ROMA - Studio, lavoro, intrattenimento, consumi. La vita degli italiani, in quest’ultimo anno all’insegna del Coronavirus, si è trasferita sempre più sull’online, soprattutto attraverso gli smartphone.
Come rileva un recentissima inchiesta dell’Eurispes, se il 28,6% ordinava pasti a domicilio anche prima della pandemia, e continua a farlo, un ulteriore 16,8% da marzo scorso lo ha fatto per la prima volta. Sempre dopo il dilagare del Covid-19, dal marzo 2020, il 21,9% degli italiani ha ordinato per la prima volta la spesa a domicilio, dal carrello alla app. Su questo e altri fronti,dal noleggio ‘istantaneo’ di monopattini o biciclette a pedalata assistita, per evitare traffico e affollamento sui mezzi pubblici, al condividere contenuti con gli amici, dall’ascoltare musica al giocare, gli italiani dunque utilizzano sempre più spesso e sempre più disinvoltamente una miriade di app e molte di queste, apparentemente, non costano nulla.
Però “nell’online nulla è gratis”, avverte Carlo Rienzi, presidente del Codacons, che all’Adnkronos spiega: “i cosiddetti ‘comparatori’, ad esempio, che dovrebbero offrire, gratis, un raffronto obiettivo fra beni o servizi uguali o analoghi, spesso firmano dei contratti con i venditori per far vedere prima le loro offerte ai potenziali consumatori o, addirittura, limitano la potenziale scelta, insomma ‘spingono’ alcune proposte a danno di altre e così facendo guadagnano, sulle scelte dei consumatori”. In pratica questo tipo di prassi è una diversa forma di pubblicità e qualsiasi pubblicità ha un costo, che alla fine paga chi compra il prodotto.
“Quando qualcosa è gratis il prodotto in vendita sei tu”, affonda il presidente di Consumerismo no profit, Luigi Gabriele, che all’Adnkronos dice: “Tutte le app, in particolare quelle in rapporto con venditori, è molto improbabile che siano mosse da disinteresse, altruismo, voglia di fare un regalo agli utenti. Quando qualcosa è gratis il prodotto in vendita sei tu: l’utente cerca qualcosa, sceglie qualcosa, compra qualcosa, insomma lascia tracce nette dei suoi gusti, delle sue necessità, dei suoi interessi e queste tracce sono una merce che chi gestisce l’app può vendere, come del resto può venderla qualsiasi motore di ricerca si usi. Non a caso non si fa in tempo a visitare un sito commerciale in cerca, ad esempio, di un paio di scarpe che cominciano ad arrivare pubblicità di calzature”.
A latere dell’impegno sui canali digitali le imprese distributive hanno incrementato gli investimenti in tecnologia anche sul punto vendita. Va infatti sempre più affermandosi il modello di smart retailing già molto diffuso all’estero: display digitali e carrelli intelligenti, Internet of Things ed etichette parlanti sono già realtà che tenderanno a diffondersi sempre più. All’insegna di una shopping experience improntata sul concetto di edutainment, capace di intercettare le esigenze di un consumatore alla ricerca di un acquisto esperienziale’’, conclude il direttore dell’Ufficio Studi di Federdistribuzione.
La federazione riunisce e rappresenta le imprese distributive operanti nei settori alimentare e non alimentare che svolgono la propria attività attraverso le più innovative formule del commercio moderno: centri commerciali e ipermercati, supermercati grandi e piccoli, grandi magazzini, grandi superfici specializzate, discount, cash and carry, franchising, on line. Le imprese associate nel 2019 avevano realizzato un giro d’affari di 60,1 miliardi di euro con una quota pari al 43,7% del totale fatturato della Distribuzione Moderna Organizzata, con una rete di 13.950 punti vendita, 202.100 addetti, rappresentando il 26,9% del valore dei consumi commercializzabili.
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