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Sapere ascoltare è meglio che parlare

Sapere ascoltare è meglio che parlare

Sapere ascoltare è meglio che parlare

Una volta c’erano gli imbonitori, quelli che parlavano, parlavano e parlavano, cercando di fare passare dei messaggi, costituiti da menzogne, che avevano lo scopo di convincere i creduloni e le loro pseudo-verità.
Sono cambiati i mezzi di comunicazione e gli imbonitori non solo non sono scomparsi, ma sono aumentati di numero, approfittando dell’amplificazione che danno loro i mass media e dell’aumentata credulità di una popolazione che è sempre più incolta e ignorante nonostante la diffusione esponenziale delle informazioni.
L’abbiamo scritto più volte: il conflitto tra l’aumento dell’informazione e la diminuzione della cultura. Ciò accade anche perché la gente non è in possesso di strumenti valutativi che gli derivano dallo studio, dalla lettura e dalla conseguente capacità elaborativa di mettere insieme le informazioni e di capirne la portata. Quasi tutti si limitano a stare sulla soglia della conoscenza, perché entrarvi comporta fatica e sudore.

Le persone colte ascoltano e sanno ascoltare, secondo il vecchio detto: La parola è d’argento, il silenzio è d’oro. Beninteso, non un silenzio che corrisponda alla non recettività, e quindi all’inazione, ma un silenzio valutatore delle cose che si ascoltano.
Certo, quando si sentono scempiaggini, stupidaggini, ovvietà e banalità, si fa molta fatica a stare zitti. Ma anche in questo caso, il silenzio acquisisce una risposta così forte che qualunque parola non potrebbe eguagliare.
Agli ignoranti e agli stupidi non bisogna rispondere, bisogna semplicemente ignorarli perché sprecare la propria intelligenza ed il proprio tempo per sentire cose inutili è un danno che si fa a stessi: come diceva nostro padre Dante, “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
E questo non deve essere visto come una sorta di spocchia, ma come un comportamento che vuole privilegiare le cose che funzionano, le idee costruttive, la voglia di raggiungere risultati, non solo nel campo economico, ma soprattutto in quello sociale e solidale.
Tutto ciò non è facile, ma una riflessione porta a capirne la portata e quindi a dedicarvi ogni sforzo per realizzarlo.

Certo, una volta ascoltati gli interlocutori, può essere utile un proprio intervento, per chiarire, spiegare, o anche farsi spiegare. In questo caso bisogna stare attenti a quello che si dice, a come si dice e soprattutto a catturare e mantenere l’attenzione degli interlocutori.
La polemica non serve, la critica fine a se stessa neanche, la presunzione neppure. Serve invece convincere della bontà delle proprie argomentazioni, perché solo chi convince, vince.
Non basta usare giuste argomentazioni per spiegarsi, bisogna anche dirle nel modo giusto, facendo leva sulla capacità di sintesi che è molto più difficile rispetto a un parlare pletorico e per ciò stesso inconcludente e incomprensibile.
Alcuni, quando parlano, a un certo punto, si fermano e dicono la frase classica: Che voglio dire? Bravo, se uno che parla non sa che cosa vuole dire sarebbe meglio che stesse zitto. Servono per parlare bene numerosissime letture, antiche e moderne, su retorica, dialettica e argomentazione.

Proprio su quest’ultimo termine, vi è un libro che consiglio e che non deve spaventare per le sue oltre 400 pagine scritte con caratteri fitti, ma  che è illuminante sulla comunicazione. Si tratta di Le Traité de l’argumentation, la nouvelle rhétorique di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca.
In numerosi convegni, si ascoltano oratori che leggono tiritere noiose perché non dicono alcunché di nuovo né nella sostanza né nella forma. Un mio amico suggeriva agli oratori di stare attenti quando un uditore guardava l’orologio, ma molto di più quando si portava l’orologio all’orecchio per vedere se era guasto.
Charles De Gaulle (1890-1970) sosteneva che chi parla ai terzi dovrebbe farlo sempre con un ginocchio alzato. Appena stanco, dovrebbe smettere. E nel Parlamento europeo, a chi chiede la parola viene assegnato un minutaggio, di solito corto. Appena terminato il tempo, il microfono si spegne automaticamente.
Tutto questo ci insegna che non bisogna dimenticare l’utilità di sapere ascoltare, mentre per parlare c’è sempre tempo!

Carlo Alberto Tregua

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