Uno studio del Centro Studi Tagliacarne, in collaborazione con Unioncamere, ha evidenziato una crescita dell'economia del mare in Italia ed un ruolo del Sud che sfida la percezione tradizionale di area a bassa crescita e scarsa presenza imprenditoriale. Nel Mezzogiorno italiano si concentrano quasi la metà delle imprese della blue economy, in grado di attirare anche un numero importante di giovani imprenditori.
Nonostante questa “vitalità meridionale”, però, è Roma a confermarsi capitale dell'imprenditoria legata al mare, con un numero di imprese che si avvicina alle 30 mila unità. Seguono Napoli, Venezia, Salerno e Genova. A livello regionale, il Lazio guida la classifica con oltre 34 mila imprese, seguito dalla Campania, dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Liguria.
Economia del mare, Sicilia nella top 5 per imprese
Nel XXII Rapporto Economia del Mare, di Sicilia si legge a sprazzi e anche i dati positivi vanno osservati con attenzione. L'Isola è nella Top 5 per incidenza percentuale delle imprese blu sul totale tra tutte le regioni, grazie alla presenza di 28.807 realtà, pari al 6,1 per cento. Un dato che è terzo in Italia, ma distante oltre il 4,5 per cento rispetto la percentuale della Liguria, prima, con un'incidenza del 10,6 per cento nata dall'impegno di 16.853 imprese blu.
La stessa tendenza, con confronti tra le province leader in Italia, si riproduce nell’analisi delle imprese specializzate nella filiera ittica. Nella Top 5 sono presenti Trapani e Agrigento, terza e quarta realtà con quote del 4 per cento e del 3,4 per cento di imprese del territorio, rapportate al nazionale. Tuttavia questo stesso dato è ben distante da quello della provincia di Rovigo (16,4 per cento) e di Ferrara (12,5 per cento). Nella filiera turistica, poi, in classifica c'è la provincia di Palermo con il quinto dato italiano per numero assoluto di imprese (4.680), ma Salerno (terza) ne conta 6.207, Napoli (seconda) ben 15.424, mentre Roma (prima) 23.649. Nessuna provincia siciliana si posiziona nei settori della cantieristica e la movimentazione di merci e passeggeri, nonostante in quest’ultimo settore si stiano investendo somme importanti anche a livello infrastrutturale attraverso le Autorità di Sistema Portuale del Mare.
Economia del mare, il 61% prodotto nel Centro-Sud del Paese
Il dato significativo resta il 61 per cento dell’economia del mare prodotto nel Centro-Sud del Paese. Tutto il Mezzogiorno produce 20,8 miliardi di valore aggiunto, che incide per il 32,2 per cento sul totale della ricchezza generata dal “Sistema mare” italiano. Centro e Sud impiegano anche il 66,9 per cento dei lavoratori della blue economy, il solo Sud il 37,3 per cento.
I dati regionali in questo caso dicono che la Sicilia genera il 5,7 per cento di valore aggiunto e gli occupati sono il 6,5 per cento del totale. Anche in questa analisi si ripropone quanto emerso per imprese e specializzazione di settore. Ed infatti, paragonato con la Liguria (14,4 per cento), la percentuale dell’Isola è più bassa – pur da quarta in Italia - del 6,2 per cento. Il dato sugli occupati invece è più basso del 7,9 per cento rispetto la stessa regione.
Osservando il dato sul moltiplicatore rilevato all’interno del XXII Rapporto Economia del Mare, inferiore nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, Pierluigi Catalfo, professore di Economia aziendalista dell’Università di Catania, ha ricondotto questa tendenza a due fattori specifici. “Da un lato c’è scarsa integrazione di sistema e dall’altro c’è un livello di efficienza aziendale non pienamente capace di valorizzare le potenzialità del settore. Nel primo caso le aziende blu sembrano poco integrate con il sistema e generano poco indotto; dall’altro sembra esserci un problema quali-quantitativo di produttività e di efficienza di quest'ultime soprattutto di quelle del Mezzogiorno”.
“Ciò identifica dei margini e degli ambiti di miglioramento - conclude Catalfo -: la blue economy in Italia cresce in maniera chiara e costante ma al Sud, dove peraltro costituisce comunque un dato in controtendenza, potrebbe crescere in modo ancora più consistente. Occorreranno decisioni strategiche condivise, investimenti in tecnologia e una managerialità più pronta e diffusa”.
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