Il Ddl sul riordino degli Enti locali arriva in aula al suo quarto disperato tentativo, ma il risultato non convince neanche la maggioranza. Ci sono 350 emendamenti al testo licenziato dalla I Commissione Affari istituzionali, malgrado il risultato sia frutto delle audizioni con l’ANCI, con l’associazione degli amministratori degli enti locali, con dirigenti regionali e con rappresentanti degli ordini professionali e dei revisori legali oltre, successivamente, il parere della II Commissione Bilancio per il parere favorevole alla copertura finanziaria per le spese relative al “tagliando antifrode” voluto dal Movimento 5 stelle. Il testo non convince le opposizioni, che lo ritengono privo di finalità tipiche delle riforme, e anche tra le fila della maggioranza il raggiungimento del risultato finale sembra essere passato tra lunghi confronti e compromessi su interventi mirati.
Un Ddl in aula all’ARS senza convinzione
Già al mattino le voci che circolavano volevano un Ddl che approdato, in aula giusto il tempo di ammirare Sala d’Ercole, sarebbe stato rispedito in Commissione. Una Sala d’Ercole peraltro facile da ammirare, visto che erano presenti circa un terzo dei parlamentari. Avviati i lavori dal presidente Gaetano Galvagno, la seduta è stata poi affidata alla vicepresidente Luisa Lantieri. La sequenza di interventi, con una conferenza dei capigruppo da molti attesa o pronosticata, ha dato il via alla demolizione del testo in evidente intenzione di voto. Assente il governo, a tratti rappresentato dall’assessore agli Enti locali Andrea Messina non sempre in aula. Assente gran parte della maggioranza, che ha affidato ad un timido intervento la difesa del Ddl. Vivace invece l’analisi del testo all’esame della discussione generale da parte degli onorevoli Antonello Cracolici, Nuccio di Paola, Cateno De Luca.
Per Cracolici Ddl da riscrivere, Lantieri si complimenta
“Questo è un disegno di legge che non ha né capo né coda, e non si concentra sui problemi reali degli enti locali: siamo la terra con il più alto numero di comuni in dissesto o pre-dissesto, c’è un tema della rappresentanza di genere che non può essere interpretato come una concessione, ma soprattutto c’è una deriva molto pericolosa che riguarda il condizionamento, da parte della criminalità organizzata, degli atti dei nostri comuni e delle nostre amministrazioni, come ho sottolineato nella relazione conclusiva della commissione antimafia”. Questo il giudizio del presidente della commissione Antimafia all’Ars, il dem Antonello Cracolici, intervenuto sul Ddl all’esame dell’aula. Intervento valso perfino i complimenti della presidente forzista Lantieri per la sua puntualità. “C’è un abbassamento della guardia nei confronti dei rischi di infiltrazione mafiosa”, ha aggiunto Cracolici precisando che a suo avviso “la riforma degli enti locali deve invece rigenerare un rapporto fecondo tra questi enti e le istituzioni” perché “non possiamo assistere al degrado delle istituzioni”. In conclusione, per Cracolici “questo Ddl va ripensato e riscritto”.
Nessuna visione né obiettivi, solo un omnibus per il territorio
Il presidente della commissione Antimafia dell’ARS non è stato l’unico a proporre di rispedire al mittente il Ddl Enti locali. Jose Marano, del Movimento 5 stelle, si è sferrata contro le quote rosa in giunta previste al minimo del 20% per i comuni sopra i tremila abitanti, stabilito invece al 40% a livello nazionale. “Siamo di fronte ad un clamoroso passo indietro in quel cammino di emancipazione delle donne che dovrebbe vedere le istituzioni impegnate in prima linea, uomini inclusi”, afferma la parlamentare pentastellata. Cateno De Luca, di Sud chiama Nord, non le manda a dire e definisce il Ddl “un pacco di stronzate che ovviamente squalificano questo parlamento”. Secondo De Luca, “questo parlamento, quando si occupa di Enti locali fa solo danno” ed è “offensivo mettere all’ordine del giorno dell’aula un testo così sconclusionato”. Sulla stessa linea gli altri interventi. Per la pentastellata Roberta Schillaci il Ddl “fa acqua da tutte le parti”. Per il dem Emanuele Di Pasquale “questa norma non è una norma, è l’aggiustamento di una serie di esigenze della maggioranza”. Per il vicepresidente vicario dell’ARS, il pentastellato Nuccio Di Paola, “non c’è una visione dalla maggioranza sugli enti locali”.
Cosa prevede il Ddl sugli Enti locali
Il testo della proposta riforma approdata ieri in aula all’ARS si compone di dodici articoli, molti dei quali fortemente contestati. Come la rappresentanza di genere nelle giunte dei comuni con popolazione superiore ai tremila abitanti disciplinata dall’articolo 2. Ci sono poi il riordino dei revisori, la rieleggibilità per i sindaci al terzo mandato, l’abrogazione delle sanzioni finanziarie e della nomina dei commissari ad acta per i comuni inadempienti per la relazione sullo stato di attuazione del programma presentata dal sindaco al Consiglio comunale, l’aumento del numero dei componenti delle giunte comunali valso al Ddl il nomignolo di “poltronificio” al pari del “consigliere supplente” definito tale da Antonio De Luca. Infine, anche l’articolo che “modifica la normativa regionale in materia di mozione di sfiducia per il sindaco da parte del consiglio comunale aumentando il numero di voti necessari all’approvazione della suddetta mozione”. L’insieme, nella descrizione di Antonello Cracolici, è “un mosaico composto con tanti tasselli, ma alla fine il disegno non si capisce qual è”.
Il lavoro dell’ARS sul Ddl per le prossime settimane
A chiusura lavori d’aula non c’è stata poi alcuna conferenza dei capigruppo ed il Ddl si è quindi incardinato in un iter che potrebbe vedere i parlamentari siciliani impegnati per settimane su discussione e votazione degli emendamenti. Alcuni salteranno, altri resteranno per inevitabile parere favorevole negli uffici in cui verrà predisposto il lavoro in vista della seduta del 15 ottobre. La maggioranza dovrà partecipare ad ogni seduta senza assenze, mentre l’opposizione avrà gioco facile per fare tiro al piattello su ogni votazione. In ogni caso, due anni di attesa per la riforma degli Enti locali non risultano sufficienti e il Ddl rischia adesso di naufragare dopo una lunga e lenta deriva. Resta quindi aperta la partita sui Comuni, mentre al momento sembra chiusa quella sulle Province. Dopo la crisi tra la Presidenza della Regione e l’azionista Fratelli d’Italia in Giunta regionale, le riforme strutturali sulla riorganizzazione degli avamposti istituzionali della Regione Siciliana non sembrano trovare la quadra in maggioranza.
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