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Migrazione umanitaria diventata un business

Migrazione umanitaria diventata un business

Migrazione umanitaria diventata un business

I sindaci continuano a pubblicare bandi per la sistemazione logistica degli immigrati che arrivano nei loro territori: così l’immigrazione è diventata un business. Il che non è male perché di fatto si è alimentata l’attività dell’ospitalità per tantissime strutture, pensioni e alberghi, che rimanevano vuoti soprattutto nel periodo invernale.
Centinaia di migliaia di posti sono stati così occupati e vengono pagati dalle casse dello Stato attingendo al Fondo di 4,4 miliardi previsti dal Def di settembre 2016.
Di colpo, i contribuenti sono diventati ospitanti di tutti i poveracci che vengono qui e che costano mediamente alla collettività tra i trenta e i trentacinque euro al giorno: una cifra ragionevole per dare vitto e alloggio che ha il vantaggio di sollevare  l’economia di tanti piccoli centri attraverso l’attivazione delle strutture ricettive, compresi i Cara (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo).
Certo, non si può pensare che vi sia una fisarmonica, cioè un allargamento continuo dell’ospitalità perché, se così fosse, bisognerebbe aumentare lo stanziamento a cinque o sei miliardi, un importo che non ci possiamo permettere.

Tardivamente ma diligentemente, il governo Gentiloni ha firmato un primo accordo col primo ministro della Libia, Fayez al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, ma non riesce a stipulare lo stesso accordo con il generale Khalifa Belqasim Haftar che presiede il governo di Tobruk, perché questi fa sempre il contrario del suo antagonista.
L’accordo prevede che l’Italia fornirà mezzi navali, armi, sussitenza e formazione per addestrare la gendarmeria libica, in modo che controlli le coste ed impedisca la partenza degli scafi della morte.
Un timido assaggio del nuovo corso è stato confermato dall’intervento della Marina libica nei confronti di alcuni barconi con 500 disperati a bordo, costretti a ritornare in quel territorio.
Vi è già l’accordo fra il governo italiano e quello di Tunisia e Marocco per il rimpatrio ed il controllo delle coste, ma barconi da quei due Paesi di fatto non ne partono. In questo quadro, nulla si dice dell’Algeria, blindata, perché là il regime non consente alcuna attività dei trafficanti.

Manca un accordo vero e proprio con l’Egitto, perché se la Libia dovesse bloccare le sue coste, verosimilmente, i trafficanti passerebbero nel Paese limitrofo.
Insomma, si tratta di creare sulle coste dell’Africa tutta una serie di centri di accoglienza, e non di detenzione, per attuare là il controllo sul diritto di asilo di tanta gente che sfugge alle guerre ma che non può chiedere lo stesso diritto di asilo quando sfugge alle carestie o a economie non sviluppate.
La questione umanitaria è immensa, ma ancora è tutta caricata su Italia e Grecia, anche se timidamente la Commissione europea ha fatto sapere che è in procinto di aprire le procedure di infrazione nei confronti di quegli Stati membri che si rifiutano di accogliere la loro quota di immigrati, in base al Trattato di Dublino, tutt’ora vigente.
Col Pil che cresce poco, la disoccupazione giovanile al 40%, la voracità della spesa corrente pubblica, l’insufficienza della pubblica amministrazione e l’estesa corruzione, c’è poco da scherzare. La questione umanitaria viene prima di tutto, ma è anche questione umanitaria occuparsi dei 4,6 milioni di cittadini italiani poveri.
Certo, se i Comuni razionalizzassero i loro servizi, applicando Piani aziendali molto efficienti, potrebbero avere risparmi da dedicare all’attività economica dell’accoglienza, con ciò sostenendo l’economia e l’occupazione locali. Ma i Comuni da soli non possono farcela ed ecco che in regime di sussidiarietà, devono intervenire dapprima le Regioni e poi lo Stato. Ma anche Regioni e Stato devono procedere al taglio della spesa cattiva, per recuperare risorse da destinare anche all’accoglienza umanitaria degli  immigrati.
Il lenzuolo è corto, e non si può ulteriormente tirare da un lato per evitare di scoprire gli altri lati. Le risorse vi sono ma sono utilizzate male perché sostengono interventi a pioggia, non mirati, che non producono benefici.
La gestione dei tributi è fatta con scarsa professionalità, per cui i contribuenti sono cornuti e mazziati: cornuti perché straoppressi dalle imposte, mazziati perché vedono i loro denari sprecati e gettati al vento.

Carlo Alberto Tregua

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