L’articolo 67 della Costituzione consente al parlamentare eletto di staccarsi dal suo partito, che costituisce un gruppo, per migrare verso il Gruppo misto. Il Regolamento della Camera prevede che un gruppo abbia un minimo di 20 componenti, il Regolamento del Senato prevede un numero non inferiore a 14, quello dell’Assemblea regionale siciliana un minimo di cinque componenti.
E allora, dov’è l’inghippo? Facile: nelle deroghe. Cosicché, in questa legislatura alla Camera i gruppi erano dieci e sono diventati 17; al Senato erano 8 e sono diventati 11, all’Ars ad inizio legislatura erano 11, nell’attuale sono diventati 12. nella XIV legislatura erano 7.
Ora, se la moltiplicazione dei gruppi non costasse nulla al contribuente, il danno sarebbe limitato ad una maggiore inefficienza nei processi di formazione delle leggi, perché più sono gli interlocutori e più difficile è comporre le questioni, secondo il brocardo: Tot caput, tot sententiae.
Invece, vi è un cospicuo aumento dei costi perché ogni gruppo nomina il suo presidente, eventualmente un vicepresidente, un segretario; ogni gruppo ha diritto ad avere auto di servizio ed autisti, segreterie e ambienti, con conseguente aumento di spese di manutenzione e simili.
Le deroghe vengono concesse dalla Presidenza, senza particolari obiezioni, perché cane non mangia cane: oggi a te, domani a me.
Indennità supplementari, come se il lavoro aumentasse, benefici addizionali ed altri privilegi in nome di una democrazia che, se non fosse profondamente malata, sarebbe il baluardo del vivere civile.
Ma quando vi sono questi privilegiati, che non intendono rinunciare a nessuno dei privilegi, ed a fronte vi sono milioni di poveri e di cittadini che vivono male anche perché non hanno lavoro, l’indignazione dovrebbe salire ai massimi livelli ed esprimersi contro questa classe politica che nulla fa per distinguere il grano dal loglio.
I cittadini che non vanno a votare, però, sono colpevoli perché in democrazia è essenziale la partecipazione. I cittadini sono anche colpevoli nel non protestare continuamente e massivamente sui mezzi di stampa, in radio e televisione, per far comprendere al Palazzo che essi “si intromettono, partecipano e controllano”, come dice Papa Francesco.
I cittadini che girano la testa dall’altro lato sono sicuramente colpevoli; ancor di più è colpevole la Classe dirigente perché, proprio per il suo ruolo sociale, ha maggiori responsabilità che non onora, comportandosi come le tre scimmiette.
Io, che ho lavorato quasi sessant’anni per quest’Isola benedetta, continuo a dolermi per non essere stato in condizione di farla diventare un’Isola sviluppata degna di chiamarsi europea. Ma io non sono nessuno.
Attenzione: quando si dice che la responsabilità è di tutti, si intende che non sia di alcuno. Questo non è vero. La responsabilità ha nomi e cognomi ben precisi, parti politiche, sociali ed economiche, individuate le quali, al loro interno, non fanno quella necessaria selezione fra il bene e il male.
Per esempio, il sindacato difende tutti senza puntare il dito contro la parte del pubblico impiego. Le organizzazioni imprenditoriali non puntano il dito contro le proprie associate offuscate.
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