Il premio Nobel per la Medicina 2023 va a Katalin Karikó e Drew Weissman per le scoperte che hanno "portato all'approvazione di due vaccini Covid-19 basati su mRna di grande successo alla fine del 2020. I vaccini hanno salvato milioni di vite e prevenuto malattie gravi in molte altre persone". L'annuncio è stato dato come da tradizione al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, e trasmesso in diretta via Internet e social network.
Premio per la Fisiologia o la Medicina è il nome ufficiale del riconoscimento, assegnato in apertura della settimana dei Nobel. Il valore sale quest'anno a 11 milioni di corone svedesi (era di 10 mln negli ultimi anni), al cambio odierno circa 950mila euro.
Chi sono i vincitori del Nobel per la Medicina 2023
I genitori dei vaccini a mRna, la mamma e il papà degli 'scudi' anti-Covid che hanno contribuito a portare il mondo fuori dalla pandemia di Sars-CoV-2. Ecco chi sono la biochimica ungherese Katalin Karikó e l'immunologo americano Drew Weissman, vincitori del premio Nobel per la Medicina 2023.
Karikò è nata nel 1955 a Szolnok, in Ungheria. Ha conseguito il dottorato di ricerca all'Università di Szeged nel 1982 e ha svolto i suoi studi post-dottorato presso l'Accademia ungherese delle scienze di Szeged fino al 1985. Successivamente ha proseguito le sue ricerche negli Usa, alla Temple University di Filadelfia e all'Università di Scienze della salute di Bethesda.
Nel 1989 è stata nominata professoressa assistente dell'Università della Pennsylvania, dove è rimasta fino al 2013. È diventata quindi vicepresidente e poi vicepresidente senior dell'azienda tedesca BioNTech Rna Pharmaceuticals. Dal 2021 è professoressa all'Università di Szeged e professoressa a contratto presso la Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania.
Weissman è nato nel 1959 a Lexington in Massachusetts, Stati Uniti. Ha conseguito la laurea in Medicina e il dottorato di ricerca all'Università di Boston nel 1987. Ha svolto la sua formazione clinica presso il Beth Israel Deaconess Medical Center della Harvard Medical School e attività di ricerca post-dottorato ai National Institutes of Health (Nih). Nel 1997 ha fondato il suo gruppo di ricerca presso la Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania. È Roberts Family Professor in Vaccine Research e direttore del Penn Institute for Rna Innovations.
Le motivazioni del Nobel
Il Nobel per la Medicina 2023 va di fatto ai vaccini anti-Covid che, scrive l'Assemblea del Nobel al Karolinska Institutet, "hanno salvato milioni di vite e prevenuto malattie gravi, consentendo alle società di aprirsi e tornare a condizioni normali" di esistenza. "Attraverso le loro scoperte fondamentali sull’importanza delle modifiche di base nell'mRna, i premi Nobel di quest'anno hanno contribuito in modo cruciale a questo sviluppo trasformativo durante una delle più grandi crisi sanitarie del nostro tempo". È per questo che si è scelto di assegnare il premio "congiuntamente" a quelli che possono essere considerati i 'genitori' dei vaccini a mRna, Katalin Karikó e Drew Weissman, con questa motivazione ufficiale: "Per le loro scoperte riguardanti le modifiche delle basi nucleosidiche che hanno consentito lo sviluppo di efficaci vaccini a mRna contro Covid".
Scoperte, evidenziano gli esperti dell'assemblea del Nobel nella nota ufficiale, che "sono state fondamentali per lo sviluppo dei vaccini a mRna durante la pandemia scoppiata all'inizio del 2020". E "rivoluzionarie", perché "hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l'mRna interagisce con il nostro sistema immunitario". Così i vincitori del Nobel per la medicina 2023 "hanno contribuito al ritmo senza precedenti di sviluppo di vaccini durante una delle più grandi minacce alla salute umana dei tempi moderni".
Il cambiamento con i vaccini contro il Covid-19
Com'era il mondo dei vaccini prima della pandemia? La vaccinazione, spiegano gli esperti, "stimola la formazione di una risposta immunitaria verso un particolare agente patogeno. Questo dà al corpo un vantaggio nella lotta contro le malattie in caso di esposizione successiva. Da tempo erano disponibili vaccini basati su virus uccisi o indeboliti, come nel caso dei vaccini contro la poliomielite, il morbillo e la febbre gialla. Nel 1951, Max Theiler ricevette il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina per aver sviluppato il vaccino contro la febbre gialla". Negli anni c'è stata un'evoluzione continua.
"Grazie ai progressi della biologia molecolare negli ultimi decenni, sono stati sviluppati vaccini basati su singoli componenti virali, piuttosto che su virus interi. Parti del codice genetico virale, che solitamente codificano per le proteine presenti sulla superficie del virus, vengono utilizzate per produrre proteine che stimolano la formazione di anticorpi che bloccano il virus. Ne sono un esempio i vaccini contro il virus dell'epatite B e il papillomavirus umano. In alternativa, parti del codice genetico virale possono essere spostate in un virus portatore innocuo, un 'vettore'. Questo metodo viene utilizzato nei vaccini contro il virus Ebola. Quando vengono iniettati i vaccini vettori, la proteina virale selezionata viene prodotta nelle nostre cellule, stimolando una risposta immunitaria contro il virus bersaglio.
La produzione di vaccini a base di virus, proteine e vettori interi richiede colture cellulari su larga scala. Questo processo ad alta intensità di risorse limita le possibilità di una rapida produzione di vaccini in risposta a epidemie e pandemie. "Pertanto, i ricercatori tentavano da tempo di sviluppare tecnologie vaccinali indipendenti dalla coltura cellulare, ma ciò si è rivelato impegnativo", si legge ancora nella nota. Poi è arrivata un'idea promettente: nelle nostre cellule le informazioni genetiche codificate nel Dna vengono trasferite all'Rna messaggero (mRna), che viene utilizzato come modello per la produzione di proteine. Durante gli anni '80 furono introdotti metodi efficienti per produrre mRna senza coltura cellulare, chiamati metodi di trascrizione in vitro. Questo passo decisivo ha accelerato lo sviluppo di applicazioni della biologia molecolare in diversi campi. Anche l’idea di utilizzare le tecnologie dell'mRna per vaccini e terapie ha preso piede. Ma il passaggio dall'intuizione a qualcosa di concreto è frutto della "perseveranza" di una biochimica ungherese, Karikó appunto, che non si è arresa di fronte agli ostacoli scientifici che si profilavano lungo il percorso. E sulla sua strada fa un incontro cruciale, quello con l'immunologo Weissman.
Nobel 2023 per la Medicina: come è stata fatta la scoperta
Qual era il primo problema da superare? "L'mRna trascritto in vitro era considerato instabile e difficile da inviare a destinazione, cosa che richiedeva lo sviluppo di sofisticati sistemi lipidici 'trasportatori' per incapsularlo. Inoltre, questo mRna prodotto in vitro dava origine a reazioni infiammatorie. L'entusiasmo per lo sviluppo di questa tecnologia per scopi clinici è stato quindi inizialmente limitato. Ma Karikó non si è scoraggiata, e ha iniziato a dedicarsi allo sviluppo di metodi per utilizzare l'mRna per fini terapeutici. A inizio anni '90, quando era assistente professore all'Università della Pennsylvania, continuava a perseverare nella missione, nonostante le difficoltà nel convincere i finanziatori della ricerca sull'importanza del progetto. Weissman lavorava nella stessa università. Il suo interesse era rivolto alle cellule dendritiche, che svolgono importanti funzioni nella sorveglianza immunitaria e nell'attivazione delle risposte immunitarie indotte dai vaccini.
Inizia presto una fruttuosa collaborazione tra i due, che si concentra su come i diversi tipi di Rna interagiscono col sistema immunitario. La svolta arriva quando Karikó e Weissman notano che le cellule dendritiche riconoscono l'mRna trascritto in vitro come estraneo, il che porta alla loro attivazione e al rilascio di molecole di segnalazione infiammatoria. Si chiedono perché questo non succede con l'mRNA proveniente da cellule di mammifero e cominciano a indagare. Karikó e Weissman sapevano che le basi nell'Rna delle cellule di mammifero sono spesso modificate chimicamente, mentre l'mRna trascritto in vitro non lo è. Si chiedono se questo può spiegare la reazione infiammatoria indesiderata e cominciano a produrre diverse varianti di mRna, e risultati sono sorprendenti: la risposta infiammatoria risulta quasi abolita quando nell'Rna vengono incluse modifiche delle basi.
Karikó e Weissman capiscono immediatamente il valore della scoperta per l'uso dell'mRna come terapia. Questi risultati fondamentali sono stati pubblicati nel 2005, ben 15 anni prima della pandemia di Covid. In ulteriori studi del 2008 e 2010, i due scienziati mettono a segno ulteriori passi avanti e attraverso la scoperta che le modifiche di base riducono le risposte infiammatorie e aumentano la produzione di proteine, eliminano gli ostacoli critici sulla strada verso le applicazioni cliniche dell'mRna. L'interesse per la tecnologia inizia a crescere. Nel 2010 diverse aziende stavano lavorando allo sviluppo del metodo. Si lavora a vaccini contro i virus Zika e Mers-CoV, quest’ultimo strettamente correlato a Sars-CoV-2. Dopo lo scoppio della pandemia di Covid, 2 vaccini a base di mRna modificati che codificano per la proteina di superficie di Sars-CoV-2 vengono sviluppati a velocità record. Gli effetti protettivi segnalati arrivano a circa il 95%, entrambi ottengono l'ok già a dicembre 2020. Poi vengono rapidamente introdotti anche diversi altri vaccini basati su metodologie diverse, e insieme sono state somministrate più di 13 miliardi di dosi di anti-Covid a livello globale". Il resto è storia. Una storia da Nobel.
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