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Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani

Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani

Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani

di Michele Giuliano -

PALERMO - La cucina delle mense siciliane non è delle migliori in termini di salute. Almeno è così nella classifica presentata da Foodinsider, Osservatorio delle mense scolastiche, in collaborazione con Slow Food Italia, durante la conferenza stampa di presentazione del 5° Rating dei menù scolastici e dell’indagine sulla mensa post lockdown.

A causa del lockdown l’indagine ha fotografato la situazione fino a febbraio scorso, valutando l’equilibrio e l’impatto sull’ambiente di 52 menù scolastici italiani, rappresentativi del 28% circa del panorama della ristorazione scolastica a livello nazionale. La Sicilia non ha fatto una bella figura: Palermo si trova solo al trentesimo posto, e Siracusa addirittura all’ultimo posto. In generale, comunque, il giudizio sulla mensa italiana è negativo: complessivamente troppe proteine, tanti prosciutti e carboidrati. Il rischio è che sia la mensa a contribuire all’obesità infantile.

Il Rating ha comunque registrato un moderato sforzo verso proposte più sane e sostenibili: più legumi e meno carne rossa e alcune iniziative degne di nota contro lo spreco. Tra i migliori spicca ancora Cremona, con due opzioni di scelta e ricette sane e sfiziose, seguita da Fano, Jesi, Trento, Rimini, Bergamo e Mantova, che si posizionano nella fascia dell’eccellenza all’interno del Rating.

Il nuovo anno scolastico e le nuove condizioni di sicurezza legate alle necessità di protezione da contagio da Covid 19 hanno cambiato tutto per le mense scolastiche italiane. Si semplificano i menù e le ricette si appiattiscono su paste in bianco, al pomodoro o al pesto e pizze, scompaiono minestre e brodi e le polpette diventano bocconcini.

Sono soprattutto le stoviglie monouso a far crescere gli oneri economici per i Comuni e i costi ambientali, di cui non si tiene conto. La soluzione più green è quella di Venezia, dove i bambini sono abituati da anni a portare le stoviglie da casa, a cui si sono aggiunte la borraccia e la tovaglietta lavabile fornite dal Comune.

“In epoca di pandemia le cucine e i cuochi stanno alla mensa scolastica come gli ospedali e i bravi medici stanno al Covid - sostiene Claudia Paltrinieri, direttrice di Foodsinder -. La nostra indagine dimostra che più sono diffuse le cucine sul territorio, più i cuochi sono formati e più è facile ‘curare’ l’alimentazione dei bambini che, in attesa di vaccini, è tra le migliori armi che abbiamo per proteggere la salute dei nostri figli”.

Si allarga, insomma, la forbice tra chi dà un valore sociale ed educativo alla mensa e chi la considera una commodity. Tra chi ritiene il mangiare a scuola sia uno strumento di ‘cura’ dei bambini e continua a cucinare, investendo sulle risorse umane, seppur con più difficoltà e maggiori costi, e chi privilegia i cibi ‘scarta e servi’ puntando all’efficienza del servizio. Durante l’estate poi c’è stata una forte pressione verso l’adozione del lunchbox. La società civile si è mossa compatta con campagne d’informazione (petizione #salvalamensa su Change.org, appelli alle istituzioni, campagne stampa) per contrastare la fake news diffusa attraverso i media secondo la quale le monoporzioni sono la soluzione più sicura. Con solide basi scientifiche (Report Agenzia europea per il controllo delle malattie Ecdc su Covid e scuola; i documenti dell’Oms e dell’Iss sul tema Covid-19 e sicurezza alimentare) si è smontata un’informazione falsa e si è fatta luce sui maggiori rischi di questa opzione: aumento esponenziale di rifiuti (plastica e cibo), perdita di fragranza dei cibi, impoverimento del potere nutrizionale e protettivo del pasto e reazione conflittuale delle famiglie.

Insomma, l’organizzazione della mensa non è una semplice questione nutrizionale: “È una scelta strategica, una scelta che definirei politica e che dipende dalla cultura e dalla visione degli organi decisionali - commenta la vice presidente della Commissione Ambiente della Camera, Rossella Muroni -. Il cibo che portiamo a scuola è infatti un potente strumento di politica sociale, economica e ambientale con il quale si possono proteggere i bambini dalla povertà nutrizionale, dall’obesità e dalle malattie, rilanciando un’economia pulita sul territorio”.

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