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La verità colpisce più del coltello

La verità colpisce più del coltello

La verità colpisce più del coltello

La verità è la conformità all’essere vero e reale di una cosa o di un fatto. Poi, vi è la sua interpretazione. Come dire che lo stesso fatto può significare circostanze diverse. E' come vedere uno scenario, una piazza, una vallata, da angolazioni diverse: l’oggetto è il medesimo, ma da come si vede può apparire differente.
È la solita storia di chi ha una buona vista e di chi ha un’altrettanta capacità di capire che cosa vede, rispetto a chi ha la vista debole e una scarsa capacità valutativa.
Quanto prima scritto sembra banale, ma, se ci pensate bene, è il fondamento di ogni evento accaduto, che accade e che accadrà. Pensate, alcuni pezzi della Bibbia, in particolare quelli dell’Antico Testamento, sono stati pubblicati intorno al 1100, cioè oltre un millennio dopo quei fatti riportati. Essa rappresenta il complesso delle Sacre scritture dell’ebraismo e del cristianesimo.
Quanti fatti riportati in quella collezione di libri sono veri? E quanti altri sono interpretati in base a come sono stati ascoltati? Per esempio, gli ebrei accettano solo l’Antico Testamento, mentre i cattolici fondano la loro fede sul Nuovo Testamento basato sui quattro Vangeli ortodossi (Marco, Matteo, Giovanni e Luca). La prima edizione a stampa della Bibbia ebraica intera è del 1488.

Dov’è la verità in quanto narriamo? Probabilmente nessuno lo sa, perché i fatti, oltre che lontani, sono nebulosi e non comprovati. In tutta la storia vi sono fatti riportati che non corrispondono alle vicende reali, per cui ricercare la verità è difficile.
Quando Garibaldi fu incaricato da Cavour di venire in Sicilia e risalire lo Stivale per incontrarsi con l’esercito sabaudo, lo stesso Cavour incaricò Alessandro Dumas padre di seguirlo per scrivere la storia della spedizione. Da bravo romanziere, l’autore della trilogia I tre moschettieri, Vent’anni dopo e Il conte di Montecristo scrisse la storia prima ancora che si fosse verificata. E la verità? Ancora oggi il Meridione d’Italia subisce le conseguenze dell’iniziativa di Cavour.
Oggi, con l’enorme diffusione dei mezzi di massa tradizionali e di quelli di ultima generazione che trovano sfogo nei social network è molto difficile distinguere i fatti veri da quelli falsi.

E allora? Siamo costretti a subire le verità che ci propinano o possediamo qualche mezzo per filtrarle, interpretarle e in fondo capire se la comunicazione si riferisce a circostanze vere o inventate?
Risiede nella nostra mente e nella nostra capacità il mezzo per valutare la circostanza, ovviamente se ognuno di noi possiede le armi necessarie a capire bene le questioni riferite. Innanzitutto scindendo i fatti dalle opinioni e, successivamente, verificando le fonti, dal cui incrocio si può capire il livello di verità.
Alle elementari ci hanno insegnato la prova del nove: sei per tre o tre per sei danno sempre 18, magari tardi. Forse non siamo abituati a utilizzare sempre la prova del nove, perché se lo facessimo capiremmo ciò che è vero e ciò che è falso. Eppure è così facile a enunciarlo, ma non è semplice ad attuarlo.
La più grande difficoltà che incontriamo nel valutare la veridicità dei fatti è però in noi stessi. Se abbiamo letto tanti libri (non romanzi), se abbiamo preso nota del contenuto di ciascuno di essi e se dal loro apprendimento siamo stati capaci di aumentare il nostro modo di elaborare e ragionare per capire meglio le cose, abbiamo imboccato la strada che ci porta a una probabile verità.

Il comportamento individuale e professionale di ognuno di noi dovrebbe essere sempre accompagnato dall’esigenza di riferirsi alla verità, salvo quando qualche caso umano non impone di ricorrere a una pietosa bugia. Quanta fatica fanno i bugiardi nel dover ricordare ciò che hanno detto contrario alla verità? è molto più semplice dirla sempre, perché i fatti che la riguardano sono incontrovertibili, in quanto la verità colpisce più del coltello.
Chi è abituato ad avere come fedele compagna la verità non ha nulla da temere e chi cerca la verità, come gli investigatori pubblici, dovrebbe avere sempre la coscienza tranquilla nel non prefigurarsela: infatti, c’è chi vuole raggiungere un obiettivo e poi ci costruisce il percorso; non è così che si fa. Il percorso deve portare a un risultato, che deve essere quello vero o quanto più vicino possibile.
Si tratta di un modo di essere più che di un modo di comportarsi, se cittadino per bene!

Carlo Alberto Tregua

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