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Francesca, medico catanese, scala l’Etna per i diritti delle donne

Francesca, medico catanese, scala l’Etna per i diritti delle donne

Francesca, medico catanese, scala l’Etna per i diritti delle donne

di Liliana Rosano

CATANIA - Ha sfidato 7.000 metri di dislivello, ha percorso 190 km in bici segnando anche un record sulla velocità. Francesca Rubulotta di scalate nella vita ne ha fatte ma l’ultima, quella dello scorso sabato, le ha fatto guadagnare il titolo di “Regina dell’Etna”, un riconoscimento che dietro ha tutta una storia e una serie di obiettivi. Primo fra tutti, quello di raccogliere fondi per supportare la creazione di una Fondazione a sostegno delle donne che lavorano in terapia intensiva. Catanese, ex pallanotista con esperienze anche in serie A, Francesca da quattordici anni lavora a Londra dove è un medico anestesista e rianimatore presso una delle strutture che fa parte del prestigioso Imperial College.

Tutto inizia da Catania, dove Francesca si laurea in Medicina e Chirurgia, per fare poi il giro del Mondo: Trieste, dove si specializza, gli Stati Uniti, il Belgio, i Paesi Bassi, dove Francesca mette in campo la sua competenza di medico professionista.

In questa intervista per il Quotidiano di Sicilia, Francesca ci parla di iWin, della Fondazione che nascerà il prossimo Giugno ai piedi dell’Etna e delle difficoltà dell’essere donna in un settore delicato come quello della terapia intensiva e anestesia.

Francesca, come hai pensato di sfidare l’Etna, guadagnandoti il brevetto di Regina dell’Etna e di legare questa tua sfida personale ad un’altra sfida ambiziosa: creare un network a supporto delle donne professioniste nel campo della terapia intensiva.
“L’Etna è donna ed è una montagna che in qualche modo rappresenta tutte le sfaccettature dell’essere donna: la complessità, le difficoltà ma anche il saperti ripagare con la bellezza dopo ogni salita. Ho deciso di affiancare il conseguimento del brevetto di “Regina dell’Etna”- che Paolo Alberati ha creato all’interno del parco ciclistico dell’Etna- a una raccolta fondi a supporto di una futura Fondazione che dovrebbe nascere il prossimo Giugno proprio a Catania. Al momento, c’é solo un comitato organizzativo ma l’obiettivo è quello di creare un hub, un network, per migliorare le condizioni di accesso e di permanenza delle donne in un settore medico importante: quello della terapia intensiva. Parlo di pari opportunità perché ancora il gap é evidente: dalle condizioni di partenza, agli stipendi, allo schema di lavoro che non supporta le donne che scelgono questa carriera. Con questa mia sfida personale, sostenuta anche da Cus Catania, ho iniziato la prima raccolta fondi e ottenuto un risultato che mi incoraggia e che voglio incoraggi anche molte donne. Lo sport, come sempre, è un mezzo potente e democratico per fare veicolare messaggi importanti".

Perché vuoi che la Fondazione iWin nasca nella tua terra natale?
“Per diversi motivi. Perché voglio dare un contributo alla mia terra, mettendo a disposizione i contatti e le conoscenze di tutti questi miei anni trascorsi all’estero. Perché il Mediterraneo è il luogo ideale per abbracciare paesi diversi che appartengono alle diverse sponde.
L’obiettivo è, infatti, quello di coinvolgere paesi in via di sviluppo partendo dalla creazione a Giugno 2021 della Fondazione, seguita da otto tavole rotonde su temi come le pari opportunità nelle professioni legate alla rianimazione e anestesia, mancanza di leadership. Infine, discuteremo dei risultati delle tavole rotonde e inizieremo la programmazione per il 2022. Voglio creare un network di professionisti e portarli ogni anno nella mia Sicilia così da poter affrontare il problema delle pari opportunità attraverso la condivisione delle esperienze di professionisti di tutto il mondo. Un newtwork che possa affrontare il problema, monitorarlo e avviare delle soluzioni”.

Quali sono ancora i gap da colmare?
“Sono tanti. Partiamo da un dato: il 70% di chi sceglie di studiare Medicina appartiene al genere femminile ma poi ci ritroviamo una bassissima percentuale di donne in posizioni di leadership. Ancora oggi il problema della disparità degli stipendi è evidente così come l’organizzazione del modello lavorativo per chi è medico anestesista o lavora in terapia intensiva. Un modello che penalizza le donne che hanno figli. Uno degli ostacoli principali è proprio conciliare la vita professionale con quella personale”.

Lavori in un reparto oggi più che mai in prima linea: quello della rianimazione ai tempi del Covid-19. Come stai affrontando questa sfida?
“Con una forte determinazione, volontà, coraggio. Ammetto che non sono stati mesi facili e che da ottobre le cose stanno cambiando. I posti letto in terapia intensiva si stanno affollando, i casi aumentano. Rispetto a marzo, conosciamo meglio il nemico ma non dobbiamo abbassare la guardia. Uno dei tanti effetti del Covid è quello di aver scoraggiato molti studenti a scegliere un percorso specialistico nel campo dell’anestesia, della rianimazione e della terapia intensiva. Personalmente, quello che mi appassiona di più del mio lavoro è questo essere in prima linea, questa trasversalità di abbracciare diverse branche della medicina e questa visione ad ampio spettro che hai del paziente”.

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