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Il Sud zavorra perché è inattivo

Il Sud zavorra perché è inattivo

Il Sud zavorra perché è inattivo

Il nuovo ministro per la Coesione territoriale e del Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, ha spiegato che per il Sud ci sono 115 miliardi di risorse pronte da spendere tra quelle dell’Ue e i fondi Fsc (Fondi per lo sviluppo e la coesione). Inoltre vi è il cofinanziamento delle Regioni che è di circa un quinto. Se questa enorme somma venisse immessa sul mercato in tempi rapidi, costituirebbe una forte leva che metterebbe in moto lo sviluppo e creerebbe centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Il guaio del Mezzogiorno non è la mancanza di risorse finanziarie, bensì la piattezza delle iniziative: tutti stanno a guardare e aspettano qualcosa che non arriverà, mentre se ognuno per la propria parte (quella politica, quella imprenditoriale, quella sindacale, quella burocratica ed altre) promuovesse azioni di sviluppo, l’insieme delle iniziative consentirebbe alla ruota economica di cominciare a girare, mentre in atto è quasi ferma.
Una delle cause della piattezza del Mezzogiorno è la grande estensione del pubblico impiego che ha fra l’altro causato una conseguenza negativa: la diffusione della mentalità secondo la quale deve esserci sempre qualche altro ad affrontare e risolvere i problemi, trovandovi le soluzioni.

Questa mentalità è stata favorita da un ceto politico che ha proceduto a raccogliere il consenso scambiandolo con i bisogni, anziché elaborare grandi progetti e mettere al loro servizio la migliore burocrazia, che c’è nel nostro Paese, per fare incrementare Pil e occupazione anche più della media europea.
Il Sud è stato sempre considerato la zavorra del Paese, ma i governi non hanno fatto granché per farlo decollare. E' vero che c’è stata la Cassa del Mezzogiorno, ma essa anziché essere stata uno strumento di sviluppo si è rivelata un verminaio ove tutti mangiavano. La dimostrazione è che in decenni della sua vigenza, il tasso infrastrutturale del Paese, che è la piu forte leva dello sviluppo, è rimasto quello che era.
Ancora oggi esso è un terzo della media nazionale. Se non si aprono i cantieri delle opere pubbliche di tutte le dimensioni, se non si semplificano le procedure per consentire alle imprese di funzionare senza pesi eccessivi, se non diminuisce la pressione fiscale ed il cuneo fiscale, il Sud rimane al palo.

Il cuneo fiscale è la differenza fra quanto costa un dipendente e il netto da lui percepito. Il costo del dipendente viene comunemente calcolato nel doppio di quanto egli percepisce, il che onera i datori di lavoro pubblici e privati perché devono limitare l’assunzione di dipendenti e dirigenti per il loro costo complessivo eccessivo.
Ma al di là della pressione fiscale che si riverbera nel cuneo, vi sono almeno altri due gravi motivi del blocco della crescita del Mezzogiorno: l’inefficienza della burocrazia e la complicazione inutile delle procedure, per cui chi intraprende o continua l’attività è onerato di adempimenti costosi, sia perché occorrono i consulenti, che costano, sia perché chi opera viene distratto dalla sua attività per cose che non hanno nulla a che fare con la stessa.
Se la Pubblica amministrazione funzionasse normalmente con una ordinaria amministrazione efficiente, i 115 miliardi cui abbiamo accennato prima, verrebbero spesi nei tempi regolari.

Il Programma operativo europeo 2014-2020, che prevede risorse con 4 assi di intervento per il Mezzogiorno, è arrivato quasi a metà percorso: infatti il triennio 2014/15/16 è già decorso. Ma in questo triennio le risorse spese, cioè la liquidità immessa sul mercato, non ha raggiunto neanche un decimo anziché il 50 per cento.
Il Governo dice che è colpa dei sindaci e delle Regioni che non hanno presentato progetti cantierabili; ma esso ha le mani legate perché non ha effettivi poteri sostitutivi ed anche perché sarebbe molto difficile entrare nelle attività di Regioni e Comuni per fare quello che essi non fanno.
C’è, dunque, una responsabilità oggettiva di presidenti di Regioni e sindaci in questa arretratezza del Mezzogiorno e ciò deriva anche dal fatto che i cittadini non sanno bene come stanno le cose e sono spesso gabellati dai vertici istituzionali, i quali anziché fare il loro lavoro spiegano a parole quello che altri dovrebbero fare: un palese contrasto fra promesse e azioni, fra il dire e il fare.

Carlo Alberto Tregua

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