fbpx

Violenza e bullismo, è emergenza educativa. Un minore siciliano su 4 si dichiara vittima

Violenza e bullismo, è emergenza educativa. Un minore siciliano su 4 si dichiara vittima

Violenza e bullismo, è emergenza educativa. Un minore siciliano su 4 si dichiara vittima

“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi, è l'indifferenza dei buoni” disse Martin Luther King. Purtroppo questa sua frase ben si applica al fenomeno del bullismo perché, molto spesso, è proprio il silenzio di chi percepisce quanto stia succedendo e non parla che crea il terreno fertile per quello che è, di fatto, un reato. Il fenomeno è rientrato immediatamente sotto la lente d’ingrandimento quando, l’11 novembre scorso, un tredicenne di Palermo si è tolto la vita nella casa dove abitava mentre i genitori erano usciti. Si sospetta che il ragazzo fosse vittima dei bulli che in più occasioni lo avevano deriso. All'arrivo dei sanitari del 118 il tredicenne era già morto. In questo momento risultano aperti due fascicoli d’indagine distinti, il primo alla Procura della Repubblica e il secondo alla Procura dei Minori.

Il sospetto che il ragazzo fosse vittima di bullismo sarebbe emerso dalle preoccupazioni manifestate nelle chat di alunni e genitori. Il ragazzo sarebbe stato deriso anche per il suo orientamento sessuale. Come sostiene l’Unicef, il bullismo può essere definito come un comportamento intenzionale e aggressivo che si verifica ripetutamente contro una o più vittime, con le quali vi è uno squilibrio di potere. L’aggressione può essere fisica oppure verbale, sia diretta sia indiretta, come nel caso della diffusione di voci finalizzate al danneggiamento della reputazione altrui e l'esclusione da un gruppo. Il fenomeno è particolarmente diffuso negli ambienti scolastici. Negli ultimi anni, si parla sempre più spesso di cyberbullismo, vale a dire un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici - messaggi, foto, video, email, chat rooms, siti web, social network, telefonate - il cui obiettivo è quello di provocare danni a un coetaneo incapace di difendersi.

Gli esperti indicano che coloro che hanno sperimentato sulla propria pelle episodi di bullismo o cyberbullismo hanno maggiori probabilità di sviluppare difficoltà relazionali, sentirsi depressi, soli, ansiosi, avere scarsa autostima, soffrire di fobia sociale e persino sperimentare pensieri suicidi. Nonostante in Italia esista una normativa che lo identifica come reato, la legge n.71 del 2017 e la legge 910/2023 che sta seguendo il suo iter per l’approvazione definitiva, i dati riguardanti la dimensione del fenomeno sono disarmanti. Secondo l’osservatorio di “Terre des Hommes”, che sostanzialmente conferma i dati pubblicati a inizio anno dal Moige (il Movimento Italiano Genitori, ndr), un giovane su due (47,7%) è vittima del bullismo e il pretesto principale per il quale sono attaccati è l’aspetto fisico. Seguono, ma con ampio distacco, l’origine etnica per il 7%, l’orientamento sessuale per il 5%, la condizione economica il 3,5%, la religione per il 3,3%, l’identità di genere per l’1,9% e infine la disabilità per il 1,3%. Gli effetti di questo tipo di violenza tra pari generano perdita di autostima e di fiducia negli altri nel 38% dei rispondenti, oltre a isolamento e allontanamento dal resto dei coetanei per il 21%. Inoltre il 21% nota un peggioramento del rendimento scolastico o addirittura il rifiuto della scuola e il 19% tra ragazzi e ragazze racconta di aver sofferto di ansia sociale e attacchi di panico. Tra gli effetti subiti dalle vittime di bullismo ci sono anche disturbi alimentari, circa il 12%, la depressione per l’11% e autolesionismo per l’8%.

Il Sicilia il bullismo colpisce il 23% degli studenti

In Sicilia, almeno stando a quanto dichiarano i giovani siciliani, il fenomeno colpisce il 23% degli studenti, mentre il 7% afferma di essere stato vittima di episodi di cyberbullismo. Il dato emerge dal report 2021-2022 della piattaforma Elisa - il sistema di monitoraggio online del bullismo e del cyberbullismo del Ministero dell'Istruzione - ed è stato citato l’altro ieri durante la presentazione di un progetto della Regione siciliana, finanziato con 1,8 milioni di euro e che nel 2024 toccherà 800 scuole. L’’iniziativa prevede un approccio integrato tra istituti e territorio per prevenire tempestivamente e in maniera efficace i fenomeni di bullismo e cyberbullismo.

Nel 2018 Michele, di 17 anni, si tolse la vita gettandosi da un ponte. Di lui ci sono rimaste, oltre al dolore della famiglia e degli amici per la sua scomparsa, le pagine del suo diario in cui si raccontava in terza persona e in cui scrisse “Quel ragazzo ha di nuovo i tagli sulle braccia e nel cuore, ha di nuovo le lacrime agli occhi davanti allo specchio e non ha nessuno dietro che possa dirgli: ‘Hei, oggi sei maledettamente bello’. Quel ragazzo pur avendo perso peso continua a sentirsi maledettamente di merda, è il primo a voler morire e nessuno se ne rende conto, nemmeno uno. Ce ne fosse uno che lo guardasse negli occhi e gli dicesse: oh, che hai? e fosse capace di non fargli rispondere quel solito ‘niente’. Nessuno ha mai scostato le maniche delle felpe e ha visto i suoi tagli. Tutti ci hanno rinunciato… Eppure lui avrebbe bisogno di un semplice ‘come stai?’ in più”.

La “Generazione Z” vede chiaramente il bullismo come un problema tra i banchi di scuola e, purtroppo, più della metà, circa il 60%, degli studenti è stata vittima di bullismo almeno una volta nella propria carriera scolastica ma solo il 39% si sente preso sul serio dagli adulti, scuola o famiglia, quando denuncia e il 31,5% dei ragazzi e delle ragazze non parla con nessuno di bullismo e cyberbullismo.

“Ho vissuto l'inferno, avevo 13 anni – ha raccontato al QdS Tommaso - ero una persona buona e volenterosa che ha sempre voluto aiutare gli altri, un po' ansioso per le interrogazioni, così cominciai a manifestare alcuni tic nervosi. Cominciarono a prendermi in giro, imitando i miei tic, con tanto di risate, quando avevo questi momenti di nervosismo. Non mi piaceva, non mi piaceva nemmeno il loro ‘stavo scherzando’. Ne ho parlato con i miei genitori, con i prof, che una volta intervenivano una volta sminuivano o ignoravano. I cambiamenti non si vedevano. In seconda media cominciano a prendere in giro anche sul modo di vestire, i capelli ‘di merda’, che ‘compravo le cose al mercatino’ e addirittura ‘nessuna persona vorrà stare accanto a te’”. Dal rapporto del Moige emerge inoltre che il 34% dei minorenni ha riferito di conoscere qualcuno vittima di prepotenze e uno su 10 ha preso parte a prepotenze, mentre il 6% ha usato foto o circa un video per offendere. A questo si aggiunge che oltre la metà prende abitualmente in giro uno o più amici, ma dice che viene fatto per scherzare. E se uno su due è ben consapevole dei reati che commette con tali azioni su internet o sul cellulare, uno su quattro circa non sa nulla della gravità del reato.

“Ricordo che mi prendevano in giro perché ero molto timida e sensibile” racconta Giorgia al QdS. “Quando prendevo un brutto voto piangevo: per me era normale, per loro no”. Per lei una persecuzione iniziata alle scuole elementari proseguita, poi, alle scuole medie “Mi sono arrivate delle minacce di morte, mi dicevano che non ero in grado di fare delle cose e che alle superiori sarei stata peggio. Parte degli insulti li ho rimossi” continua Giorgia “non ricordo tutto, ma ricordo che stavo tanto male”.

Il suo disagio comincia a essere anche fisico con “mal di testa, eruzioni cutanee, febbre improvvisa, attacchi d’ansia, paura di parlare di fronte alla classe anche durante le interrogazioni, dove, regolarmente, fa scena muta”. "Pensavo che il bullismo fosse prepotenza fisica, violenza – racconta invece Santina al QdS -. Non sapevo che quelle vessazioni si chiamassero così anche se per me gli effetti erano decisamente più dolorosi del male che si prova quando si prende uno schiaffo". Tutto è iniziato, continua Santina, quando "mi sono iscritta al liceo e all'inizio avevo fatto amicizia con due ragazze. Sembrava tutto normale, ma da un certo punto in poi, una delle due ha cominciato a parlare male di altri compagne e compagni di classe e poi a mettere in giro voci sgradevoli anche sul mio conto e ad attaccarmi. Tra queste c'era il mio modo di vestire, colorato e diverso dallo stile degli altri. Al triennio, poi, le cose sono peggiorate perché alle feste non bevevo e non fumavo come gli altri. In quell'età capita di scoprire l'alcol, il sesso, a volte e per qualcuno anche qualche droga. Per me, grazie al rapporto limpido che avevo con i miei genitori, tutto questo non era tabù, ma semplicemente rifiutato perché non sono fatta per gli eccessi".

“Come mi sono sentita? - racconta al QdS Vanessa -. Fallita, sconfitta, annientata e umiliata. Mi sarei sotterrata dalla vergogna. Mi sentivo una nullità, un completo disastro e mi chiedevo ‘Avete ragione tutti quanti, siete contenti adesso?’ oppure ‘Quando la smetterete di prendervi gioco di me? Perché non provate a mettervi nei miei panni?’.

Epilogo diverso è, invece, quello della storia di Vincenzo Vetere, fondatore e presidente dell’associazione Acbs (Associazione contro il bullismo scolastico, ndr) che racconta al QdS “Noi, parlo al plurale perché come me è coinvolto Giuseppe, il mio fratello maggiore, abbiamo subito atti di bullismo dalla prima elementare sino alla fine delle superiori. Abitiamo in un piccolo paese della provincia di Milano ma entrambi in nostri genitori sono di origini calabresi. Il nostro cognome è stato subito visto come estraneo al territorio. Abbiamo subito più bullismo femminile che maschile. Ci facevano pesare il distacco che esisteva tra noi e loro, il modo di vestire, la provenienza e la classe sociale. La vessazione era quotidiana”.

Poi, un giorno, tutto precipita quando Vincenzo fu “legato mani e piedi e costretto a ingoiare alcuni sassi – continua Vincenzo – e l’unica soluzione fu quella di chiudersi nel silenzio. Alle scuole medie le angherie continuarono anche con episodi di estrema violenza, come quando fui sbattuto contro un calorifero, cosa che mi costò un trauma cranico. Nessuno dei miei compagni è mai intervenuto”.

“Alle superiori – prosegue – diventammo vittime di cyberbullismo anche tramite molteplici offese via social”. Vincenzo e Giuseppe, pur non avendo trovato il supporto per reagire al bullismo nella loro infanzia, hanno deciso di fondare Acbs, attiva dal 2015. Si tratta di un progetto che incontra studenti, genitori e insegnanti. A oggi hanno realizzato circa 500 iniziative in tutta Italia. “I meno sensibili al problema – conclude Vincenzo – sono purtroppo i genitori. Un esempio? Dopo un ciclo d’incontri in un istituto scolastico che ci hanno portati a incontrare 1800 studenti, all’incontro dedicato ai genitori hanno partecipato in 10, mentre stiamo trovando, da parte della nuova generazione di insegnanti, una grande attenzione e sensibilità”.

“Spesso si attiva un processo involutivo che può portare i minori anche a compiere gesti estremi”

Maria Finocchiaro, commissario capo della IV° sezione della Squadra mobile di Palermo

Interviene al QdS Maria Ausilia Finocchiaro commissario capo responsabile della IV° sezione della Squadra mobile di Palermo specializzata nella trattazione di violenza di genere e fasce deboli.

Dottoressa, bullismo e cyberbullismo sono divenuti termini di uso quotidiano. Quali sono gli ambienti sociali in cui si perpetra questa forma di violenza? Ci sono alcune classi sociali che sono più “bullo” di altre?

"Si tratta di un fenomeno multifattoriale. Spesso è il frutto del connubio tra fattori psicologici, derivanti da disturbi propri del comportamento e della socializzazione, e fattori ‘acquisiti’ legati al contesto familiare, spesso di indigenza, all’educazione ricevuta, all’assenza di valori morali ed alla carenza culturale derivante anche da diffusa discontinuità o abbandono scolastico. Tali condotte sovente traggono origine dal contesto familiare e sociale in cui vive l’autore nonché dal suo stile di vita. La condotta del bullo deriva, il più delle volte, dal disadattamento sociale e psicologico del singolo giovane che, nel gruppo, trova invece una propria identità o dimensione e, in forma di emulazione, allinea il proprio comportamento a quello delittuoso posto in essere dagli altri membri, spesso non percependone la reale offensività. I ragazzi che percepiscono come ‘ricca’ la propria famiglia hanno subito episodi di bullismo o cyberbullismo in percentuale minore di quelli che ritengono la famiglia né ricca né povera, quota che invece aumenta di gran lunga tra coloro che percepiscono la famiglia come povera. Anche tra coloro che non vanno bene a scuola gli episodi di bullismo sono più diffusi".

Le vittime denunciano o la paura vince su di loro?

"Il problema è che molti giovani non riescono a distinguere la sottile linea di confine che separa lo scherzo dalla condotta di bullismo; molti ragazzi, infatti, credono sia uno scherzo e si divertono nel veder prendere in giro il compagno di scuola, concorrendo, così, anche se a loro modo inconsapevolmente, ad alimentare la condotta del bullo. Allo stato sono poche le denunce sporte da minorenni in riferimento a prevaricazioni subite e spesso a causa della difficoltà di riconoscere la gravità dei comportamenti. Il più delle volte, infatti, forme di vendetta da parte di chi ha subito un abbandono sentimentale o uno screzio fra amici, sono considerate, dai ragazzi, accettabili, così come l’errata fiducia riposta nell’altro. Non di rado, infatti, le vittime tendono progressivamente a isolarsi, a chiudersi in se stessi, evitando situazioni che le pongano, nella loro mente, a ‘rischio’. Questo processo involutivo ha, spesso, conseguenze deleterie portando, in alcuni casi, i minori a ipotizzare, o a mettere in atto, anche gesti estremi al fine di porre fine ad una situazione di grandissimo disagio psichico e fisico".

Il contrasto, evidentemente, deve passare attraverso un’attività di prevenzione e di maggiore consapevolezza del fenomeno. Quali sono gli strumenti oggi a disposizione della Polizia di Stato?

"Il 'Servizio Analisi Criminale' del Ministero dell’Interno ha di recente redatto un documento di sintesi sulle tematiche, strettamente correlate, del bullismo e del cyberbullismo con l’intento di analizzare le svariate forme di manifestazione della devianza minorile e con l’obiettivo di approfondire l’eziologia dei fenomeni criminali. Inoltre è stato stilato un vademecum contenente suggerimenti e consigli utili, ovviamente non esaustivi, per i ragazzi, per i loro genitori e per tutti i dirigenti, insegnanti e collaboratori scolastici, elaborati sulla base dell’esperienza maturata dalla Polizia".

Come è articolata la vostra attività? È svolta in sinergia con altre strutture dello Stato? Quali?

"Da tempo, si assiste a forme di collaborazione inter istituzionale, in particolare con le Istituzioni scolastiche, per promuovere l’educazione e la formazione dei giovani verso la cultura della sicurezza e della legalità. Tra i diversi progetti realizzati dalla Polizia di Stato voglio ricordare ‘Blue box’, ‘Cuoriconnessi’, ‘Una vita da social’ nonché le iniziative ‘Il mio diario’ e ‘PretenDiamo legalità’. Molti di questi progetti prevedono la realizzazione d’incontri nelle scuole tra il personale delle Forze di Polizia e gli studenti e, in alcuni casi, anche con gli insegnanti e i genitori, al fine di far conoscere i rischi a cui i minori si espongono navigando in rete. A questo si aggiunge uno strumento pensato proprio per i c.d. ‘nativi digitali’, l’app ‘YouPol’, geo-referenziata, per segnalare fenomeni di bullismo, di spaccio di sostanze stupefacenti e, dal 27 marzo 2020, di violenza di genere".

La legislazione è sufficiente o ritenete che possano servire ulteriori supporti al vostro operato?

"La legislazione vigente in materia ha subito numerose recenti modifiche e adattamenti e l’attuale normativa è stata modellata in rispondenza della necessità di maggiore incisività sotto il profilo preventivo ma anche punitivo alla luce di gravi fatti di cronaca accaduti. Nel c.d. 'decreto Caivano' di recente approvazione, inoltre, è stato apportato un aggravio delle pene in caso di violazione e l'estensione dell'applicabilità della misura di prevenzione anche ai minorenni e ha accentuato il profilo rieducativo della pena nell’applicazione sui minorenni ampliando i programmi di giustizia riparativa".

“Errore cristallizzarsi su bullo e bullizzato, è la rete intorno che può arginare il fenomeno”

Al QdS interviene il direttore generale dell’Unicef, Paolo Rozera

Interviene al QdS Paolo Rozera, direttore generale di Unicef Italia, dove ha cominciato a lavorare nel 1991 dapprima nel settore dell’Educazione allo Sviluppo, poi nel Gruppo Internazionale Mediterraneo e in seguito presso la Presidenza e la Direzione generale. Secondo le Nazioni Unite, nel mondo 246 milioni di bambini e adolescenti subiscono ogni anno qualche forma di violenza a scuola o episodi di bullismo.

Direttore, quali sono le dimensioni del fenomeno in Italia?

“Il dato mondiale, che si adatta anche all’Italia, è che 1 studente su 3, tra i 13 e i 15 anni, ha vissuto esperienze dirette di bullismo. I dati ci dicono, inoltre, che il fenomeno è in aumento così come lo è quello del cyberbullismo, il bullismo che viaggia sul web, ed è un fenomeno con cui ci troviamo a confrontarci costantemente”.

Com’è articolato l’intervento di Unicef sul territorio?

“Noi lavoriamo molto con le scuole con progetti specifici e sul nostro sito è possibile trovare diverse proposte didattiche per gli insegnanti. Spesso l’errore che si fa è quella di cristallizzare l’attenzione sul bullo e sul bullizzato quando, invece, è tutta la rete che li concorda che può fare qualcosa per arginare il sistema. Proprio per questo la nostra proposta si basa su una serie di azioni articolate su più livelli, perché ognuno degli ‘attori’ che ha a che fare con i ragazzi ha un ruolo che gli permette di prevenire, ma anche di gestire, gli atti di bullismo. Il bullismo spesso, da parte di chi fa il bullo, è l’esternazione di una situazione di disagio e di mancanza di affettività, entrambi sentimenti che il giovane non sa gestire. Se i genitori, ma anche in generale gli educatori come ad esempio gli allenatori sportivi, hanno gli strumenti idonei sono in grado di intervenire positivamente”.

È sufficiente quanto fa la politica?

“La politica è uno degli elementi fondamentali per la riuscita di un’attività di contrasto al bullismo. È come quando, a scuola, l’insegnante diceva ‘il ragazzo può fare di più’. L’attuale Governo sembra particolarmente attento su questo tema, ma ciò non toglie il fatto che debba essere spronato a fare di più. Per un serio lavoro educativo però servono anni, non possiamo pensare di raccogliere subito i frutti di una semina”.

L’Unicef è una struttura che utilizza moltissimo i volontari, soprattutto sul territorio. Quanto è importante il loro ruolo sul fronte del contrasto al bullismo?

“Tanto. Io credo che il bullismo, sia un fenomeno che si basi su diversi aspetti. Tra questi l’incapacità di gestire le emozioni e le relazioni. I nostri volontari, spesso insegnanti in pensione e più in generale persone con un background personale adatto, e si trovano a dedicare il loro tempo a una missione in cui credono. Il loro ruolo, e lo abbiamo sperimentato spesso, è fondamentale nel tema della gestione dei conflitti perché possono e sono portatori. Oggi fare il volontario e solidarietà è complicato. Un volontario in grado di indicare ai giovani la strada per affrontare conflitti, piccoli o grandi che siano perché i piccoli conflitti non risolti possono diventare grandi, è una grande risorsa”.

“Sì, c’è un fil rouge tra bullismo e violenza di genere”

Lo psicologo Andrea Billotto

Interviene al QdS Andrea Billotto, presidente di Aics (Associazione italiana cyberbullismo e sexting), psicologo e psicoterapeuta che da anni si occupa di bullismo e cyberbullismo. Ha pubblicato diversi libri su queste tematiche e ha svolto formazioni e incontri in più di 400 scuole in tutta Italia.

Quali sono le dinamiche che troviamo dietro il fenomeno del bullismo? Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un individuo, il bullo, che sfrutta il branco per strutturare le sue vessazioni…

“In realtà oggi, oltre ad esserci diverse forme di bullismo e cyberbullismo, il bullismo è cambiato. Sicuramente l’omologarsi al gruppo e di fare quanto fanno gli altri e quindi sentirsi più forti perché ci si identifica in una maggioranza, è un elemento chiave”.

Vittima e carnefice o entrambi vittime?

“Non sono entrambi vittime ma si tratta, in entrambi i casi, di elementi fragili, che hanno bisogno di attenzione, di essere aiutate e, spesso, di intraprendere un percorso per comprendere come mai s’innesca il meccanismo, come mai il bullo è intercettato dalla vittima e viceversa, come mai la vittima attira certi meccanismi tipici del bullo. La vittima può essere infelice oppure entra in determinate dinamiche comportamentali che attirano il bullo”.

Il bullo è anche una bulla, così come i destinatari della vessazione appartengono a tutti i generi. Si subiscono danni psicologici diversi?

"C’è sicuramente una dinamica diversa perché, sulla base della mia esperienza, il ragazzo tende a non parlarne, a reagire con rabbia anche nei confronti dei genitori, la madre in particolare. La vittima femminile, invece, ha una sensibilità e emotività diversa e risulta essere più vulnerabile e, spesso, reagisce piangendo mentre il ragazzo gioca di più su quanto succede".

Questi danni possono diventare un retaggio, anche comportamentale?

"Sì, soprattutto se il bullismo si ripete nel tempo perché può portare a un trauma vero e proprio. Abbiamo riscontrato che, in alcuni dei casi in c’è un trauma, il ragazzo o la ragazza, in presenza di situazioni analoghe, le rivive come se fossero situazioni di bullismo".

Ritiene che ci sia un “fil rouge” tra il bullismo e il femminicidio? Può esserci una ragione psicologica di queste aggressività che le lega?

"Assolutamente sì. Sono convinto che oggi la violenza, in generale, sia un fenomeno tutto collegato che viene etichettato in modo diverso: bullismo, femminicidio… A scatenare tutto questo c’è una fragilità e una grande rabbia che riscontriamo oggi negli adolescenti e che può manifestarsi con forme diverse di aggressività, dal bullismo normale fino ad arrivare, purtroppo, ad azioni incontrollate di rabbia che possono arrivare ai fatti cronaca che spesso leggiamo sui giornali. Purtroppo la maggior violenza presente oggi nella società diviene oggetto di discussione e interesse solo quando diventa un fatto di cronaca".

risuser

Lascia una risposta

Chiusi
Chiusi

Inserisci il tuo username o il tuo indirizzo email. Riceverai via email un link per creare una nuova password.

Chiusi

Chiusi