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Sanità in crisi, cosa dovrebbe fare la politica? Le proposte di Cimo

Sanità in crisi, cosa dovrebbe fare la politica? Le proposte di Cimo

Sanità in crisi, cosa dovrebbe fare la politica? Le proposte di Cimo

PALERMO - Qualche giorno fa il nostro quotidiano ha ospitato l’appello rivolto alla politica dai sindacati dei medici: aggressioni al personale sanitario, carenza personale, sanità di frontiera.

Tutte criticità che stanno mettendo a dura prova la tenuta stessa del sistema sanitario nazionale. Da qui il grido d’aiuto che ha raggiunto persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al quale i sindacati si sono rivolti per chiedere di fermare le assunzioni di medici extracomunitari “legittimate” da una normativa nata durante l’emergenza pandemica.

Il Quotidiano di Sicilia ha voluto approfondire la questione con Giuseppe Riccardo Spampinato, presidente della federazione Cimo–Fesmed e segretario nazionale organizzativo del sindacato Cimo.

Presidente Spampinato, sono molte le criticità nella Sanità. Che cosa dovrebbe fare la politica e cosa proponete come sindacato?

“Se andiamo a sfogliare i programmi dei partiti, tutti a prescindere dal loro colore, dell’argomento sanità si parla pochissimo. Come Cimo quindi abbiamo deciso di proporre a tutti i livelli, nazionale e regionale, con conferenze stampa, con interventi mirati, un progetto programma chiedendo anche un confronto diretto con la politica e per molto tempo siamo stati ignorati e solo oggi, sotto campagna elettorale, qualcuno ma solo qualcuno si è fatto sentire”.

Quale impegno è venuto fuori?

“La politica non si è mai posta il problema di risolvere le criticità della Sanità, al punto che in Calabria hanno deciso di chiamare in forze medici cubani e in Sicilia medici argentini, perché non ne troviamo in casa nostra. Dovremmo invece utilizzare la nostra forza lavoro creando le condizioni per mettere a lavorare i nostri giovani. Di certo bisogna rendere appetibile questi posti di lavoro perché per ora sono sottopagati. Solo per fare un esempio come si può immaginare un medico di Palermo che fa il pendolare per andare a lavorare e Mussomeli, che è in provincia di Caltanissetta, per 2.200 euro al mese? Le spese sono altissime e a ciò si aggiunge la mancanza di sicurezza perché l’ospedale non è dotato di tutti i reparti che dovrebbe avere e il medico addirittura rischia di essere malmenato, come è accaduto di recente. Meglio meno ospedali ma completi di tutto. La Regione Veneto ha da poco adottato un provvedimento che, nel tentativo di arginare la fuga dei medici dai Pronto Soccorso, si basa su un presunto aumento di stipendio, ma a costo di un maggiore impegno orario. Non è certo la soluzione a tutti i problemi, tuttavia il tentativo della Giunta Veneta rappresenta pur sempre un segnale di attenzione della politica regionale al problema della sanità e della carenza di medici nei Pronto Soccorso in particolare. Attenzione che avremmo auspicato anche nella nostra regione”.

Quali le richieste avanzate alla Regione siciliana?

“Abbiamo chiesto la temporanea sospensione dei PTE (Presidi Territoriali di Emergenza) periferici che non raggiungono gli standard dei 3000 accessi/anno per portare quei medici sottoutilizzati all’interno degli ospedali e, allo stesso modo, di coinvolgere i medici di continuità assistenziale in questo momento di massima crisi. Per frenare la fuga dei medici dalle Aree di Emergenza e provare a rendere più digeribile la scelta da parte dei giovani medici, la nostra proposta a livello regionale è quella di corrispondere un’indennità di funzione ai medici di Pronto Soccorso di 1000 euro lordi mensili e in più di aumentare il gettone delle guardie notturne e festiva dagli attuali 120 euro a 300 euro per turno. Solo con una proposta economica seria si può immaginare di rendere appetibile un lavoro che ha in sé tanti svantaggi”.

Si può ipotizzare di risolvere almeno in parte i problemi della sanità con i fondi del Pnrr?

“Con il Pnrr metteremo in campo ingenti risorse dal punto di vista economico finanziario, per costruire o ristrutturare le cosiddette case della salute, creando opportunità di lavoro e aprendo i cantieri, acquistando macchinari sanitari e il Pil certamente salirà, ma se poi non abbiamo i medici che ci lavorano in queste strutture come potranno funzionare? Sul fronte del personale infermieristico il dato è allarmante perché mancano 60 mila unità, ma in realtà per essere a pari con le piante organiche ce ne vorrebbero altri 30 mila arrivando alla rispettabile cifra di 90 mila infermieri in meno. Oggi le piante organiche che sono state esitate dalle aziende ospedaliere siciliane dicono che ci dovrebbero essere nelle aree emergenza – pronto soccorso 780 medici e io ritengo che sia un numero sottostimato. Ad oggi ce ne sono solo il 53%”.

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