Dopo oltre un anno e mezzo dall'inizio della pandemia, nel primo semestre del 2021 l'occupazione nel nostro Paese è ripartita ma è sempre più part time che è il più delle volte "involontario", non richiesto cioè dal lavoratore o dalla lavoratrice per esigenze previste dalla legge, ma proposto come condizione contrattuale di accesso al lavoro dalle imprese.
È quanto emerge dall'anticipazione del policy brief "Una ripresa... a tempo parziale" dell'Istituto Nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp), secondo cui a giugno di questo anno, dei 3.322.634 contratti complessivamente attivati (di cui 2.006.617 a uomini e 1.316.017 a donne), oltre un milione e 187 (il 35,7%) sono part time.
Le donne penalizzate
Secondo l'Inapp, si incrementano le differenze di genere: quasi la metà delle nuove assunzioni di donne è a tempo parziale e per 4 donne su 10 l'orario ridotto si associa a contratti a termine o discontinui. L'essere donna, under 30 e vivere al Sud continua a rappresentare una condizione di svantaggio ulteriore.
L'Inapp fa notare che il 49,6% delle nuove assunzioni di donne è a tempo parziale contro il 26,6% degli uomini. E il 42% dei nuovi contratti di donne associa al regime orario a tempo parziale anche una forma contrattuale a termine o discontinua, debolezza che riguarda solo il 22% della nuova occupazione maschile.
La componente femminile - si legge nello studio - rappresenta complessivamente il 39,6% del totale delle attivazioni, confermando il consolidato gap di genere nell'occupazione. Si assiste, quindi, a un numero di nuove attivazioni per le donne inferiore a quello degli uomini in valore assoluto, ma con un'incidenza del part time molto più consistente. Questa situazione si registra in tutte le tipologie contrattuali.
Sul totale dei nuovi contratti a donne, sono a part time: il 54,5% nel tempo indeterminato, il 63,7% nel tempo determinato, il 44,5% in apprendistato, il 45,9 % in lavoro stagionale e il 42,4% % in somministrazione.
Per quanto riguarda i settori economici, le nuove assunzioni di donne sono in valore assoluto inferiori a quelle degli uomini a eccezione del settore finanziario-assicurativo, immobiliare e di amministrazione pubblica comprese le organizzazioni extraterritoriali. In tutti i casi, comunque, la quota di part time femminile è sempre maggiore di quella maschile.
Inoltre, nel caso dell'agricoltura, commercio, attività immobiliari, professionali, artistiche e amministrazione pubblica istruzione, sanità e assistenza, i contratti part time costituiscono la forma di lavoro prevalente per le donne, superando l'incidenza del 50% sul totale.
A livello territoriale, nelle regioni del centro nord che hanno attivato le maggiori quote di contratti a donne, si riproduce il "fisiologico" squilibrio di genere del part time sinora evidenziato.
Spicca invece nel Sud, in particolare con Sicilia Calabria Molise, il legame tra il ridotto numero di contratti attivati e una percentuale di par time intorno al 70%, indice di una profonda instabilità di prospettiva della ripresa.
Gli incentivi non bastano
Part time e precarietà non sono ridotte dalla presenza di un incentivo alle assunzioni. Lo studio evidenzia come nel I semestre del 2021 le assunzioni con diverso tipo di agevolazione sono state complessivamente 780.128, corrispondenti al 23,5% del totale delle assunzioni.
Delle 291.548 assunzioni agevolate di donne (corrispondenti al 22,2 % del totale di tutte le assunzioni femminili), quasi il 60% sono state a part time. Delle 488.580 assunzioni agevolate di uomini (pari al 24,3% del totale delle assunzioni maschili) è a part time solo il 32,5%. (AGI)
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