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Migranti, Mediterraneo Mare di morte. Il sindaco di Lampedusa, ripescare il Global compact Onu

Migranti, Mediterraneo Mare di morte. Il sindaco di Lampedusa, ripescare il Global compact Onu

Migranti, Mediterraneo Mare di morte. Il sindaco di Lampedusa, ripescare il Global compact Onu

di Giuseppe Lazzaro Danzuso - È di ieri l’ultimo appello di Papa Francesco ai cattolici: “non sprechiamo la vita pensando solo a noi stessi, con l’atteggiamento dell’indifferenza” ha detto celebrano messa in San Pietro per la quarta Giornata mondiale dei poveri.
E poche ore prima il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, lo stesso che aveva affermato senza mezzi termini che “è contro il Vangelo chi chiede respingimenti”, aveva ribadito: “nella condivisione, nell’umanesimo, nella solidarietà dobbiamo trovare il meglio di noi stessi”. “Perché non possiamo non dirci cristiani” era il titolo di un breve saggio scritto da Benedetto Croce nel 1942, che sottolineava in quella religione “una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità”. A ottant’anni di distanza il richiamo a quella “qualità spirituale” che si chiama umanità, appare sempre più forte. Soprattutto quando si parla di migranti. E in tempi di coronavirus. Le tragedie di Lampedusa La frontiera della nostra umanità ormai da tempo si trova a Lampedusa. Persino da prima che, il tre ottobre del 2013, centinaia di somali ed eritrei morirono davanti alla costa dell’isoletta in un naufragio ricordato come la più grande tragedia dell’immigrazione: almeno 368 i migranti morti.
“Viene la parola vergogna - sbottò Papa Francesco -! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie”. Ma l’ultima è stata sfiorata poche ore fa, quando un barchino, con a bordo una trentina di migranti, si è ribaltato, nel cuore della notte, a quattro miglia da Lampedusa. Per fortuna Guardia costiera e Guardia di finanza sono riuscite a portarli tutti in salvo nell’hotspot di contrada Imbriacola dove si trovano quasi ottocento ospiti, contando anche i dodici tunisini su un barchino soccorso ieri mattina.
“Sono le tragedie - dice Totò Martello, il sindaco-pescatore delle Pelagie - con le quali la comunità di Lampedusa purtroppo continua a confrontarsi. Noi siamo qui, raccogliamo il dolore e piangiamo i morti. Ecco perché ieri ho postato su Facebook l’immagine della piccola bara bianca nella quale abbiamo seppellito, nel nostro cimitero, il corpicino di Joseph, o se preferite Yusuf”. La candida cassa con dentro il bimbo, originario della Guinea, è stata tumulata nell’area del cimitero dove ci sono già migranti senza nome, vittime di altre sciagure del mare. Su una lapide il nome del piccino: Ysuf Ali Kanneh, la data e il luogo di nascita: 26.04.2020, Libia. Ad assistere alla piccola cerimonia funebre e alla tumulazione della bara c’era anche la mamma, che ha solo diciassette anni ed è disperata. “Io so solo - aggiunge Martello - che questo bimbo di pochi mesi era una delle vittime del naufragio di mercoledì scorso, l’ennesimo in quel Mediterraneo che vogliamo con tutte le nostre forze che torni a essere un Mare di Pace e non un Mare di morte”. “Non è stato facile - aggiunge - decidere di pubblicare questa foto, che racconta la cruda realtà, così come non ci sono parole per descrivere il dolore della madre, una ragazza di appena diciassette anni che fino all’ultimo è stata accanto a quella bara. E non vorrei che ancora una volta, finita l’emozione e la commozione, si tornasse a litigare sulle migrazioni non per cambiare le cose ma per pura propaganda di appartenenza politica”. Il silenzio come unica risposta “Di fronte a una tragedia immane - ha esortato il vescovo Mogavero - , che si continua a consumare quotidianamente nel Mediterraneo, l’unico atteggiamento plausibile è il silenzio”. Ma non tace il senatore della Lega psp id Stefano Candiani, che, agitando lo spettro del terrorismo, parla di “sbarchi continui nel più totale e colpevole silenzio”, di “fallimento governo” e di “vergognoso atteggiamento di certa sinistra buonista, che ora, per convenienza, fa finta di non vedere gli hotspot stracolmi, le allucinanti condizioni dei migranti e delle forze dell’ordine dedicate al controllo”. La balla dei porti chiusi e Yusuf “Ho definito Matteo Salvini un mentitore seriale - aggiunge Martello - perché continua a ripetere che quand’era ministro degli Interni e raccontava la balla dei 'porti chiusi', non c’erano più sbarchi. Per questo noi definivamo ‘sbarchi fantasma’ quelli che continuavano ad avvenire qui a Lampedusa. È arrivato persino a dire, cinicamente, che, ‘quando c’era lui’, Yusuf non sarebbe morto perché non sarebbe partito”.
“Quanto alle parole di Candiani - prosegue Martello - vorrei conoscere la sua proposta, quale soluzione ha in tasca. Purché non parli dei finti porti chiusi, o dei ‘blocchi navali’ per evitare gli arrivi e per non fare riempire hotspot: queste non sono soluzioni, lo stesso Candiani sa che sono inattuabili. Che significa ‘blocco navale’? Significa che se arriva un barchino con i migranti di fronte le nostre coste, o come spesso capita entra direttamente in porto, gli piazziamo una nave davanti e non lo lasciamo passare? E se sta per affondare che facciamo, stiamo lì a guardare? I ‘blocchi navali’ sono messaggi-spot che servono solo alla propaganda più spregiudicata e cinica”. “Bisogna invece – sottolinea - tornare a discutere del ‘Global compact for migration’, il documento delle Nazioni Unite che indica i principi per una migrazione ‘ordinata, regolare e sicura’. La firma dell’Italia al Global Compact venne ostacolata da Salvini quando era al governo. È il momento di riprendere quel percorso interrotto bruscamente alla vigilia della firma.  Al tempo stesso bisogna valutare con la massima attenzione il nuovo ‘Piano per le migrazioni ed il diritto d’asilo’ che l’Ue si appresta a definire, soprattutto nella parte che riguarda i territori di frontiera da sostenere, e non da gravare con un peso ulteriore nei meccanismi di prima accoglienza”.
“Ma si tratta di temi – conclude Martello - che vanno affrontati nel merito, allontanando quel clima da perenne campagna elettorale che serve solo a chi vuole strumentalizzare, o diffondere paure ed intolleranza. Non possiamo stupirci ogni volta per quel che accade nel Mediterraneo: la questione migranti - riguarda tutta l’Europa. Ed è un tema che deve vedere unita la Comunità Europea. Non c’è più tempo da perdere”. Problema endemico come il covid “La soluzione a questo problema - concorda monsignor Mogavero -, che oramai sta diventando endemico come il covid-19, non è certamente la costruzione di barriere, la chiusura di porti o il blocco pretestuoso nei porti italiani delle navi delle Ong. Si impone sempre più urgente la ricerca di un tavolo europeo di concertazione, capace di prendere le decisioni più opportune con obbligo vincolante per gli Stati di attuarle senza temporeggiamenti o aggiramenti di comodo”.
“Fino a che non si arriva a tanto - sottolinea il Vescovo di Mazara - , continueremo a piangere per le centinaia di morti, pronti soltanto a giustificare presunte strategie di contenimento”. “I cristiani - conclude Mogavero - devono tornare a pensare secondo il Vangelo, a tendere la mano, ad aprire il cuore e a intraprendere strategie di dialogo per giungere, quanto prima, con forti pressioni popolari, alla ricerca di vere soluzioni al grave problema”.
Le polemiche sui social Il naufragio che ha causato la morte del piccolo Yusuf e di altre cinque persone - le altre sono state salvate dall’intervento della Open Arms - è stato causa di fortissime polemiche sui social. Roberto Saviano - che ieri sera ha parlato della questione anche a "Che tempo che fa" - ha pubblicato le terribili immagini che fissano proprio il momento in cui la madre perde il bambino, ma ha aggiunto un violento attacco a Matteo Salvini e alla leader di FdI Giorgia Meloni unendo due loro frammenti di dichiarazioni video.
Nel primo spezzone Salvini dice: “Però adesso, live, esempio, di turisti che non pagano ma che vengono pagati per fare i turisti. Barchino, barcone, ennesimi clandestini che rimarranno qua a scrocco e a spese degli italiani”. Nel secondo afferma: “Adesso sbarcano tutti, tra i venticinque e i ventisette anni, belli, robusti, muscolosi, col barboncino al guinzaglio e il cappello di paglia, l’anellino e il telefonino. Questi la guerra ce la portano in Italia, non sono loro che scappano dalla guerra”. E la Meloni: “E a norma di diritto internazionale questo significa che la Sea Watch è una nave che deve essere sequestrata, che l’equipaggio deve essere arrestato, che gli immigrati che sono a bordo devono essere fatti sbarcare e rimpatriati immediatamente e che la nave deve essere affondata”. Sempre su Facebook la Meloni risponde che il piccolo e la madre sono “Vittime della furia immigrazionista, di chi è disposto ad accettare migliaia di morti in mare in nome della sua visione ideologica, invece di fermare le partenze dei disperati e le continue morti in mare”. Polemiche sui social anche per un tweet, stigmatizzato anche da Fiorella Mannoia, di Azzurra Barbuto, giornalista di Libero, in cui, rivolgendosi alla madre di Yusuf, afferma: “Hai perso il tuo piccolo, sei mesi, perché lo hai buttato su un gommone con un centinaio e più di persone ammassate una sull’altra, in autunno inoltrato, con il freddo e il mare grosso”.
La giornalista e il piccolo Samir Elvira Terranova, inviata di Andkronos, è cavaliere della Repubblica. Per aver salvato, la notte tra il sette e l’otto maggio del 2011, diversi migranti, tra i quali Severin, un bimbo di cinque mesi, da lei restituito alla madre, che urlava disperata.
“È nudo - ha recentemente ricordato su Facebook la giornalista - , spaventato, non piange, è visibilmente sotto choc. Ha solo una catenina d’oro al collo con un piccolo crocifisso. Lo accudisco, lo copro, gli soffio aria calda sul visino cercando di riscaldarlo. Lo cullo. È solo. Non so ancora se la sua mamma è morta annegata. Così mi metto su una macchina messa a disposizione dalla Polizia e giriamo per l’isola nei posti in cui vengono portati i naufraghi. Ma nessuno conosce il piccolo. Sono quasi le sei del mattino quando arrivo nell’area della Marina Protetta. L’ultima speranza per trovare la sua mamma o il suo papà. Vedo una donna a terra che grida disperata. Piange, è ancora tutta bagnata. Singhiozza e non riesce a parlare. Mi avvicino e con molta cautela le mostro il bimbo che tengo in braccio da cinque ore chiedendole in inglese: ‘Sorry, it’s your baby?’. Lei mi guarda e si ammutolisce. Finisce di gridare. Anzi, lancia solo un grido acuto: ‘Severin!’. E io sento rimbombare ancora nelle mie orecchie quel grido”.
“Ecco, cara Azzurra Barbuto - afferma Elvira Terranova - quella mattina io ho chiesto a Madeleine perché si è messa su quella imbarcazione, mettendo a repentaglio la sua vita e quella del bambino. Sai cosa mi ha risposto quella mamma? ‘Perché lì, in Africa, avevo la totale certezza di morire con il mio Severin, su quel barcone ho rischiato è vero ma almeno avevo una possibilità di farcela. Per potere dare un futuro a mio figlio’”. “La prossima volta - conclude il post su Facebook Elvira Terranova -  prima di scrivere un post in cui accusi la povera mamma di Youssef, una donna che ha perso il suo bene più prezioso, di aver causato la morte del suo adorato bambino, pensaci un attimo. Rifletti. Poi scrivi”. Sì, perché, nell’epoca dei social, pochi leggono ma scrivono tutti. Che poi siano, come sottolineava Umberto Eco, “legioni di imbecilli” poco importa: contano i like. Le faide social contro l’umanità “Far partire la faida sui social - afferma Elvira Terranova - ha una finalità precisa: far perdere di vista quel che realmente conta ossia l’umanità. E c’è chi lavora per questo: Parlano alla pancia della gente, perché, ancor di più nell’indeterminatezza del tempo del covid, la gente sembra avere un disperato bisogno di prendersela con qualcuno. E il muro basso, come diciamo in Sicilia, sono loro, i migranti”. “Su una cosa dobbiamo ragionare - aggiunge -, ossia sul fatto che nove anni fa, quando raccontavo in incontri pubblici la storia di Severin, ci si commuoveva. Poi, quattro o cinque anni fa, la reazione cominciò a essere diversa: cominciavamo a non voler più guardare la realtà, a rifiutare la nostra umanità per abbracciare l’egoismo di slogan che distinguevano tra essere umano ed essere umano in base a categorie come il colore della pelle o la provenienza geografica. Il bello è che chi ha acquisito certi comportamenti, non è cattivo: spesso si rifà alla tradizione cattolica della solidarietà, ma poi si ferma ai primi simboli e non alla sostanza”. “Tanti - conclude - prima di dirsi cristiani dovrebbero passarsi una mano sulla coscienza. Io posso dire loro che ho guardato negli occhi donne stuprate, piene di cicatrici fisiche e morali, che mi hanno narrato le cose più atroci, di amatissimi bambini forse nati da stupri, di voglia di riscatto, di vita, di umanità, di pace. Per queste storie personali bisogna avere rispetto. Poi, per avere like, ciascuno può dire quel che gli pare. Ma almeno rispetti questi casi. Tacendo”.

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