Coldiretti ha lanciato l’allarme sulla carenza dei lavoratori nel settore agricolo: nei campi italiani, secondo l’associazione, mancano 100mila persone da impiegare nella raccolta dei prodotti e nella lavorazione dei terreni, ma anche nelle attività di trasformazione e in quelle più specialistiche, con il rischio di minare la sovranità alimentare del Paese in un momento di forti tensioni internazionali.
Una buona notizia arriva sul fronte anti-caporalato: un altro comunicato di Coldiretti parla infatti di un protocollo d’intesa nazionale tra l’associazione stessa, Filiera Italia, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e E4Impact. Secondo l’accordo, da un lato le imprese agricole avrebbero certezza di poter disporre delle necessarie risorse in tempi certi e confacenti alle necessità, dall’altro il lavoratore sarebbe inserito nel contesto lavorativo nazionale godendo pienamente di tutti i diritti previsti dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva di settore. In questo modo si eviterebbe anche il rischio per le imprese di doversi affidare a soggetti terzi, potendo contare su una rete assolutamente “trasparente”.
Ma qual è la situazione in Sicilia riguardo a queste problematiche? QdS ne ha parlato con Ignazio Gibiino, vice presidente regionale di Coldiretti.
Lavoro in agricoltura, situazione difficile in Sicilia
La carenza di lavoratori si fa sentire anche in Sicilia? “Assolutamente sì, la situazione è drammatica e pesante. Oggi un’azienda che vuole crescere in termini di superfici dedicate alle coltivazioni e vuole fare nuovi impianti ci pensa tante volte. – afferma Gibiino – Perché oggi, la difficoltà maggiore, al di là della siccità che c’è stata quest’anno, al di là delle difficoltà in termini di costi di produzione molto alti, al di là di tutto quello che può incidere nelle difficoltà di gestione di un’azienda agricola, è soprattutto la gestione della manodopera. Al giorno d’oggi, è difficile trovare un dipendente che venga a lavorare nelle aziende agricole e in special modo se parliamo di manodopera qualificata”.
Esigenze differenti a seconda delle stagioni
A rendere meno appetibile il lavoro in agricoltura è spesso l’instabilità dei contratti. “Il lavoro nelle aziende agricole – afferma Gibiino – è un lavoro spesso stagionale, per cui ci sono delle grosse esigenze in particolari periodi dell’anno, mentre in altri periodi c’è una necessità più bassa in termini di manodopera. In agricoltura spesso non si fanno contratti a tempo indeterminato ma stagionali, quindi a giornate lavorative, meno appetibili. Ma quella di cui c’è forte esigenza, al giorno d’oggi, ripeto, è la manodopera specializzata, in grado, di effettuare determinati lavori”.
“Nel periodo estivo, ad esempio, – prosegue il vice presidente regionale di Coldiretti – c’è il diradamento del pesco o quello dell’uva da tavola; c’è da la defogliazione, la raccolta dei prodotti e non ci si può imbattere nell’utilizzo di una manodopera che non ha capacità, formazione, caratteristiche tali da potere essere introdotta in questi cicli produttivi. Anche nel momento della raccolta ci devono essere le giuste competenze nello scegliere un frutto o un ortaggio adatto alla raccolta rispetto a un frutto che è meglio rimanga ancora appeso per venire poi raccolto in un secondo momento”.
Lavoro in agricoltura, molti siciliani preferiscono emigrare
La manodopera siciliana è più locale o straniera? “Negli anni – ricorda il vice presidente regionale di Coldiretti – i flussi che si sono registrati in Sicilia, erano costituiti da manodopera straniera, principalmente rumeni, indiani o pachistani che sono rimasti in Sicilia di passaggio o per qualche anno per poi trasferirsi in altre zone d’Europa cercando migliori condizioni di vita, non tanto per un discorso di sfruttamento quanto per un fatto di guadagni sicuramente superiori rispetto a quanto poteva offrire l’Italia”.
“Negli ultimi anni abbiamo proprio assistito a una diaspora soprattutto di rumeni, che hanno lasciato la Sicilia e si sono trasferiti ad esempio in Austria, Inghilterra o Germania dedicandosi all’edilizia. Azzardando un numero, – afferma Gibiino – circa il 70% dei rumeni presenti in Sicilia sono andati quasi tutti via e costituivano una risorsa importante per le nostre aziende agricole anche perché molti di loro venivano trattati come se fossero dei familiari a tutti gli effetti, avevamo un raggiunto un buon livello di preparazione per la lavorazione dei campi. Questo 70% in meno oggi pesa in maniera notevole, soprattutto nel periodo della raccolta, e in special modo in quegli impianti in cui non si può intervenire con la meccanizzazione. È un problema pesante che si fa sentire sempre di più e non ci fa intravedere un futuro roseo anche per l’agricoltura siciliana”.
Neanche i giovani sono particolarmente interessati al lavoro in agricoltura, almeno non sull’isola. “Devo essere sincero: – commenta Gibiino – c’è stato un periodo, un decennio fa, in cui sembrava ci fosse stata un’inversione di tendenza del ritorno dei giovani in agricoltura, mentre negli ultimi anni ravviso esattamente il contrario sia perché i contributi per l’insediamento dei giovani in agricoltura sono sempre più ridotti così come le risorse che effettivamente vengono spese in questa direzione, sia perché molti giovani decidono di andare fuori a cercare migliore fortuna e ritmi più facili da sostenere rispetto a quelli dell’agricoltura.
“C’è da evidenziare – prosegue – che nelle zone interne della Sicilia, dove ci sarebbe bisogno di grande quantità di manodopera specializzata per guidare i trattori e le macchine agricole, i giovani disposti a intraprendere questo cammino sono veramente pochi e ci sono serie difficoltà”.
Occorrono formazione e salari più alti
Come si possono invogliare i giovani ad intraprendere il lavoro nei campi? Per il vice presidente regionale di Coldiretti servono salari competitivi e formazione.
“Per incoraggiarli – afferma – occorrono maggiori risorse per i giovani che vogliono intraprendere il lavoro nei campi anche per dare una continuità generazionale a tante aziende agricole. Ci sarebbe poi da fare tanta formazione. Occorre anche un migliore salario e per questo bisogna che migliorino le condizioni economiche delle imprese, vendendo bene i prodotti agricoli a un giusto prezzo. Grandi difficoltà riguardano quest’anno le aziende cerealicole, che hanno prodotto poco e che vendono a prezzi ridicoli che non riescono a coprire i costi di produzione”.
Cosa si può fare per incentivare le aziende siciliane ad assumere? A questa domanda Gibiino risponde: “Tante volte non sono le aziende a non volere assumere, ma i dipendenti non sono pronti a essere assunti. Si dovrebbe lavorare tanto sui flussi migratori e sui decreti flussi per utilizzare manodopera proveniente dall’estero anche facendo leva sugli arrivi dalla parte settentrionale dell’Africa. Potrebbe essere un toccasana per le nostre aziende agricole”.
“Molti soggetti provenienti dal nord Africa vengono impiegati all’interno delle aziende agricole e stanno cominciando a specializzarsi o a raggiungere un buon grado di specializzazione per essere inseriti nel ciclo produttivo dell’attività agricola. Occorrerebbe dare la possibilità alle aziende agricole di attingere dai decreti flussi che sono stati emanati nel corso degli anni. Questa potrebbe essere sicuramente un’operazione importante per dare respiro alle aziende agricole”.
“Dovrebbe essere inoltre attivato il pagamento tramite voucher come avveniva nel passato – continua il numero due di Coldiretti Sicilia – anche per regolarizzare i lavoratori impiegati all’interno delle attività agricole e sicuramente tutto resterebbe nella legalità, nella norma e darebbe una boccata di ossigeno alle aziende in difficoltà”.
La rete anti-caporalato
È arrivata la notizia di un patto nazionale tra Coldiretti, Filiera Italia, Oim, e E4Impact per una rete anti-caporalato, cosa che riguarda ovviamente anche la Sicilia.
A tal proposito, Coldiretti commenta: “Verso il triste fenomeno del caporalato in agricoltura Coldiretti ha sempre dimostrato particolare attenzione: è chiaro che un imprenditore è anche un buon padre di famiglia e non può mai pensare di sfruttare chi lavora per lui e chi per lui porta del reddito. Ogni forma di sfruttamento deve essere sempre stigmatizzata e non può trovare applicazione in un’azienda sana che non deve assolutamente sfruttare i suoi dipendenti, deve regolarizzarli, deve istaurare con loro un giusto rapporto di lavoro e deve dare il giusto salario”.
Coldiretti porta avanti iniziative anche contro lo sfruttamento? “Com’è scritto anche sulla Bibbia: “Non tenere nemmeno una notte il salario dei tuoi dipendenti”. Questo significa che, – afferma Gibiino – “come deve andare avanti l’azienda, devono essere soddisfatti anche i dipendenti della stessa e quindi, ogni forma di sfruttamento, come quella a cui abbiamo assistito nei campi negli anni passati che vedeva trattati i dipendenti come degli schiavi, non devono avere assolutamente nessuna forma di esistenza”.
“Questa è la filosofia che abbiamo “sposato” negli anni passati e la stiamo portando avanti anche con l’ausilio di Filiere pane che sfrutta le più grandi sigle dell’agroalimentare italiano e che deve assolutamente essere estesa a tutte le aziende agricole della nostra terra. Ci vogliono sicuramente maggiori controlli alle frontiere, – aggiunge il vice presidente di Coldiretti Sicilia – perché, se da un lato occorre garantire un lavoro onesto su tutto il territorio italiano, dall’altro non ci possiamo permettere di fare arrivare in Italia prodotti che sono figli della speculazione e dello sfruttamento anche minorile come succede in altre parti del mondo dove lo sfruttamento è una regola”.
C’è una regione italiana dalla quale la Sicilia può prendere esempio che ha intrapreso una strada da cui trarre spunto in ambito agricolo? A questa domanda Gibiino risponde: “No, in Sicilia ci sono realtà aziendali virtuose che producono reddito, tante realtà sane di cui dobbiamo essere assolutamente orgogliosi. Non dobbiamo quindi prendere spunto da nessuno se non da noi stessi”.
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