parla spesso in negativo dell’impatto ambientale del Ponte, quando invece bisognerebbe parlarne in positivo. La grande opportunità, ad esempio, è quella di ridisegnare tutto il waterfront lato Sicilia. Si tratta di circa quindici chilometri che, se ridisegnati bene, possono diventare la nuova Nizza, la nuova Montecarlo o quello che era una volta il Libano. In conclusione, quindi, dobbiamo adottare una visione che ci porti più avanti, che vada oltre. Insomma, dobbiamo guardare alle future generazioni e ad una prospettiva di dieci-quindici anni. Già da adesso bisognerebbe individuare quello che si vuole o che si può fare e redigere i bandi che favoriscano l’iniziativa privata. I privati, infatti, avendo la certezza del ritorno dell’investimento si impegnerebbero in maniera importante. Ed ecco che torniamo al punto inziale delle nostre considerazioni. Il problema dell’Italia è che chi viene ad investire non è sicuro del ritorno perché c’è sempre qualcuno - magistratura, politica e vi discorrendo- che mette i bastoni tra le ruote. Ci tengo a ribadire certi concetti, perché mi occupo del ponte da oltre vent’anni. E per questo mi fa piacere che mi considerino ‘uomo-ponte’ nonché bridge builder. Il mio motto è ‘bridging culture and sharing hearts’. Sono un uomo del Nord con il cuore che batte a Sud e spero che finalmente questa grande opera possa vedere la luce”.

Vittorio Sangiorgi

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